Dalla “servitù volontaria” alla libertà

servitù

ATTILIO IANNIELLO.

Nella Biblioteca Civica di Mondovì Piazza viene conservata la raccolta di libri del prof. Felice Momigliano, intellettuale progressista monregalese di origine ebraica nato in Mondovì il 27 maggio 1866 e morto a Roma il 6 aprile del 1924. Tra i libri del Momigliano che i bibliotecari conservano con estrema cura vi è la prima traduzione italiana, stampata a Milano nel 1864, del saggio di Etienne De La Boétie[1] dal titolo “Il contr’uno o della servitù volontaria”.

Il testo inizia con una citazione tratta dal Libro II (vv.204-205) dell’Iliade nella quale Ulisse parlando ai Greci affermava l’irrazionalità di un governo gestito da molte persone e concludeva: «Uno solo comandi, uno solo sia il re».

Le parole di Ulisse servono al De La Boétie per sottolineare fin dall’inizio il tema del suo libro: un discorso sul potere in qualunque forma esso si presenti:

 

A parlar da uomini, l’è una gran disgrazia il dovere star sotto un padrone, che non è certo se sarà buono, dacché sta in lui l’esser tristo a suo senno; e l’aver più padroni viene a esser lo stesso che l’avere tante più disgrazie. Io non vo’ qui per ora discutere la questione tanto abburattata, se le altre maniere di repubblica son migliori della monarchia… Per ora vorrei saper solamente, potendosi, come mai tanti uomini, tante città, tante nazioni, sopportano alle volte un tiranno solo…?[2]

 

In effetti per il pensatore rinascimentale francese ci sono tre tipi di “tiranno”:

 

C’è tre razze di tiranni, dico di cattivi principi. L’uno è re per elezione di popolo; l’altro per forza d’arme; l’altro per dinastia.[3]

 

Se è facile argomentare sulla tirannia di chi assume il potere per questioni dinastiche o attraverso l’uso delle armi, della forza, più complesso è comprendere la “tirannia” di chi è stato liberamente scelto dal popolo. In questo caso Etienne De La Boétie fa cenno ad una pagina storica della Magna Grecia: i Siracusani minacciati da Cartaginesi ed Etruschi scelsero intorno al 406-7 a.C. un “uomo della provvidenza” come stratego, Dionigi, il quale poco per volta assunse tanto potere da diventare Dionigi I, tiranno della città.[4]

Certamente non deve essere stato facile inizialmente diventare, da uomini liberi, schiavi e sottomessi col tempo, però, sottolinea De La Boétie si vede la tirannia, il potere di uno sugli altri come una cosa naturale:

 

Da principio è vero che l’uomo serve a malincuore e per forza; ma chi vien dopo, che non ha mai veduto com’è fatta né di che sapore sia la libertà… fa per amore quel che gli stati innanzi a lui avevan fatto per forza. E così gli uomini nascono col giogo sul collo, e poi, venuti su nel servaggio… si appagano del vivere come sono nati e non si sognano nemmeno di possedere altri diritti e altri beni che quelli trovati, prendendo per lo stato naturale quello dove son nati.[5]

 

Inoltre molti uomini fanno di tutto per compiacere il “tiranno” di turno. Non lo osannano semplicemente ma gli offrono la loro vita, le loro intelligenze, i loro sentimenti:

 

L’ubbidirlo non basta, egli va compiaciuto: bisogna che essi si rompano le ossa, che si strazino, che s’ammazzino per attendere alle sue faccende; che facciano lor voglia della voglia di lui; che per il gusto di lui, lascino andare il loro proprio… Tocca loro a misurare le parole, la voce, i gesti, il volger degli occhi: occhi, piedi, mani, ogni cosa bisogna che sia appostata a indovinar la sua volontà, a scoprire il suo pensiero. E questo si chiama viver felici? E questo è vivere?[6]

 

Ma ci sono in tutte le epoche uomini che con la ragione («testa ben quadrata») rifiutano un dominio totale del potere:

 

Sono questi che hanno una testa ben quadrata e l’hanno anche ingentilita con lo studio e con la scienza. Questi, anche quando la libertà fosse in tutto perduta e fuori del mondo, immaginandola sì che la sentono per ispirito, e quasi assaporandola, non possono mai far la bocca alla schiavitù, sia condita saporosamente quanto gli pare.[7]

 

