Cent’anni di Europa: dalla Grande Guerra all’orrore di Parigi 1915- 2015

locandina

STEFANO CASARINO
La Grande Guerra Mondovì l’ha ricordata degnamente, con onore e rispetto, in molte iniziative culturali: l’ultima è stata quella compresa nel Convegno “I nodi di oggi”, la mattina di venerdì 20 novembre al Teatro Baretti, con gli interventi del Colonnello Antonio Zerillo, del Comando Militare di Torino, e dei Proff. Stefano Casarino e Cesare Morandini e con la proiezione del recentissimo ed ottimo docufilm “Fango e gloria” (2015).
Grande, percepibile commozione di uno straordinario pubblico, in gran parte di studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Mondovì, sia alle parole dei relatori che durante la visione, al termine della quale si è dedicato un minuto di silenzio alla memoria di tutti i caduti di quel conflitto.
Ma un altro minuto di silenzio e di raccoglimento, alla fine dell’intensa mattinata, è stato dedicato al ricordo delle vittime degli attentati terroristici di Parigi.
Cent’anni di storia racchiusi in due orrori: quello dell’”inutile strage” della guerra del ’15-’18 (come l’ho sempre sentita chiamare dai miei nonni, entrambi Cavalieri di Vittorio Veneto) e quello di oggi, indefinibile, assurdo, al grido folle di “è bello versare il sangue degli infedeli”.

Benedetto XV

L’”inutile strage”: così Benedetto XV nella Lettera ai capi dei popoli belligeranti del 1 agosto 1917 definì la Prima Guerra Mondiale. Ma ogni guerra, ogni ammazzamento collettivo di esseri umani, a qualunque fede religiosa appartengano, è un’inutile strage.
Ripensare agli inizi del secolo scorso significa rendersi conto che “i nodi di oggi”, in attesa di scioglimento, sono in gran parte gli stessi di ieri, che non sono stati affatto sciolti.
Come, ad esempio, la crisi dei Balcani: da tanto tempo la zona più problematica d’Europa per l’incrocio incredibile di etnie e fedi diverse.
Prima della Grande Guerra ci furono ben due guerre balcaniche nel 1912 e 1913: causarono 122.000 morti nelle operazioni militari; 20.000 furono i morti per le ferite riportate; 82.000 per malattie.
Poi ci fu Sarajevo ed è storia nota.
Ma poi ci furono le guerre degli anni Novanta, ancora così recenti eppure quasi rimosse: se ne parla, per caso, a scuola?
Già, non si fa storia della contemporaneità, sono passati solo vent’anni, i nostri studenti non sono tenuti a sapere – alla faccia di tutte le riforme, da Berlinguer in poi – chi sono stati storicamente Andreotti, Mitterand, la Thatcher, Schmidt (scomparso il 10 novembre di quest’anno), figuriamoci se sentono parlare a lezione della fine della Jugoslavia (a loro un nome che dice ben poco: anno 1990), dell’indipendenza della Slovenia (1991), delle guerre in Croazia e in Bosnia (1991-95).
Esattamente vent’anni fa ci fu il massacro di Srebrenica di musulmani bosniaci, al grido Per ogni serbo, cento musulmani uccisi: stiamo ancora aspettando che venga ufficialmente condannato per quello che è stato, un genocidio. Il 9 luglio 1995, la zona protetta di Srebrenica e il territorio circostante furono attaccati dalle truppe della Vojska Republike Srpske, e dopo un’offensiva durata pochissimo, l’11 luglio l’esercito serbo-bosniaco riuscì ad entrare definitivamente nella città di Srebrenica. Gli uomini dai 14 ai 78 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, apparentemente per procedere allo sfollamento, in realtà vennero uccisi e sepolti in fosse comuni: il bilancio del massacro oscilla tra gli 8.000 e i 10.000 morti.

