L’incredibile storia del profeta Mansur

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Quattordicesima puntata Il fumo e la scala di vetro

FRANCESCO PICCO

Le prophète Mansour c’est moi!

Viktor ascoltò la risposta già quasi in stato di trance. Gli sembrava di saperla da sempre, in mezzo a quel fumo denso e odoroso che stava invadendo gli spazi dei suoi alveoli polmonari e nello stesso tempo saturava ogni minuscolo interstizio ricavato nell’oscurità della stanza.

La figura di padre Hovan emergeva a tratti dalla nebbia che si espandeva nel vuoto della cella monacale. Ma non era più, non era sempre la figura di padre Hovan. Così come quella non era più, non era sempre la cella di un convento armeno. Talvolta era un caravanserraglio, talaltra una chiesa, di quando in quando un teatro anatomico d’università o un ospedale da campo. E Padre Hovan di volta in volta gli appariva tra i fumi come un giovane medico vestito all’occidentale, come un frate domenicano dallo sguardo severo, come un principe orientale dal volto velato, come un predicatore mussulmano con gli occhi iniettati di Dio, come…

Dësvijte!

Padre Hovan era di nuovo padre Hovan e gli aveva appena dato uno schiaffo dicendogli, in piemontese, di svegliarsi. Poi gli porse la propria mano secca e rugosa – una mano da pianista, pensò Viktor sospettando che un’altra, imprevista identità potesse celarsi dietro la maschera del taumaturgo – e lo invitò ad alzarsi. Viktor obbedì e si rimise in piedi. Le tempie ripresero a pulsargli con violenza ed ebbe l’impressione che gli mancasse il fiato.

Padre Hovan lo condusse con sé verso una porticina in legno che prima il ragazzo non aveva notato. Armeggiò intorno a una serratura, poi scostò con violenza un pesante chiavistello di ferro. La porta si aprì e con grande meraviglia Viktor si trovò su un terrazzo, da cui dominava l’intero panorama delle Isole Solovetsk. Era l’alba e l’aria odorava di ghiaccio, di mare e di sole incipiente.  Viktor respirò profondamente, tossì, respirò di nuovo. Dopo tutto era un medico e sapeva come fare per rimettersi in forma. Sentì l’aria frizzante penetrargli nei polmoni e nelle narici, riattivandogli il cervello e i muscoli. Si sentì colmo di una strana, inattesa energia e sorrise vistosamente a padre Hovan, che ricambiò con uno sguardo ironicamente affettuoso, come quello di un vecchio precettore intenzionato a non rimproverare le marachelle dei propri discepoli.

Poi padre Hovan senza dire nulla si incamminò lungo il terrazzo e Viktor si rese conto che non si trattava di un semplice terrazzino bensì di una vera e propria balconata, che girava tutt’intorno all’edificio dalla parte della laguna. La percorsero per un tratto piuttosto lungo, mutando più volte l’angolo di visuale da cui guardare il complesso religioso che sorgeva sulle isole. Poi, arrivarono a una sorta di slargo contornato di una balaustra in marmo bianchissimo (mentre il resto dei parapetti era in semplice pietra grigia). In questo slargo si apriva una sorta di botola, senza copertura, da cui partiva verso il basso una scala a chiocciola. Era anch’essa in marmo, nascosta dentro una falsa colonna il cui finto marmo era in realtà un vetro finemente lavorato che consentiva di mantenere costante la luce all’interno.

Genial! disse entusiasta Viktor.

Sì, geniale come la casa della Madonna a Loreto – replicò Padre Hovan. La casa della Madonna? Che cosa c’entrava adesso la casa della Madonna?

Ci sei mai stato?  chiese padre Hovan a Viktor, che scosse il capo.

Male, commentò il vecchio.

È ora di rimediare, allora. Scendi dalla scala e io ti seguirò.

Viktor, senza parole, mise il piede sul primo gradino e cominciò a scendere. La scala era rassicurante, la luce dell’alba ormai squadernata nel cielo filtrava dai finti marmi e non c’era rischio di inciampare.

Ma – chiese a un certo punto al vecchio taumaturgo che lo seguiva – dov’è che stiamo andando?

A Loreto, te l’ho detto. A Loreto. È lì che tutto comincia…

(Continua)

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Illustrazione di Franco Blandino