Le donne ai campi

Contadine al lavoro nei campi uno

ATTILIO IANNIELLO
Le donne contadine, la Prima Guerra Mondiale e il Comizio Agrario di Mondovì.
L’attenzione del Comizio Agrario monregalese verso la componente femminile del mondo rurale era di lunga data. Fin dalla sua costituzione aveva investito sull’educazione professionale e morale delle giovani contadine, oltre che dei giovani agricoltori, attraverso l’istituzione degli asili rurali. Per le giovinette e le donne in generale del mondo rurale organizzava poi dei corsi serali o domenicali specifici.
Nelle classi delle scuole elementari rurali per buona parte della seconda metà del XIX secolo veniva adottato il testo di Felice Garelli “La giovinetta campagnuola educata ed istruita” edito a Mondovì dalla tipografia “E. Schioppo succ. Issoglio”. Volumetto che ebbe un certo successo tanto che nel 1893 raggiungeva la novantaseiesima ristampa.

Garelli
Nei primi decenni del Novecento, durante i corsi istituiti dalla cattedra ambulante nei diversi paesi, frazioni e borgate del circondario, uno dei testi più consigliati alla lettura domestica delle donne rurali era “La donna in campagna” (opera di una scrittrice che si firmava con lo pseudonimo di “Lilla”), volumetto pubblicato nel 1906 nella prestigiosa collana de “La Biblioteca Agraria Ottavi” di Casale Monferrato.
Una particolare cura dell’educazione femminile veniva promossa dal cattedratico ambulante Alessandro Gioda, che a partire dal 1910 istituì delle vere e proprie

«scuole di economia domestica per le ragazze di campagna a Roccadebaldi, a Murazzano Rea, a San Giacomo di Roburent.
Che cosa si insegna in queste scuole? Quanto può essere utile alla donna di campagna:
Cenni sulla cooperazione, la previdenza, la mutualità, la contabilità agraria – L’igiene della persona, della casa, della stalla, acqua, cibo, alimentazione, conservazione degli alimenti – Soccorsi d’urgenza, assistenza ai malati – Pregiudizi nell’allevamento dei bambini – Il pollaio, la stalla, l’orto, le api, i conigli, le piccole industrie agrarie – I lavori donneschi – L’istruzione morale»[1].

Il Comizio Agrario monregalese, quindi, avendo alle spalle un’esperienza decennale nella formazione delle donne contadine, non si trovò impreparato di fronte ai nuovi scenari del lavoro agricolo causati dalla guerra.
Le donne infatti si videro costrette ad affiancare al lavoro domestico ed alle piccole attività agricole quali, per esempio, l’allevamento degli animali da cortile e dei bachi, la cura dell’orto, la trasformazione dei prodotti dell’orto stesso e del frutteto, anche lavori che generalmente erano di competenza dei maschi della famiglia:

«La sottrazione della forza lavoro maschile delle fasce di età più attive rompe il delicato equilibrio tra consumatori e produttori su cui si regge la famiglia contadina. Le donne vedono dilatarsi il ciclo lavorativo – lavorano le bambine piccole e le donne molto vecchie, – aumentare il tempo di lavoro, ampliarsi il ventaglio delle mansioni fino a coprire tutte quelle assolte prima dagli uomini. È la fine della tradizionale divisione del lavoro, che vedeva i maschi addetti ai lavori più pesanti e in qualche modo più impegnativi, come la manovra delle macchine trebbiatrici»[2].

Contadine al lavoro nei campi due
Su questi aspetti insistono le testimonianze di donne contadine della provincia cuneese raccolte da Nuto Revelli e da Angelo Baudana:

