LORENZO BARBERIS.
“Alcuni appunti prima di uccidere” è il romanzo d’esordio di Alessandro Sofia, ricco di sfumature noir e a tratti anche esoteriche, come diremo. Il romanzo ci ha incuriosito, decisamente (e inquietato, anche) e abbiamo deciso di sviluppare un’intervista all’autore. Ne è emersa una testimonianza di scrittura forte, a suo modo già “letteraria” essa stessa, nel senso buono del termine. Il bel corredo iconografico è opera di Michela Versari.
“Alcuni appunti prima di uccidere” nasce nell’almeno apparente forma di un noir. Da dove proviene questa scelta narrativa specifica per il tuo esordio letterario?
La realtà che circonda è un noir. Si sa chi farà cosa, ma non sappiamo se riuscirà nei suoi propositi, se qualcuno interverrà in tempo, se ci saranno ripensamenti o potremmo anche non sapere mai come andrà a finire. Insomma, lo scrittore è quel che percepisce attorno a sé, è alimentato dalla quotidianità. Quando ha cominciato a prendere forma “Alcuni appunti prima di uccidere” non ho pensato ad alcunché, nulla di razionale, di voluto, costruito. Tantomeno il genere. E’ quel che è, perché così ha voluto essere tramite me.
La forma prescelta da un punto stilistico pare utilizzare frequentemente uno stile volutamente frammentario, non-lineare. Da cosa questa scelta?
Il protagonista si esprime così. Io ho scritto sotto dettatura. Letteralmente. Quando improvvisamente mi veniva a fare visita, la mia mente si interrompeva. E produceva. Produceva qualcosa di esterno a me, percepito così; come se qualcuno mi dicesse cosa scrivere e come, facendo la massima attenzione alla punteggiatura, ai periodi, alla forma espressiva durante l’alternarsi dei giorni. La scrittura parla del protagonista, è la sua firma, ogni particolare è un messaggio da decifrare. In alcuni passaggi perfino il numero delle righe. Ma non voglio suggerire troppo. “Alcuni appunti prima di uccidere” è un invito all’esplorazione.
Non ritengo di avere modelli letterari. Lo affermo con la più profonda e sincera umiltà. Non riuscirei a scrivere pensando a un modello, non sarei più io, non sarei schietto, sincero. E ogni forma d’arte per me deve essere frutto della schiettezza, della spontaneità. Certo, chi ama la lettura inevitabilmente si alimenta di quel che lo attrae, di quel che gli suscita emozioni. Ed io da ragazzino sono stato folgorato da William Blake e da Fedor Dostoevskij. Chissà, forse, ognuno a modo loro, mi hanno smosso qualcosa dentro che poi ha contribuito alla nascita di “Alcuni appunti prima di uccidere”.
Sono un onnivoro. Tutto quel che artisticamente stimolante mi attrae. Senza preclusioni, pregiudizi. Riallacciandomi alla domanda di prima, consciamente non ho influenze. E’ ovvio, però, che siamo quel che abbiamo dentro. E l’universo che si agita all’interno di ognuno di noi è animato da quel che attira la nostra attenzione e assorbiamo. Il mio inconscio, dunque, di certo ha immagazzinato quel che mi suscita la passione per Hieronymus Bosch, René Magritte e William Turner. Eppoi rivedrei all’infinito due film su tutti: Il Settimo Sigillo, Vanilla Sky.
Hai colto un aspetto importante. “Alcuni appunti prima di uccidere” è disseminato di elementi simbolici. Alcuni evidenti, altri nascosti. Tutto è espressione, messaggio, invito alla soluzione o interpretazione. Tutto, Le pagine, le parole, le righe, la punteggiatura. Alcuni termini non hanno il significato che sembrano avere a prima vista. Faccio un esempio, solo uno per non togliere il piacere a chi vorrà onorarmi della lettura: abbraccio. Il termine abbraccio. Si può abbracciare per passione, per dolore, per goliardia, per solidarietà, per soffocare, per stritolare. Ecco, nel passaggio in cui si parla di un abbraccio, cosa vuole lasciare intendere il protagonista? Come sarà interpretato da chi leggerà?
Ci sono altri aneddoti e curiosità sul tuo romanzo che puoi e vuoi divulgare ai nostri lettori?
L’unico. Ho scritto “Alcuni appunti di uccidere” ovunque. Quando ricevevo il comando di scrivere, non importa dove fossi e cosa stessi facendo, dovevo registrare su carta quel che il protagonista mi dettava. Quindi mi è capitato di scrivere su scontrini della spesa, sui bordi di fogli di giornale, sulla tovaglia di carta della pizzeria, sulla carta di un regalo appena scartato, sul sacchetto di plastica del supermercato. Una notte, per timore di essere ossessionato dai sensi di colpa per non avere scritto quel che improvvisamente avevo immaginato (esperienza vissuta una volta, tremenda, da non ripetere, sono stato davvero male, come se avessi smarrito qualcosa di fondamentale per indolenza), sono schizzato fuori dalla coperte e ho riempito un fazzoletto di carta che avevo sul comodino.
E per concludere, quali sono i tuoi prossimi progetti in ambito letterario?
Sto scrivendo. Anche in questo caso è qualcosa che quando avviene mi prosciuga. Al termine sono esausto, svuotato. Come un naufrago che è riuscito a raggiungere la spiaggia.
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Ringrazio davvero di cuore Alessandro Sofia per la disponibilità dimostrata, nella speranza di averlo di nuovo ospite per le sue future fatiche letterarie.