Rituali antichi delle donne georgiane

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SARAH LEAH COBHAM

Era la sera prima del mio viaggio in Georgia. Calda e umida, la metropolitana era insopportabile quindi ero contenta della passeggiata lungo viali alberati fino a Russell Square. Altri georgiofili stavano arrivando all’ambasciata, tutte donne escluso un uomo, che si scusò per il suo interesse. Dopo tutto i rituali che stavamo per esplorare erano antichi e nonostante si trovassero, dal punto di vista storico, all’interno del dominio femminile, il fascino per tali magie naturali non era appannaggio di un genere in particolare. Questo laboratorio esplorava come gli antichi rituali femminile della Georgia cambiavano il tempo atmosferico.

Mi sentivo in buone mani.

C’erano alcuni titani all’evento, donne di rilievo accademico e con un interesse di lunga data negli affari della Georgia, che rendevano l’atmosfera effervescente. Questa iniziativa era la prima del suo genere, di solito le persone venivano ai seminari incentrati sul vino e sul cibo, o sulla musica e le canzoni, ma queste esperienze non riescono mai a scalfire la superficie di una cultura basata su un concetto profondo e antico di divino femminile. C’è inoltre un crescente interesse nelle voci delle donne, precedentemente negate, e nella loro magia naturale e antica. Di norma i libri non si spingono mai oltre Tamar, regina della Georgia dal 1184 al 1213, che era così potente da venire chiamata ‘re’ Tamar, o ‘re’ Rusudan, la figlia di Tamar.

I libri di viaggi di solito esaltano la nobiltà dei cori di voci maschili così come la tradizione maschile delle feste ‘supra’ che continua a guidare gli interessi relativi alla cultura georgiana. È mia opinione che questo sia dovuto al fatto che la società georgiana è essenzialmente attrezzata per sostenere l’élite patriarcale e molti sono, ovviamente, influenzati dalle opinioni degli scrittori non specialistici.

I riti, le canzoni e le danze che abbiamo imparato quella sera erano destinate a cambiare il tempo atmosferico ed io mi sono ritrovata a pregare per la pioggia: faceva un caldo soffocante. I riti erano avvincenti, e particolarmente affascinante era la costruzione della bambola Gonja. Tornando a casa con la metropolitana, un vicino mi chiese se era una bambola voodoo! E questo dopo aver fatto un segno di sufficienza con la mano alla mia compagna georgiana che aveva protestato ad alta voce e con fervore all’affermazione che la Georgia faceva parte della Russia. Se si vuole insultare pesantemente un georgiano, questo è il modo giusto.

Mentre stavamo costruendo la bambola Gonja faceva sempre più caldo. Nonostante le finestre spalancate non si respirava e il vino rosso scuro che stavamo bevendo non soddisfaceva la mia sete.

Ma che cos’è una bambola Gonja? È una bambola fatta specificamente per un rito ed è composta da materiali che si possono trovare facilmente in natura o a casa.

Keti ci fece vedere due bastoncini che aveva tagliato da una delle sue piante di rose, uno corto e uno lungo. Aveva fatto un’incisione nel legno in modo da farli combaciare e li legò insieme a formare una croce. Questa ‘croce’ con i bracci cadenti mi faceva pensare alle ‘croci di tralci di vite’ che avevo spesso visto in Georgia e che sono associate a Santa Nino.

Le canzoni georgiane spesso mescolano le emozioni della Nana pre-cristiana, divinità mesopotamica della saggezza e della maternità legata alla luna, con la Santa Nino cristiana, che ebbe un ruolo importante nella conversione di re e regina della Georgia nel III secolo.

L’eco dello spirito di Nana si sente ancora nelle canzoni e nel linguaggio antichi e si intravede nei riti e nei simboli di molte culture ancora oggi, tanto forte era il culto della dea luna.

Keti Kalandandze

Sarah Leah Cobham e Keti Kalandandze

Nelle mani di Keti la bambola prese vita. La testa, impalata e poi legata con la corda, era stata costruita con un canovaccio in cima alla croce di legno. Poi c’erano strati di stoffa con festoni, pizzo e balze vezzose, che diedero alla bambola le sembianze di una signora paffuta e ben abbigliata. Le bambole non devono essere necessariamente donne, ma questa lo era per via del rito al quale era destinata.

