Sedicesima puntata - La porta dei cieli
FRANCESCO PICCO
Viktor non aveva mai resistito al buio. Il suo alter ego bambino, il piccolo Vittorio Amedeo terrorizzato dalle tenebre, era rimasto annidato nel suo cuore nonostante il passare degli anni. Il buio continuava a spaventarlo fino a farlo piangere e urlare di autentica, viscerale paura.
Eppure stavolta doveva restare in silenzio là dentro, e farsi forza. Costringersi a non urlare. Non perché qualcuno potesse sentirlo: là sotto in quell’edificio, in quell’antro della Madonna, non c’erano altri che lui e padre Hovan. Ma il problema era proprio padre Hovan, che lo teneva stretto per un braccio e stringeva ancora di più la morsa se lo sentiva tremare.
Viktor s’impose di controllare inspirazione ed espirazione, cercando di rallentare anche il ritmo cardiaco. E intanto si rese conto – con stupore – che l’oscurità minuto dopo minuto diventava sempre meno intensa. I contorni interni della casa – un edificio di mattoni scuri decisamente piccolo – gli si facevano chiari e distinti. Poteva vedere al buio. I suoi occhi erano capaci di penetrare in profondità nelle tenebre. D’improvviso, non ebbe più paura. Padre Hovan allentò la presa e lo lasciò libero. Tutto gli era chiaro, adesso.
Volse la testa verso padre Hovan e lo guardò. Negli occhi. Poi decise che era il momento di chiedere.
Costa sì a sarìa la ca dla Madòna? E còsa a-i fa belessì? E përché ch’i l’avé dime che tut a l’è comensà da sì? E cand vo’ disé “tut”, lòn ch’a l’é ch’i volé dì ?[1]
Padre Hovan sorrise. Mise un braccio sulla spalla di Viktor e lo condusse verso la parete di fronte. Qui, Viktor vide una teca con la statua oblunga di una Madonna nera. Pensò che fosse nera per l’oscurità dell’ambiente, ma poi si rese conto che invece era nera davvero. Di fronte a questa statua stavano due inginocchiatoi di legno con un cuscino. Istintivamente Viktor si inginocchiò e padre Hovan si inginocchiò accanto a lui. Passò qualche minuto di assoluto silenzio. Poi padre Hovan tossì e incominciò a raccontare.
*
Non era un semplice racconto. La voce del vecchio taumaturgo avvolse Viktor come le fasce avvolgono un neonato. Man mano che la narrazione di padre Hovan gli si avvolgeva intorno, Viktor si sentiva rapire, catturare, portar via dal luogo e dal tempo in cui era. Pensò per un momento che davvero il vecchio frate avesse un potere divino, o demoniaco: il potere di aspirare le anime altrui, come un gorgo nel fiume trascina verso luoghi ignoti e pericolosi i corpi leggeri dei ragazzi che vi si bagnano nudi e incauti nella calura d’agosto. E anche Viktor si sentiva nudo, adolescente e incauto – ma fu appena la sensazione di un attimo. Poi non pensò né sentì più nulla. Precipitò in una sorta di sonno vigile, da cui si risvegliò intontito ed incredulo a distanza di alcuni minuti – o forse di decine di anni…
Si stropicciò gli occhi e si accorse che l’oscurità del luogo era ancora meno intensa di prima. Una luce irreale penetrava nella casa della Madonna. Era ancora con padre Hovan, ma padre Hovan non era più un vecchio con la barba bianca. Era un giovane, anzi un ragazzo, la sua pelle morbida e lucida come quella di Viktor. Non aveva quasi barba, solo un accenno di pizzo sul mento. Era intensamente raccolto in preghiera e il suo viso, con gli occhi socchiusi, sembrava il viso di un santo dipinto.
Viktor non osava disturbarlo, né chiedergli nulla. Attese che il ringiovanito taumaturgo volgesse lo sguardo verso di lui. Poi istintivamente gli chiese come si chiamasse. Stupefatto, il vecchio lo guardò.
Lo sas già com’im ciam, ëm pijes-to ’d bala? I son Gioann Batista Boèt. L’oma studià ’nsema da médich a Turin, t’aròdes-to pì nen? Stas-to nen ben, Vitòrio?[2]
È questa umidità che mi fa star male – rispose Viktor, ridiventato per magia Vittorio. Il cuore gli sobbalzò in petto – sistole, diastole – ma in un attimo ricominciò a battere con la regolarità consueta in un ragazzo di poco più di vent’anni. Non sapeva spiegarsi che cosa fosse successo, se fosse un sogno o un’esperienza reale, ma decise di non chiedersi nulla. Era chiaro che qualcosa lo aveva riportato indietro nel tempo, in un tempo lontano in cui lui nemmeno esisteva. E ora viveva in quel tempo come spalla teatrale, od ombra, di un uomo dalle mille vite. Una di quelle vite, evidentemente, il mago – o medico, o taumaturgo – aveva deciso di riviverla insieme a lui. Vittorio Amedeo e Giovanni Battista, quattro nomi, due uomini, e un milione di avventure da scrivere. Indietro nel tempo, nella luminosa penombra pontificia del 1763…
[1] Questa sarebbe la casa della Madonna? E cosa ci fa qui? E perché mi avete detto che tutto è cominciato da qui? E quando voi dite “tutto”, cos’è che volete dire?
[2] Lo sai già come mi chiamo, mi prendi in giro? Sono Giovanni Battista Boetti. Abbiamo studiato insieme medicina a Torino, non ti ricordi più? Non stai bene, Vittorio?
(Continua)
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Illustrazione di Franco Blandino