Mille contadini

Incontro con Roberto Schellino

Mille contadini

ATTILIO IANNIELLO (a cura)
È uscito per le edizioni Ellin Selae il suo libro “Mille contadini”. Può dirci cosa l’ha spinta a scriverlo?

Lo stimolo principale è venuto dal mio coinvolgimento nelle Associazioni e nei movimenti contadini, ed in particolare nell’esperienza, ancora in sviluppo, della Campagna popolare per l’agricoltura contadina.
Da un lato mi sono reso conto di come l’attuale cultura del mondo politico progressista, democratico o di “sinistra” (o come lo si voglia chiamare) faccia una grande fatica a capire le esperienze e le pratiche di chi percorre strade differenti a quelle della “cultura d’impresa”, che è divenuto ormai il verbo unico anche nel mondo agricolo. D’altro canto anche le nuove pratiche sociali contadine in diversi casi sono, secondo me, condizionate da visioni ideologiche antagoniste che ne limitano la capacità di confronto con gli agricoltori “tradizionali”.
Ho sentito quindi il bisogno di rileggere e ritornare sui passi dei contadini nella storia, per capire come nel tempo si sono sviluppate le lotte sociali e le condizioni di vita nelle campagne, per trarne insegnamenti utili alle nostre azioni future.

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Il sottotitolo del suo libro recita: “Una storia corale delle campagne. Dalle lotte di ieri alle prospettive di oggi”. Quali lotte, secondo lei vale la pena di ricordare e quali prospettive oggi si aprono per l’agricoltura?

Quello che è importante e interessante è seguirne lo sviluppo storico e approfondire gli esempi più significativi.
Per secoli i contadini hanno periodicamente reagito all’ingiustizia ed allo sfruttamento con esplosioni di ribellismo collettivo, più o meno esteso secondo i casi, ma sempre stroncati militarmente, dalle rivolte dei contadini piemontesi nel ’700 al grande fenomeno del cosiddetto brigantaggio nel Sud nel secondo Ottocento. Un salto di qualità avviene con la nascita delle prime Leghe di salariati agricoli nelle campagne per rivendicazioni sindacali, nel nuovo contesto dell’agricoltura capitalista di fine Ottocento. Queste esperienze sono frutto dell’ azione del partito socialista prima e poi anche comunista nel Novecento, con le lotte contro il latifondo e lo sfruttamento dei mezzadri nel centro-sud. Esse erano parte di una nuova visione della società portata dal socialismo europeo, che si esaurisce nel secondo novecento, con l’assorbimento di essa nella condivisione del modello neoliberista anche in agricoltura, e quindi la sottomissione alle parole d’ordine del cibo come merce, della concorrenza, della competizione globale, della dipendenza dai grandi mercati.
Ma sui temi di una nuova agricoltura, sana, territoriale, giusta per l’ uomo e il suo ambiente, nascono nuove e multiformi esperienze a partire dalla fine degli anni ’70 del Novecento, che continuano oggi cercando di radicarsi sempre più nella nostra società. Questa è secondo me la nuova cultura contadina che potrà, forse, portare un beneficio positivo al nostro mondo.

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foto Bruna Bonino

Qual è oggi e quale dovrebbe essere il rapporto agricoltura e società?

Credo possa riassumersi in una frase: la sovranità alimentare come diritto di ogni popolo.
Cibo, aria e acqua sono gli elementi fondamentali per la nostra vita. Essi sono quindi un diritto inalienabile di ogni essere umano allo stesso modo. Sani, non inquinati e senza sfruttamento.
Nella nostra attuale società il cibo è ancora prodotto in regime di economia privata e quindi sottoposto a regole di mercato e di conseguenza trattato come semplice merce. L’accesso al cibo è quindi condizionato dal denaro posseduto.
L’ agricoltura che oggi si definisce “professionale, imprenditoriale” lo produce, almeno in Europa, in un regime di economia assistita, la grande maggioranza delle Imprese agricole italiane, a differenza degli altri settori produttivi, riesce a stare sul mercato solo grazie ai finanziamenti pubblici europei, perché se lasciate competere da sole sul mercato mondiale, non sopravviverebbero. Oggi è indispensabile ricostruire un’agricoltura a misura umana, adatta all’oggi e con le nuove conoscenze scientifiche, che superi l’economia della merce e si fondi sulla produzione di beni comuni, dove il lavoro con la terra sia anche espressione di una scelta di vita e parte di un percorso per una nuova società più giusta.

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