La Veglia Di Dante

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STEFANO CASARINO

Sala gremita alla Società Operaia di Mutuo Soccorso di Mondovì Piazza per festeggiare i 750 anni di Dante Alighieri (in realtà, la sua data di nascita è incerta, oscilla tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265) con una riuscitissima “Vijà”.

Spiegazione per chi, come il sottoscritto, non ha grande dimestichezza col piemontese: il termine “Vijà” significa “veglia” e designa un’usanza antica, tipica della cultura contadina: quando non c’era il televisore, per passare le serate ci si incontrava tra famiglie vicine in un ampio locale – di solito la stalla – e si chiacchierava, si raccontavano storie, si mangiucchiava qualcosa e si faceva magari anche un po’ di musica).

Abbiamo fatto lo stesso con Dante e per Dante!

Il Comitato Monregalese della Società Dante Alighieri, presieduto dal Prof. Paolo Lamberti, è stato l’ente promotore: all’iniziativa hanno aderito la Delegazione di Cuneo dell’A.I.C.C. (Associazione Italiana Cultura Classica) e l’Associazione Cultuale “Gli Spigolatori”.

Il risultato è stato un divertente pot-pourri di citazioni e letture dantesche, di esegesi e commenti tra il dotto e il divertente e soprattutto di tanta bella musica, non esattamente dei tempi di Dante!

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Il pubblico ha compreso benissimo di cosa si sarebbe trattato sin dall’inizio, quando senza nessuna introduzione, Ada Prucca ha letto i misteriosissimi versi dell’inizio del c. VII dell’Inferno: Pape Satàn, pape Satàn aleppe e immediatamente dopo ha cantato (benissimo, ovviamente!) Sacundì sacundà: doppio nesso della presenza del diavolo e del ritmo ossitono, ma soprattutto evidente divertissement, che ha dato il la a tutta la serata, in una sorta di sarabanda tra antico e moderno.

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Gli onori di casa sono stati fatti da Paolo Lamberti, che ha anzitutto messo in dubbio il titolo stesso con cui tutto il mondo conosce il poema dantesco: “Divina Commedia”. L’aggettivo è stato proposto per la prima volta da Boccaccio, ma è diventato canonico con l’umanista Lodovico Dolce che lo mise nel frontespizio della sua edizione dantesca del 1555; il termine “commedia”, Dante lo impiega due volte, ma altrettante impiega il termine “poema” (entrambe le volte nel Paradiso e per giunta in luoghi tra loro vicini: sacrato poema in Par.XXIII,62 e il poema sacro/al quale ha posto mano e cielo e terra, Par. XXV,1-2). Nel 1502 Pietro Bembo cura un’edizione che intitola “Le Terze Rime di Dante”; Byron parlò di “The Prophecy of Dante. A poem”.
Messa inizialmente in crisi l’unanime certezza del pubblico (chi di coloro in sala aveva mai prima dubitato che Dante fosse l’autore della Divina Commedia?), Lamberti si è (e ci ha!) dilettato poi a seminare dubbi su altre certezze: ma sono davvero tre le fiere incontrate nel primo canto dell’Inferno? e se fosse una sola che assume tre forme, una sorta di deformazione maligna della Trinità (del resto, dove spariscono la lonza e il leone? Dante alla fine parla solo della lupa!). E anche quanto a definizione di genere, Dante ci confonde un po’ le idee: Virgilio è talvolta presentato in modo femmineo, come una mamma, e Beatrice in modo mascolino.Che nella profezia dantesca fosse prevista anche l’attuale confusione circa l’ “identità di genere”?!