Ma cosa possono fare costoro per liberare se stessi e gli altri uomini dal giogo della tirannide? Etienne De La Boétie afferma:

 

Per aver la libertà non c’è bisogno d’altro che il desiderarla; basta un puro atto della volontà…[8]

 

Ed il metodo che suggerisce per iniziare il processo di liberazione pare anticipare la nonviolenza gandhiana:

 

Questo tiranno solo, non importa mica combatterlo, non c’è mica bisogno di difendersene; basta che il popolo stia duro a mettere il collo sotto il giogo, eccolo bell’e debellato di suo. Non accade portargli via nulla; basta non gli dare…[9]

 

Etienne De La Boétie sottolinea anche l’importanza dell’educazione per creare uomini liberi («La sua [dell’uomo] natura è siffatta che naturalmente conserva quella piega che le ha dato l’educazione»). Chi affronta la promozione della libertà propria ed altrui ha la consapevolezza che la libertà è ontologicamente legata alla vera natura umana:

 

la natura, ministra di Dio, governatrice degli uomini, ci ha, dirò così, fatti tutti quanti della stampa medesima, acciocché l’un l’altro ci riconoscessimo per compagni, o piuttosto per fratelli; e se, nel dispensare i vari presenti che ci faceva, l’è stata larga e dei doni del corpo e di quei dello spirito, più con Tizio che con Cajo, la non ha mica inteso per questo di metterci al mondo come in una lizza, e non ha mandato quaggiù i più forti e più furbi… per dare addosso ai più deboli; ma piuttosto è da credere che, facendo le parti più grasse a quello e più magre a quell’altro, volesse dar campo all’affezione fraterna, avendo gli uni facoltà di porgere ajuto e gli altri bisogno di riceverlo. Se dunque la buona mamma ci ha dato a tutti tutta la terra per abitacolo; se ci ha in un certo modo albergati tutti nella casa medesima, se ci ha tutti composti della stessa pasta affinché ciascuno potesse specchiarsi e quasi l’uno riconoscere sé nell’altro; quando a tutti a un modo ha fatto quel nobil presente della voce e delle parole per confabulare e affratellarci sempre più; e per la scambievole e comune significazione dei nostri pensieri, venire alla comunanza dei nostri voleri; s’ella ha fatto di tutto per stringere vieppiù sempre il nodo della nostra alleanza e compagnia; s’ella in ogni minima cosa fa vedere di non averci voluto far solamente tutti uniti, ma tutti un sol corpo; non si può venir fuori a dubitare che non siamo tutti liberi naturalmente…[10]

 

L’umanesimo di Etienne De La Boètie si fonda quindi sul concetto di fratellanza, impegno degli individui a misurare la loro libertà nella reciprocità, nella società, nel bene comune («Fra gente libera fanno a chi fa meglio, ciascuno per il bene comune, e ciascuno per sé»[11]). Con questi presupposti si comprende come il pensiero del filosofo rinascimentale francese veniva apprezzato nel corso del tempo da molti protagonisti di movimenti sociali progressisti sia socialisti che cristiani.

In particolare faceva riecheggiare suggestioni delaboetiane nel proprio lavoro teorico il socialista libertario Gustav Landauer[12]. Quest’ultimo infatti, partendo da una critica radicale della società industrial-capitalistica, promuoveva una rivoluzione non come atto violento ma come progressivo processo di crescita dell’individuo nella libertà non nella singolarità ma nella relazione con gli altri:

 

Se noi ci attrezziamo per portare a casa la libertà, se ci organizziamo e ci prepariamo nel modo giusto, nell’unico modo che non crei di nuovo illibertà e governo, allora già in questa preparazione, in questa libera organizzazione nascerà proprio la libertà e la gioia e la felicità. […]… niente di quello che riguarda veramente l’umanità, e quindi l’affratellamento e la reciproca giustizia, può essere realizzato da uomini che non operino insieme in libertà. È nel modo giusto che si deve assicurare e anche creare lavoro e pace, e, vedi, il modo giusto significa la libera collaborazione.[13]

 

Landauer specifica ulteriormente quale sia il “modo giusto” per promuovere una società di uomini veramente liberi:

 

bisogna creare organizzazioni economiche fondate sul mutuo appoggio, contando su tutti coloro che vogliono e possono farlo; educare all’autonomia e all’iniziativa individuale; organizzare la vita in modo indipendente e coraggioso.[14]

 

Le riflessioni, le idee di Etienne De la Boétie maturate nell’Umanesimo francese del XVI secolo, la ripresa di questi pensieri ad opera, per esempio, di Gustav Landauer negli anni che vanno dal 1889 al 1909, sono forse ormai oggetto museale, oggetto di archeologia del pensiero? E nella nostra epoca dove la parola libertà viene declinata in continuazione come caratteristica fondante la nostra stessa civiltà (occidentale), perché “l’affratellamento” di cui parla De La Boétie e “la gioia e la felicità” citate da Landauer, come conseguenza della libertà stessa, sono così rari tra gli uomini?