«- Il mio uomo è partito agli undici di maggio del 1915, mi ricordo sempre. Allora sì che ne ho passate, lavorando giorno e notte. Io chiudevo i bambini nella stalla che non uscissero e portavo il letame, un’ora la gorba [la gerla] lì sulla schiena, una donna… su, per poterci piantare poi due patate in primavera.[3]
– Io andavo in campagna tutto il giorno… In famiglia eravamo tanti, io avevo cinque sorelle. Si faceva tutto a mano in campagna. Allora non si trovava manodopera, c’era la guerra ed erano tutti là. […] Io da giovane andavo nella vigna a dare l’acqua, come un uomo, né più né meno.[4]
– Non c’erano più uomini, soltanto alcuni vecchi e bambini. Tutti i lavori che dovevano fare gli uomini li facevo anch’io. Andavo persino a sporgere i covoni, a scaricare il grano, ad aiutare a trebbiare quando veniva la macchina. E poi attorno alle bestie, sempre dietro alle bestie; prendevamo anche la zappa per andare a sarchiare il granoturco, i fagioli, e tutto. […] Un tempo eravamo diciassette in famiglia (due famiglie assieme): sedici di noi più un garzone. Lui dava l’acqua davanti alle viti, io dietro lo zolfo. alla sera, quando arrivava a casa, avevo gli occhi che bruciavano e lava, lava, poi andavo a coricarmi, non ne avevo più voglia di dormire perché se chiudevo gli occhi cominciavano a colare, tutta la notte, facevo una vita…[5]
– Eravamo dodici in famiglia; partiti i due fratelli più grandi, la più vecchia ero io, poi c’erano le mie sorelle. Mio papà allora mi faceva andare con lui nei campi: aravo, erpicavo, andavo avanti alle bestie, pulivo la stalla, facevo di tutto. Ho imparato persino a falciare il fieno con il ferro; ero diventata più brava di mio papà. caricavo il fieno sul carro: le mie sorelle buttavano ed io caricavo. Avevamo tanto lavoro. […] Pensa, una cascina di trenta giornate con mio papà e tutte matote, cosa volevi che facessimo di più. Io andavo volentieri. Davamo l’acqua alle vigne tre giorni alla settimana con la pompa attaccata alle spalle, zappavamo le viti; mio papà seminava e noi seguivamo con l’erpice o la sterpadura, per coprirlo. Non trovavamo servitori, andavamo giorno e notte.[6]».

Il lavoro dei campi non impegnò solamente le classi meno abbienti del mondo rurale. La mancanza di manodopera maschile adeguata costrinse anche diverse esponenti della nobiltà rurale monregalese a mettere mano agli attrezzi agricoli, come testimonia lo stesso cattedratico ambulante monregalese Alessandro Gioda:

«a Benevagienna una gentildonna campagnuola, privata dei suoi cari, è salita sul seggiolino della falciatrice, ed ha provveduto direttamente al taglio dei fieni».[7]

Lo sforzo delle donne contadine per la conduzione delle proprie aziende agricole in assenza dei loro uomini faceva nascere nei dirigenti delle associazioni agricole il desiderio di rendere pubblico tale impegno. Questo sentire comune di molti dirigenti dei Comizi Agrari più solleciti verso la realtà rurale dei circondari di loro competenza si tradusse nel suggerire al Ministero dell’Agricoltura di offrire riconoscimenti ed onorificenze alle donne che più si erano distinte nel lavoro dei campi.
In particolare fu il Ministro Giovanni Raineri a prendere a cuore quanto desiderato dai Comizi, istituendo un premio al lavoro femminile dei campi.
Tra i Comizi Agrari più convinti nell’organizzare questo riconoscimento ci fu proprio il Comizio Agrario di Mondovì. [8]

«Con le successive continue chiamate alle armi di tutti gli uomini fra i 19 ed i 42 anni, ben poca mano d’opera maschile valida è rimasta ai campi; eppure – anche fra il crescere delle difficoltà – nel nostro circondario tutta la terra è stata lavorata, tutti i campi sono stati seminati, tutti i raccolti sono stati utilizzati al massimo.
Chi ha compiuto il grande miracolo?
I pochi rimasti, vecchi ed inabili, e in prima linea le donne. Le abbiamo vedute ritornare quasi tutte alla terra e governare l’aratro, e usare la falce e portare la faticosa irroratrice.
[…]
Era giusto che anche queste nuove reclute del più importante fra i servizi civili di guerra [garantire le derrate alimentari, nda.] venissero segnalate e fossero premiate»[9].

Il Comizio Agrario si rivolse quindi ai sindaci, ai parroci, ai rappresentanti comunali del Comizio stesso ed ai componenti delle diverse società agricole mutualistiche presenti in tutto il circondario monregalese per avere i nominativi delle donne che fossero meritevoli del premio “per unanime consenso di popolazione”.
Furono un centinaio le donne monregalesi segnalate dal Comizio al Ministero d’Agricoltura per ricevere i premi che consistevano in medaglie d’oro e d’argento accompagnate da somme di 30 e 20 lire.

