Viva Aristotele, abbasso gli aristotelici!

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Raffaello, Scuola di Atene (da Wikimedia Commons)

GIACOMO BAGNA, STEFANO CASARINO.

La lezione dei maestri perdura anche a distanza di tantissimo tempo, anche nonostante la ricezione spesso imperfetta e i fraintendimenti di qualche epigono, o troppo diligente o troppo ottuso. Questo è particolarmente vero per Aristotele, al quale la Delegazione di Cuneo dell’Associazione italiana di Cultura Classica ha dedicato un ciclo di conferenze dal titolo: Ritorno ad Aristotele. Le odierne riprese del suo pensiero.

In apertura il Prof. Stefano Casarino, Presidente della Delegazione, ha voluto sottolineare ancora una volta l’atemporale grandezza del filosofo di Stagira, del quale troppo spesso non si evidenziano l’apertura e la modernità: è facile, infatti, cadere nel convincimento che il “sistema” aristotelico fosse rigido ed esclusivo. Niente di più falso: come spesso accade nella storia, sostiene Casarino, il problema non sono i singoli pensatori, i maestri,  ma i loro interpreti ed esegeti (Galileo stesso, che per “colpa” di Aristotele – o, meglio, degli aristotelici  – fu fortemente osteggiato nella sua ricerca, dichiara in una sua lettera che sarebbe stato volentieri studente di un maestro straordinario come Aristotele).

Dalla testimonianza di Diogene Laerzio (II-III d.C.) scaturisce un pensatore “simpatico”, pronto alla battuta di spirito (due esempi possono essere sufficienti: Gli fu domandato quanto differiscano gli uomini colti dagli incolti e la sua risposta fu: “Tanto quanto i vivi dai morti”; A chi gli chiese perché conversiamo molto tempo con le persone belle, rispose: “È la domanda di un cieco”;) e ‘affetto’ da una formidabile curiosità intellettuale, che lo ha indotto ad esplorare tutte le forme dell’esistenza, senza ritenerne nessuna indegna d’analisi e di ricerca. C’è molto bisogno oggi, nell’età della complessità, di una tale visione olistica: non è difficile, infatti, riscontrare positive influenze aristoteliche, ad es., in Edgard Morin (con la sua proposta di “umanesimo planetario”) e in Ludwig von Bertalanffy (con la sua Teoria generale dei sistemi).

i proff. Curnis e Casarino

i proff. Curnis e Casarino

È toccato al Prof. Michele Curnis, docente dell’Universidad Carlos III di Madrid, articolare ed approfondire meglio questo aspetto, strutturando il suo intervento a partire  dal celeberrimo proverbio “una rondine non fa primavera”, che forse  molti non sanno essere proprio di origine aristotelica. Attestazioni dell’uso di questo proverbio nella lingua italiana sono presenti in diversi testi, come la raccolta di proverbi toscani di Giuseppe Giusti del 1853, in cui viene elencato poiché Dante l’aveva inserito nel suo Convivio. Il sommo poeta conosceva perfettamente l’origine aristotelica del proverbio, che compare al termine di un passo dell’Etica Nicomachea – proiettato con una slide in greco antico per la gioia del folto pubblico, ma immediatamente tradotto – dove Aristotele spiega come un uomo debba realizzare la propria “vita compiuta” per potersi considerare felice, obiettivo ultimo da conseguire attraverso la virtù della ragione. La strada da percorrere, però, dura tutta una vita, e sicuramente non bastano pochi giorni di felicità per poter considerare felice un’intera esistenza: infatti, una rondine non fa primavera! L’uomo deve considerare il bilancio di un’intera esistenza, solo così può capire se la virtù lo ha davvero condotto alla felicità.

Molto denso di concetti e di suggestioni filosofico-letterarie l’intervento a due voci dei Proff. Sergio Carletto e Mauro Somà, rispettivamente docenti di Filosofia e di Lettere al Liceo Classico “S.Pellico” di Cuneo:  incentrato sullo spinoso tema dell’averroismo (cioè della particolare interpretazione di Aristotele del commentatore arabo Averroè, che ebbe fortuna dal 1200 al 1300 in Europa, destando però contrasti e forte opposizione all’interno della cristianità: si vedano gli attacchi e le condanne di Bonaventura di Bagnoregio, di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino), ha fornito una disanima del concetto di “intelletto possibile”  e della particolare lettura “oppositiva” che Sigieri di Brabante fece di Aristotele (Coloro che intraprendono l’esposizione delle opere di Aristotele non ne debbono nascondere il pensiero anche se contrario alla verità). Dante, però, colloca Averroè nel Limbo (Inf. IV, 144: Averoìs che’l gran comento feo) e Sigieri nel Paradioso (Par. X, 136-138: essa è la luce etterna di Sigieri, / che, leggendo nel Vico de li Strami, / silogizzò invidiosi veri).

Sulla figura di Guido Cavalcanti e sul suo particolare averroismo si è soffermato il Prof. Somà, che ha messo in luce le consistenti divergenze intellettuali tra lui e Dante (citando sia la canzone dantesca Donne ch’avete intelletto d’amore, La Vita Nova, cap. XIX, sia il sonetto cavalcantiano I’ vegno il giorno a te infinite volte).

In chiusura il Prof. Sergio Giuliani, nel suo intervento dedicato al De anima, ha spaziato con trascinante entusiasmo dalla particolare apertura concettuale di Aristotele sull’“oggetto anima” all’autogratificazione della virtù che non ha bisogno di premi e ricompense ma che trova fondamento e compenso in sé. Del celeberrimo affresco di Raffaello, la Scuola di Atene (1509-11), proiettato alle sue spalle, Giuliani ha offerto una stimolante rilettura: la mano spalancata del più giovane Aristotele non addita la terra, come semplicisticamente si può credere, ma contiene e placa l’indicazione metafisica del gesto del più anziano Platone. L’alunno corregge il maestro, riprende i suoi insegnamenti ma si muove con propria autonomia di ricerca e pensiero.

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Questo è quanto Aristotele ha saputo fare con la lezione di Platone, questo è quanto purtroppo troppi aristotelici non sono stati in grado di fare con lui.