Non è certamente un breve articolo come questo che può rispondere in modo esaustivo a domande che attraversano il pensiero filosofico, sociale e politico del XX e di questi anni del XXI secolo.  Ci accontenteremo, quindi, di qualche breve cenno, di qualche suggestione che induca a ricerche ulteriori.

Nel 1972 Giorgio Gaber presentava una canzona intitolata “La Libertà”. Nel testo, tra l’altro, si diceva:

Vorrei essere libero come un uomo

Come un uomo che bisogno

di spaziare con la propria fantasia

e che trova questo spazio

solamente nella sua democrazia

Che ha diritto di votare

e che passa la sua vita a delegare

e nel farsi comandare

ha trovato la sua nuova libertà

Soprattutto nei due ultimi versi sembra che il cantautore richiami nella seconda metà del XX secolo quella “servitù volontaria” di delaboetiana memoria.

Anche l’antidoto a questa “libertà obbligatoria” [15] sembra essere calzante con il pensiero di De La Boétie ed anche di Landauer, infatti nel ritornello della canzone Gaber cantava:

 

La libertà

non è star sopra un albero

non è neanche avere un’opinione 

la libertà non è uno spazio libero

libertà è partecipazione

La partecipazione implica un’idea di libertà sociale, non solipsistica, relazionale. Ed è a queste riflessioni che giungono molti pensatori contemporanei.

Per esempio, il sociologo Zygmunt Bauman, professore emerito della Facoltà di Sociologia dell’Università di Varsavia, nell’estate del 1998 scriveva circa l’idea di libertà della società (occidentale) globalizzata e consumista:

 

Tendiamo a sentirci orgogliosi di ciò per cui dovremmo invece provare vergogna. vivere nell’epoca “postideologica o “postutopica”, mostrare indifferenza per qualunque immagine coerente di società buona e aver barattato la preoccupazione per il bene pubblico con la libertà di perseguire l’appagamento personale.[16]

 

Un altro sociologo, Mauro Magatti, preside della Facoltà di Sociologia dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, ci spiega il rapporto della (con) fusione tra idea di libertà e appagamento personale sottolineando che in questi ultimi decenni il capitalismo ha organizzato un sistematico stimolo del desiderio, che è inesauribile, del cittadino consumatore. Si radicava così un’idea di libertà che si distaccava in modo importante dalla costruzione di una propria biografia capace di dare un senso pieno alla propria esistenza, per diventare apertura senza limiti verso l’inatteso, la sorpresa.

 

Come contemporanei, noi, più che “cercare”… “troviamo. Tutto quello che possiamo fare è trovare, in un mondo che riconfigura di continuo il paniere delle alternative. In un mondo che cambia rapidamente, la libertà di scopo non si dà nella modalità tipica del passato, ossia quella del soggetto che predetermina i propri scopi e li persegue in modo convinto mettendoci tutto se stesso, ma consiste piuttosto nell’essere sempre disponibile a un eventuale nuovo scopo che nemmeno si conosce ma che comunque ci disponiamo ad abbracciare.[17]

 

Questa deriva individualista non è comunque l’ultima ed ineluttabile pagina della storia. Come lo stesso Magatti rileva che una quota minoritaria, ma crescente, di persone rifiuta il modello di iperconsumo (non solo di beni, ma anche di territorio) individualistico e si orienta verso una forma di economia promossa da una libertà che il sociologo definisce “generativa”, termine che rimanda alla vita, alla volontà del dono della vita ed implica la creazione, il mantenimento e la cura di ciò che si è creato ed il suo dono:

 

La libertà che accetta la sfida della generatività, mentre fa esistere e cura ciò che crea, non lo trattiene presso di sé, ma lo lascia a disposizione di altri, senza tuttavia che termini la responsabilità nei suoi confronti.[18] 

 