Premi al lavoro uno

premi al lavoro due

Sul quindicinale “L’Agricoltore Monregalese” del 13 ottobre 1917 vennero pubblicati tutti i nomi delle premiate e si riportarono le motivazioni della segnalazione per il premio delle prime sette donne:

«- Bertone Avagnina Maria (Mondovì Rifreddo) – Vedova dal gennaio 1915 con 4 figli soldati, conduce in affitto una cascina di 30 ettari, cui dedicò anche opera personale per i lavori; ma più è da segnalare per la direzione efficace dell’azienda, assunta in sostituzione del marito defunto e dei quattro figli.
– Voena Maria ved. Basso (Briaglia) – Con l’aiuto dell’infaticabile figlia Margherita (coadiuvata dalla nuora in non buone condizioni di salute) provvide al buon andamento della cascina di 18 ettari, sostituendo i tre figli soldati.
– Ferrua Laurina (Clavesana) – Sostituì in tutti i lavori campestri il cognato morto in guerra, essendo la famiglia composta dei genitori inabili al lavoro, di una vecchia zia e di una sorella vedova con un bambino.
– Camelia Maria di Emilio (Garessio Mindino) – Di 20 anni, compì tutti i lavori campestri, anche quelli che mai aveva eseguiti, arando, seminando, falciando, riuscendo così da sola a provvedere al sostentamento della famiglia composta dal padre e di un fratello infermi ed inabili al lavoro, della madre e di quattro bambini in tenera età. Un fratello maggiore è stato dato disperso in guerra.
– Bertone Margherita (Mondovì Sant’Anna) – Sostituì il padre (ammalato e poi morto) ed il fratello soldato, compiendo tutti i lavori (falciatura, mietitura, aratura), su di una cascina di 6 ettari.
– Rossi Angela ed Anna (Morozzo Viassola) – Per quanto giovani (16 e 18 anni) eseguirono tutti i lavori compresa la mietitura su di una cascina di 30 ettari, solo coadiuvate da un garzone di 17 anni. Il padre dichiara che sostituirono due buoni servi, accudendo pure al bestiame e trovando ancor tempo per allevare un’oncia di bachi.
– Stralla Orsi Maddalena (Villanova Gosi) – Proprietaria di 6 ettari, con 6 capi di bestiame, provvide essa ad ogni lavoro (in sostituzione del marito) per il grano, la meliga, la vigna, il prato eseguendo persino la potatura dei gelsi, per quanto prossima al parto di una bambina, che allatta direttamente. Tutti i lavori vennero compiuti in tempo utile e con perfetta cura».

La premiazione venne fatta in modo solenne alla presenza delle autorità monregalesi presso la sede del Comizio stesso, nella mattinata di domenica 11 novembre 1917.

Gazzetta di Mondovì 14 novembre 1917.

Domenica 11 novembre 1917.
Nelle intenzioni del Comizio Agrario la premiazione delle donne contadine doveva avere una grande visibilità ed essere di esempio e di stimolo morale per la popolazione tutta. Con cura dall’inverno del 1916 all’estate del ’17 si erano cercate le donne da premiare. La domenica 11 novembre 1917 doveva essere una giornata di grande festa.
In realtà gli avvenimenti bellici dell’ottobre 1917, con la disfatta di Caporetto e il ripiegamento dell’esercito italiano, condizionarono non poco anche la giornata dedicata alle donne.
Le preoccupazioni per le vicende belliche, la mobilitazione per il soccorso ai profughi veneti impegnavano i monregalesi e la cerimonia di premiazione alle donne contadine andò quasi deserta. Sulla “Gazzetta di Mondovì” Rosalia Calleri si lamentò di questo fatto:

«Fu una funzione, lo diciamo subito, alla quale sarebbe stato non solamente bello, ma giusto, intervenisse molta gente che non c’era; una funzione commovente nella sua semplicità e nel suo intendimento, e di cui, forse, non venne capita l’importanza».[10]

Ma se non c’era il pubblico dovuto ad una iniziativa di questo genere, c’erano molte delle donne che dovevano essere premiate, alle quali il cattedratico ambulante Alessandro Gioda tenne una conferenza (La donna nelle campagne) di cui riportiamo un ampio stralcio:

«[…] La guerra moderna è una guerra che può ben dirsi (mi si passi il termine) scientifica. Ogni professione, ogni scienza, ogni industria hanno trovato applicazione più o meno diretta ai fini della guerra: dall’avvocato del tribunale militare, al medico degli ospedali da campo, dal chimico al meccanico, dal motorista all’elettricista.
Una sola professione non ha potuto essere piegata al fine distruttivo della guerra: la pacifica industria che stimola la fecondità produttrice della terra; ed una classe di cittadini doveva perciò essere chiamata a dare un più largo e diretto contributo di braccio e di sangue alla difesa del Paese: quella degli agricoltori. Non intendo fare commenti su questo inevitabile e logico fatto: in una collettività l’interesse singolo deve alle volte sapere scomparire per il bene della società. Sarà compito dell’avvenire il ricercare se la società non possa evolversi senza quei violenti conflitti, nei quali le classi agricole sarebbero individualmente sempre più sacrificate.
Ma espongo il fatto per porre in evidenza tutta la gravità di uno spopolamento delle campagne che nessun fenomeno di emigrazione né di urbanesimo aveva mai così accentuato in passato.
Alcuni ufficiali, i quali per la loro posizione sono in grado di saperlo, asseriscono che fra i combattenti di prima linea (esclusi i servizi speciali delle retrovie) l’80 per cento sono agricoltori. Noi sappiamo come nelle nostre campagne i centri rurali abbiano dato dal 15 al 20 per cento della loro popolazione totale (una percentuale assai più bassa hanno dato i centri urbani) sicché quando a questa percentuale si aggiunga il numero di quelli che si sono creati operai per elezione propria prudenziale possiamo ritenere siano andati mancando al circondario nostro (che conta meno di 170 mila abitanti) da 35 a 40 mila persone in grandissima prevalenza dedite (prima della guerra) ai lavori dei campi.
[…]
Queste le condizioni nelle quali la guerra ha posto gli agricoltori. E l’agricoltura? Per un osservatore superficiale l’agricoltura si è svolta nelle condizioni normali: e difatti campi incolti o vigne abbandonate non ne abbiamo vedute; fieno marcire sui prati, frutta pendere non colta ai rami neppure.
[…] i rimasti dovevano arrangiarsi cercando di fare il meglio possibile. Si sono arrangiati e non è in fondo colpa loro se il meglio non hanno sempre saputo o potuto conseguire; ma sempre bene assegnata è quella distinzione che moralmente venga a premiare quanti, in così particolari condizioni hanno saputo tener alte le sorti dell’agricoltura paesana: le donne in prima linea.
Mentre il loro cuore di madri, di spose, di sorelle poteva avere lagrime dolorose per i pericoli ai quali i loro cari erano esposti o per i lutti che la fortuna della patria aveva richiesto, noi le abbiamo vedute invitte e tenaci sobbarcarsi grado, grado a tutti i lavori campestri.
Si noti che da anni parecchi la donna non si piegava più ai faticosi lavori dei campi; le piccole industrie rurali e le cure della casa l’avevano assorbita tutta e di ciò ci si poteva compiacere come di quell’importantissimo fenomeno che – creando maggiori comodità e migliori attrattive alla vita dei campi – è di efficace remora ad un invadente e malsano urbanesimo. Ma quando la guerra chiamò gli uomini alle armi, la terra volle di nuove le donne ai campi. E vi tornarono fidenti nella loro buona volontà, più che nelle loro forze, riunendo attorno a sé le braccia giovani dei figli perché nulla rimanesse di improduttivo di quanto i loro uomini da anni erano andati formando a migliore coltura. Così le abbiamo viste armarsi di falci e falciar erba e mietere grano; le abbiamo viste porre mano all’aratro e fendere il duro solco; spargere a larga mano il seme nel grembo della terra; caricarsi la faticosa pompa irroratrice sulle spalle tenendo fronte alle malattie crittogamiche della vite e tutto senza trascurare le più necessarie cure a quella famiglia che è la migliore speranza della patria domani, perché della patria stessa è oggi il simbolo più bello…
Tutte le donne, non vi ha dubbio, hanno dato alla terra quanto delle loro forze e del loro sapere di campagnuole potevano dare; perché il lavoro è anzitutto un dovere al quale nessuno può, né deve sottrarsi. Ma fra tutte alcune vennero dagli stessi compaesani designate con ammirazione per l’attività grande e l’esemplare energia con la quale attesero ai lavori.
[…] perché quando una giovane vedova, piangendo ancora il marito morto in guerra – si chiude nel suo dolore e per l’avvenire della sua famigliuola si dà ai lavori dei campi – quando una sorella col padre ridotto da grave malattia assolutamente incapace al lavoro e col fratello dato dolorosamente disperso trova la forza d’animo per sostituirsi agli assenti e chiedere alla terra il sostentamento degli altri cinque fratellini – quando una sposa non trova che i lavori dei campi siano ragione di impedirle di procreare un nuovo figlio alla patria, che sappia essere degno del padre assente, in quanto questi e altri molti esempi consimili ci sono offerti, noi possiamo ben sperare nella sana forza morale della nostra gente e dire loro per tutte quante hanno lavorato: il premio lo avete bene meritato!
Il Ministero di Agricoltura, accogliendo le proposte presentate dal Comizio, volle premiare 131 donne di questo circondario, assegnando a ciascuna di esse un diploma, che ricorderà ai figli ed ai nipoti quanto le madri seppero dare e fare per la patria, ed accompagnando i diplomi con 62 medaglie d’argento dorato, 16 medaglie d’argento, 44 premi da 30 lire e 9 premi da 20 lire»[11].

