Diciottesima puntata - Cinque anni da frati a Ferrara
FRANCESCO PICCO
Trascorsero così a Ferrara un intero quinquennio, mostrandosi ben presto più istruiti dei loro stessi professori. Sia Giovanni Battista sia Vittorio Amedeo vennero rapidamente considerati da tutti i confratelli come due autentici santi; in più, Vittorio Amedeo – dei due il più schivo, taciturno, dimesso – pareva lasciar trapelare un dono fin allora mai visto, quello cioè di conoscere il futuro. Buttava lì nel discorso, nei momenti più rilassati e meno seri, un cenno distratto a quel che sarebbe accaduto di lì a poco: quale re avrebbe vinto la tal guerra, quale paese sarebbe stato devastato dal terremoto o dall’alluvione, quale principe sarebbe morto improvvisamente prima ancora di salire al trono, oppure dove si sarebbe estesa quell’epidemia di cui fino ad allora si era sentito parlare così in sordina. Con malcelato stupore, i frati domenicani avevano dovuto constatare che queste previsioni si erano regolarmente avverate. Interrogato sul fatto, il giovane confratello si limitava a far spallucce con aria di modestia; e a sorridere, con un’espressione da bambino colto sul fatto. Solo una volta, messo alle strette da un crocicchio di frati anziani particolarmente minacciosi, aveva detto (con studiata, dimessa lentezza) Dio mi ha concesso di vedere un po’ di futuro…Che cosa intendesse dire esattamente con questo, non aveva saputo o voluto spiegarlo; ma la risposta era devota e umile, sicché il concetto della sua santità si era – se possibile – allargato, come un’onda nell’acqua suscitata da un sasso. Per parte sua, invece, Giovanni Battista sopperiva alla mancanza di questo talento con ben diversi carismi, riuscendo benissimo nell’intento di fare il santo: zelantissimo osservatore della regola, fin nelle più insignificanti minuzie, sempre chino sui libri di teologia e sulle opere di devozione dall’Imitatio Christi in giù, finì in breve per essere considerato degno del massimo onore che possa tributarsi a un frate: essere scelto cioè come missionario per diffondere la Buona Novella di Nostro Signore Gesù Cristo in partibus infidelium, e più precisamente nell’Oriente mesopotamico. Nel 1769 egli fu convocato dal padre superiore e nella penombra del concistoro gli venne ufficialmente comunicata la propria assegnazione definitiva al convento di Mossul, pericolosa città sorta presso le rovine dell’antica Ninive biblica, tra Turchia Persia e Caucaso. Qui, gli disse l’anziano superiore con un paterno tremolio della voce, egli sarebbe stato miles Christi e forse per la maggior gloria di Dio e del suo Unigenito Figlio sarebbe stato chiamato a versare il proprio giovane sangue. Perciò, se aveva un desiderio da esaudire prima del viaggio missionario, era invitato a dirlo e, qualora si fosse trattato di cosa onesta e procurabile, il desiderio sarebbe stato senza indugio esaudito. Giovanni Battista non ci pensò due volte: sollevò il capo mostrando al superiore due occhi infiammati di entusiasmo e disse di non voler chiedere nulla, se non la compagnia di frate Vittorio Amedeo, che più d’una volta gli aveva espresso l’intenzione di diffondere la parola di Dio nel lontano Oriente preda del paganesimo e dell’eresia.
La richiesta lasciò interdetto il superiore, che non aveva mai visto in Vittorio Amedeo un possibile missionario oltremare. Ne avrebbe preconizzato tutt’altra vita, immaginandoselo nascosto come una gemma preziosa nei confessionali di qualche santuario dell’Italia settentrionale: poiché ben sapeva quale frutto immenso di conversione e di salvezza riuscisse a far germogliare nei cuori di chi si confessava da lui. Un dubbio atroce e indicibile attraversò per un attimo la mente del padre superiore, come egli stesso scrisse nelle proprie memorie: ma a differenza di quanto molti storici pensano, non fu certo un dubbio lascivo sul legame fra i due giovani medici piemontesi. Il vecchio padre conosceva bene l’indole dei due e sapeva che a questo non doveva pensare: piuttosto – ed era cosa più grave – gli venne il dubbio che frate Giovanni Battista non fosse in realtà null’altro che un istrione, e che la sua richiesta di avere con sé frate Vittorio Amedeo fosse la banale richiesta di un attore che per condurre a termine lo spettacolo ha bisogno di avere accanto una spalla, un comprimario, un sostegno alla recitazione.
Ma se anche così fosse stato, era tardi per scoprirlo. Il padre superiore scacciò dal suo animo il dubbio, assentì con il capo e finalmente disse di sì. Di lì a tre giorni, lui e il suo confratello si sarebbero staccati entrambi dal convento di Ferrara e, insieme come erano arrivati, insieme sarebbero partiti: alla volta di Venezia, per alloggiare in San Domenico di Castello fino al momento in cui fosse salpata dal porto una nave diretta nell’Impero Ottomano.
(Continua)
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Illustrazione di Franco Blandino