L’esposizione lambertiana è stata piacevolmente inframmezzata dalla lettura delle terzine dantesche (Inf. I, 1-60) proposta da Giuditta Aimo, e dagli interventi musicali: oltre alla già citata Ada Prucca, gli apprezzatissimi Mario Manfredi (chitarra), Attilio Ferrua (voce e chitarra) e Paolo Rolfi (percussioni e voci) hanno dato un contributo essenziale, che il pubblico ha dimostrato di gradire con intensi e reiterati applausi.
Non si poteva non giocare con l’onnipresente Beatrice: introdotta da Tu si ‘na cosa grande e da Malafemmena (addirittura!), la donna amata da Dante (e di cui forse lei mai si accorse!) ha parlato con la commossa voce di G. Aimo (Inf. II, 58-72) ed è stata celebrata dal raffinato commento di Gabriella Mongardi, che ha opportunamente citato due splendidi saggi di J.L.Borges, L’incontro in un sogno e L’ultimo sorriso di Beatrice, destando certamente nel pubblico il desiderio di leggerli (entrambi brevissimi, quattro-cinque pagine ciascuno).
Solo alla musica è stato lasciato il “trattamento” dell’Ulisse dantesco, prototipo del viaggiatore senza tempo e senza età: da Non partir, grande successo di F.Buscaglione e di Mina (1958) a Via con me (Paolo Conte, 1981) alla recentissima Come Ulisse del rapper Raige (2014).

Il “salto” alla seconda cantica è avvenuto tramite la lettura di Purg. XI, 79-108: una trentina di versi, quelli dell’incontro di Dante con Oderisi d’Agobbio.

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Li ha illustrati il sottoscritto, che ha voluto ricordare la tradizione delle Lecturae Dantis, inaugurate proprio da Giovanni Boccaccio il 23 ottobre 1373 nella Chiesa di S.Stefano di Badia: il luogo in cui Dante incontrò per la prima volta Beatrice, ma soprattutto “la chiesa del popolo”, ed è giusto ricordare questa volontà – che in fondo è stata ripresa anche questa sera! – di divulgazione della cultura. Dante ci credeva davvero, per questo scrisse il Convivio, che voleva essere appunto il distribuire a tutti coloro che avessero voluto “lo pane della scienza”, cioè la cultura.
“Cultura” che non deve mai essere confusa con “erudizione”: della prima l’uomo ha un’assoluta necessità; della seconda può fare tranquillamente a meno!

I versi letti costituiscono una formidabile lezione di umiltà, quella che appunto dovrebbe sempre insegnare la “cultura”, quella di cui oggi c’è, a giudizio di chi scrive, un disperato bisogno. A tutti i livelli, in primis nella politica!

Oderisi solo nell’Aldilà ammette di essere stato un autore à la page; ma la moda passa, come tutte le cose umane, e ora altri sulla Terra hanno il primato nella sua arte: e così avviene nella pittura e nella letteratura, in tutti i campi.

La gloria appartiene solo a Dio: suo è il Tempo, che resta l’unico giudice davvero affidabile per valutare il valore delle “cose” umane. Mille anni, rispetto all’eternità, sono un “muover di ciglia”, un battito di palpebre: per l’esistenza umana, invece, un tempo inimmaginabile.Dante, però, a 750 anni è già arrivato, ha colmato i tre quarti di quella cifra! E di lui si continua ancora a parlare, con lui ci si continua ad intrattenere. In modi e forme diverse, perché gli interrogativi che pone, da bravo classico, sono senza tempo.

Finale tutta affidato alla musica, per il crescente diletto del pubblico.
Quattro pezzi in successione: Brividi, L’Armando, Accendi una luna nel cielo e Poeta, mio poeta vagabondo: l’ultimo pezzo, iniziato in italiano e concluso in portoghese, contiene versi adattissimi alla serata: “Poeta, mio poeta vagabondo/ sei un cattivo esempio/ per la gente come noi/ A fare come te si può scoprire/ che vivere non è / cercare dei perché/ ma usar la bocca gli occhi e il cuore”.
Ci piace credere che Dante sarebbe stato contento di questo commento in musica: il pubblico, a giudicare dall’interminabile applauso, lo è stato!

QUI il testo dell’intervento di Stefano Casarino

QUI il testo dell’intervento di Gabriella Mongardi

QUI l’intervento di Paolo Lamberti: DANTE.04.PL,GA

QUI la parte musicale della serata

QUI altri festeggiamenti per Dante