Incominciava quindi la premiazione vera e propria. Le donne si avvicinavano una ad una alle autorità che porgevano loro i premi:

«Sono giovani, donne forti, che le fatiche dei campi non hanno esaurite; sono vecchiette già curve, capelli bruni e capelli bianchi, visi freschi e volti rugosi, che pensiamo curvi sulla terra che ci dà il pane, al posto degli uomini lontani. È un esercito contrapposto ad un altro, l’esercito che crea, di fronte all’esercito che distrugge, per creare la pace e il bene dell’avvenire. Passano un po’ confuse, ricevono il diploma e rispondono alle parole che le autorità rivolgono loro con aria umile, un po’ impacciate come se domandassero: “Che ho fatto di straordinario?”»[12].

Una seconda premiazione delle donne che avevano sostituito i loro uomini chiamati alle armi fu tenuta il 13 novembre 1919. In quell’anno molti militari erano tornati alle loro famiglie ed il Comizio poteva riprendere i corsi dedicati alle donne per le “industrie rurali”, in particolare per l’allevamento dei bachi. Non a caso il 13 novembre 1919 dopo aver premiato le donne per il loro impegno nel corso della guerra, i dirigenti del Comizio chiamarono, consegnando loro un diploma di merito quali Esperte Bigattine, Aragno Margherita di Roccadebaldi, Bellisio Concetta di Mombasiglio, Boetti Maddalena di Morozzo, Campana Maria di Murazzano, Dardanelli Catterina di Roccadebaldi, Icardi Maria di Mombasiglio, Fissore Caterina di Trinità, Negretti Lucia di Lisio, Odasso Maddalena di Roburent, Poletti Savina di Condino (Trento), Tomatis Maria di Morozzo, Salvatico Maria di Roburent, Sciandra Virginia di Mondovì.[13]

Festa agraria uno

Festa agraria due
Le speranze di promuovere il progresso agricolo tornarono ad animare sia i dirigenti del Comizio, in particolare il cattedratico ambulante Alessandro Gioda, sia i più avveduti coltivatori. Altri problemi ed altre guerre però rimandavano sine die il riscatto rurale.

Note
[1] Per l’istruzione della donna, in “L’Agricoltore Monregalese” del 16 febbraio 1912.
[2] Bravo A., Donne contadine e prima guerra mondiale, in “Società e storia” anno III, n. 10, 1980, pag. 847.
[3] Revelli N., L’anello forte, Torino, 1985, pag. 122. La testimonianza è di Maria Goletto, classe 1887.
[4] Baudana A., Problemi inerenti alla partecipazione dei contadini delle Langhe alla prima guerra mondiale, Tesi di Laurea, Facoltà di Magistero, Anno Accademico 1978/79. pp. XXX-XXXI. Testimonianza di Angiolina Boschis, classe 1893.
[5] Ibid., pp. XXXIV-XXXV. La testimonianza è di Nina Rinaldi, classe 1893.
[6] Ibid. pp. LXIX-LXX. La testimonianza è di Maria Cagnasso, classe 1893.
[7] Il lavoro nelle campagne, in “Gazzetta di Mondovì” del 5 giugno 1915. Probabilmente la gentildonna citata era Maria Oreglia d’Isola
[8] Cfr. Attilio Ianniello, Il Comizio agrario monregalese, la Prima guerra mondiale e i riconoscimenti al lavoro delle donne contadine, in “Il presente e la storia”, n. 81, Cuneo, pp. 115ss.
[9] I premi al lavoro, in “L’Agricoltore Monregalese” del 13 ottobre 1917.
[10] Cfr. Calleri R., I premi agricoli alle donne, in “Gazzetta di Mondovì” del 14 novembre 1917.
[11] Cfr. Gioda A. La donna nelle campagne, ciò che ha fatto e ciò che deve fare, in “Bollettino C.A.M.” dell’1 dicembre 1917.
[12] Cfr. Calleri R. I premi agricoli alle donne, in “Gazzetta di Mondovì” del 14 novembre 1917.
[13] La festa agraria del 13 novembre, in “L’Agricoltore Monregalese” dell’8 novembre 1919.