Gli strati furono fermati al centro per creare l’illusione di un giro vita e poi venne aggiunto un pizzo come copricapo. Un cappello come un turbante era stato costruito avvolgendo strati su strati di velo impalpabile che cadeva sulle spalle e sul dietro. Infine venne aggiunta una collana di grani di legno e venne disegnato un viso, in questo caso costituito semplicemente da due croci per occhi e una linea diritta e severa per la bocca.

Abbiamo imparato la canzone ‘Lazare’, che proviene dalla regione centro-orientale di Kartli, dove si trova la capitale Tbilisi, insegnata con dedizione e talento da Nana Mzhavanadze, una etnomusicologa in visita, la cui voce era provata da settimane di laboratori tradizionali ma che veniva rafforzata e supportata dal gruppo. Mentre le nostre voci si armonizzavano, le tre parti della canzone si mescolavano a creare un suono bellissimo.

Nana ci insegnò anche la danza che accompagnava la canzone e a questo punto tutto sembrava gorgogliare, cuocersi, muoversi e spostarsi.

Il nostro unico uomo, catturato e rispettoso di quanto si stava svolgendo, si offrì di mettersi fuori dal cerchio e di non prendere parte alla processione, pur continuando a cantare. La reazione fu di protesta gentile, ma lui disse che il flusso di connessione femminile non doveva essere interrotto e il suo distacco dal gruppo si rivelò a posteriori la decisione giusta.

Camminammo in processione, come il rito richiedeva, in circolo e a piedi nudi cantando la prima parte di ‘Lazare’. Il caldo e l’umidità erano opprimenti, ma mentre danzavamo con la Gonja ci fu un rombo di tuono e da fuori arrivò una brezza fresca. L’aria si muoveva mentre le nostre voci presero una forza naturale che si sparse nelle sacche di aria che turbinavano veloci in mezzo a noi. Finita la processione, nella mente mi figuravo che attraversassimo un villaggio a raccogliere doni per il rito e ci dirigessimo verso un fiume. Una volta arrivati, sistemammo la Gonja al centro di un altro circolo che avevamo formato e danzammo in omaggio alla dea del passato.

Sembrava che spiriti del mondo antico si fossero uniti a noi, mentre la pioggia iniziò a cadere e picchiettare, facendo uscire vapore dal pavimento. Mi accorsi che tutti noi trascendevamo il tempo, viaggiando attraverso il villaggio, mettendo la bambola nell’acqua insieme ai nostri desideri e sogni, i battiti del nostro cuore e i nostri canti. Gli antichi ritmi senza tempo ci connettevano alla terra. Lazare ed Elia ci osservavo, ognuno in attesa del segnale per portare lampo, pioggia e tuono, e loro, questi santi che si erano infilati al posto delle loro antiche madri, ci guardavano sorridendo, perdonandoci le nostre follie e credenze nei vecchi riti, concedendoci indulgenza e benedizione.

Finimmo mentre la pioggia calda accarezzava i passaggi pedonali e le strade, e tutto alla fine si rinfrescava. Era una coincidenza?

Per celebrare il nostro successo condividemmo il piatto tradizionale di Khachapuri, un pane semplice fatto di farina, formaggio e ingredienti che le donne avrebbero potuto raccogliere nel loro spostamento dal villaggio al fiume.

Questa volta bevvi a sorsi profondi il vino rosso sangue che mi nutriva e spegneva la sete, cosa che prima non aveva fatto, e mi dava una strana soddisfazione.

Nana Mzhavanadze

Nana Mzhavanadze sulla metropolitana

Nana canta all’Acqua

Oh Lazzaro,
Oh Elia

Portate con voi
Acqua per la nostra siccità.

Guardate i nostri piedi, come sono sporchi
Guardate come attraversano la terra fertile che geme.
Guardate come il grano si rompe e pulsa.

Benedite le nostre bambole, le nostre Gonja.

Le abbiamo costruite per voi con
Il cotone dei nostri campi,
Il legno dei nostri alberi
Grani di legno e cipree delle vostre montagne che
Un tempo erano nel cuore di Nana.

Guardate, le restituiamo ai vostri fiumi
In piedi canteremo a voi, canteremo le vostre canzoni all’acqua.

Canteremo e
La vostra grazia
muterà la fame in festa e riempirà tutti i nostri stomaci.

Dea dell’acqua
Ascolta la nostra canzone.
Lascia che galleggi, unisca
I vostri torrenti tumultuosi, crei vortici potenti
E danza alla nostra canzone, ai nostri sogni, alla nostra
Saggezza.

Per te Nana che sei tutto per noi.

I poeti di Wakefield, Sarah Leah Cobham

Unspoken Georgian