Una libertà quindi che non teme di essere limitata dagli altri, ma che cresce e crea con gli altri.[19]

Il bisogno di nuova socialità, di condivisione di spazi e di progetti di vita, bisogno accentuato dalla crisi economica, morale e valoriale di questi ultimi anni, sta “generando” forme interessanti di convivialità e di impegno sociale, oltre che favorire nuove antiche forme di mutualità e cooperazione. I Gruppi di Acquisto Solidali[20], l’associazionismo economico e le cooperative di giovani, e meno giovani, che tornano a lavorare la terra promuovendo un’agricoltura[21] che sia rispettosa delle culture e colture dei diversi territori, l’associazionismo e la cooperazione che offre servizi alle persone, sono solo alcuni esempi che vedono uomini e donne impegnati in quello “stare insieme” e “fare/progettare insieme” che sono il solo antidoto ad ogni forma di “servitù” e sono il solo sale per dare gusto alla libertà.

                                                                                       

                                                                                                    Attilio Ianniello

 


Note

[1] Il filosofo francese rinascimentale Etienne De La Boétie, nato a Sarlat il 1 novembre 1530 e morto a Germignan il 18 agosto 1563, a soli 33 anni strinse una profonda amicizia con Michel De Montaigne. Fu quest’ultimo che dopo la morte di De La Boétie avrebbe dovuto dare alle stampe l’opera dell’amico “De la servitude volontaire”, scritta nel 1552-53. In realtà il lavoro del filosofo di Sarlat veniva pubblicato integralmente nel 1576 all’interno di una raccolta di scritti antimonarchici intitolati “Memorie degli Stati di Francia sotto Carlo IX” con il titolo “Contr’uno”. L’opera di Etienne De La Boétie diventava così uno dei molti pamphlets utilizzati di volta in volta da diversi gruppi politici. Riscoperto nel corso della Rivoluzione francese, diventerà uno dei testi più citati dai socialisti utopisti, dai socialisti cristiani e dal movimento libertario e anarchico.

[2] Cfr. Etienne De La Boétie, Il contr’uno o della servitù volontaria, Milano 1864, pag. 26.

[3] Ibidem, pag. 37.

[4] Ibidem, pag. 38-39.

[5] Ibidem, pag.. 39.

[6] Ibidem,  pag. 58.

[7] Ibidem, pp. 44-45.

[8] Ibidem,  pag. 30.

[9] Ibidem, pag. 30.

[10] Ibidem, pp. 34-35.

[11] Ibidem, pag. 47.

[12] Gustav Landauer (Karlsruhe 1870 – Monaco 1919), uomo di pensiero, e d’azione politica, tedesco di origine ebraica fu promotore di un socialismo con forti connotazione profetiche.

[13] Cfr. Landauer Gustav, La comunità anarchica, Milano, 2012, pag. 149.

[14] Ibidem, pag. 89.

[15] L’ossimoro si rifà ad un’opera di Giorgio Gaber del 1976 intitolata appunto “Libertà obbligatoria”.

[16] Cfr. Bauman Zygmunt, La solitudine del cittadino globale, Milano, 2003, pag. 16. Zygmunt Bauman, nato nel 1925 a Poznari in Polonia, è uno dei sociologi e filosofi contemporanei che ha dedicato molto del suo lavoro intellettuale a comprendere la deriva della socialità in occidente e a suggerire delle prospettive di nuova socialità relazionale e solidale.

[17] Cfr. Magatti Mauro, L’economia del generare, in Del cooperare. Un manifesto per una nuova economia, Milano, 2012, pag. 76.

[18] Ibidem, pag. 88.

[19] Zygmunt Bauman scrive «la libertà individuale può essere solo il prodotto di un impegno collettivo» (Cfr. Bauman Zygmunt, op. cit., pag. 15).

[20] A Mondovì ve ne sono addirittura due, il “FamilyGas” e “Il pane e le Rose”.

[21] Su questo aspetto anche nel territorio monregalese ci sono esperienze importanti quali l’Associazione del mercato dei Contadini delle Langhe”, l’Associazione di allevatori “La Piccola”. Interessante è sottolineare che anche nell’Italia meridionale i giovani, in forme associative e cooperativistiche, si riprendono le terre e la vita. Si pensi per esempio in Calabria al Consorzio Goel o al consorzio Calabria Solidale (cfr. per esempio Terra è libertà, in “Il Manifesto” del 25 luglio 2013).