massacro di Srebrenica

Massacro di Srebrenica

Esattamente vent’anni dopo, la Cancelliera tedesca Angela Merkel mette in guardia dal rischio di un’ennesima guerra in quei territori per la questione dei migranti: “Questa crisi umanitaria sta portando a un rapido deterioramento nelle relazioni tra i paesi nella regione dei Balcani, con politici che con entusiasmo canalizzano animosità a lungo sopite e si avvantaggiano elettoralmente con duri scambi di accuse con i vicini”, spiegano in un paper Vessela Tcherneva e Fredrik Wesslau del think tank (il gruppo di esperti) dell’ European Council on Foreign Relations. “Un afflusso maggiore potrebbe essere estremamente destabilizzante e distruttivo per questi paesi”.
Secondo i due analisti dell’ECFR, “la retorica dell’odio che è riemersa come risultato della crisi dimostra che le tendenze nazionaliste sono ben presenti”.
L’Ungheria ha inaugurato la strategia dei muri ai confini con la Serbia e con la Croazia, trovando potenziali emuli in Austria e Slovenia. I migranti caricati sui treni e spediti rapidamente oltre frontiera sono percepiti da alcuni paesi come armi umane utilizzate dalle capitali con cui un tempo si era in guerra.
In un mini vertice organizzato il 25 ottobre di quest’anno dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, il premier croato, Zoran Milanoviç, è quasi venuto alle mani con lo sloveno, Miro Cerar.
Rigurgiti di nazionalismi che potrebbero riesplodere da un momento all’altro ed insorgere di localismi e particolarismi che nutrono fermenti di separatismo indipendentista in tutta Europa: dalla non realizzazione, dal fallimento attuale dell’ipotesi di un’unica Federazione europea di Stati alle spinte centrifughe che si stanno verificando in Scozia – il recentissimo referendum per l’indipendenza del 18 settembre 2014 ha visto la vittoria degli unionisti col 55.3% dei voti – in Catalogna – il 9 novembre di quest’anno il Parlamento regionale appena eletto si è espresso a favore del formale avvio del processo di indipendenza, per ora bloccato dal ricorso del governo Rajoy alla Corte Costituzionale –, dei Paesi Baschi e di altre regioni, il passo è stato ed è preoccupantemente breve.
Altri nodi ancora restano da sciogliere, altri problemi da impostare meglio.
Quello, ad esempio, della cattiva retorica che produce parole che fomentano l’odio per l’altro, per il “nemico”.
Cent’anni fa era l’odio contro i Tedeschi: per i francesi la nazione tedesca era “il Principe delle tenebre” (Léon Bloy, cattolico); la Germania venne definita “uno stivale colmo di sterco” (Maurice Barrès). Sull’ Écho de Paris del 27 dicembre 1914 venne stampato: I tedeschi sono più feroci dei topi di fogna. Non bisogna salire troppo in alto nella fauna. Sono come loro voraci, feroci, pullulanti. Per salvarci dai loro attacchi si impone un radicale sistema di sterminio: accenti che poco più di vent’anni dopo risuoneranno per bocca dei nazisti contro altri popoli.
Ogni tanto ancora riecheggia la tremenda espressione “Ebrei bastardi” (espressione recentemente impiegata da un docente di un liceo torinese, vd. La Stampa del 06.01.2012).
Ed è di pochi giorni fa la triste, inqualificabile vicenda di un quotidiano italiano che ha sbattuto in prima pagina il titolo “Bastardi musulmani”.
Oggi sembra che il concetto di “guerra santa”, di jihad appartenga solo a qualche invasato estremista islamico: cent’anni, fa, invece veniva usato tranquillamente dalla retorica dell’informazione dei Paesi coinvolti nella Grande Guerra.
In tante cartoline di propaganda Cristo era raffigurato in trincea con i soldati di ogni esercito e dava a tutti il suo appoggio, incitandoli alla guerra e alla vittoria. Nel suo splendido saggio L’apocalisse della modernità Emilio Gentile ricorda le parole di un sacerdote americano: È Dio che ci chiama alla guerra…Questo conflitto, in verità, è una crociata, la più grande della storia, e la più santa. Nel significato più profondo e più vero, è una Guerra Santa. Sì, è Cristo, Re della Virtù, che ci chiama a combattere in una lotta mortale una potenza empia e blasfema.
Con perfetta simmetria, anche per i tedeschi quella guerra fu un Glaubenskrieg, una “guerra di fede”, nell’ambito della quale la Germania si autorappresentava come l’arcangelo Michele che scacciava il Maligno dal mondo.

Gott mit uns
Insomma, il Gott mit uns, il “Dio con noi” è un’espressione che nella storia dell’umanità è stata declinata in tutte le forme possibili. Diventando, anche e purtroppo, un tremendo slogan bellico.
Infine, un altro grande “nodo”, quello che anzi è forse il problema dei problemi è la constatazione del perdurante ed assoluto disprezzo per la vita umana. Ieri come oggi, nel 1915 e nel 2015.
Cent’anni fa il generale Luigi Cadorna dava questa sconvolgente definizione di “attacco brillante”: Per attacco brillante si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all’attacco un numero di uomini superiore: qualcuno giungerà alla mitragliatrice.
Che importava il numero dei morti? L’importante era conquistare la posizione, prendere la mitragliatrice.
Oggi, quest’anno, senza guerre dichiarate e senza trincee, una delle città più belle del mondo è stata ripetutamente vittima di insensati massacri: l’attentato terroristico contro la sede di Charlie Hebdo il 7 gennaio (12 morti e 11 feriti) e il 13 novembre un’impressionante serie di attacchi che hanno ucciso e ferito centinaia di persone, che si trovavano al ristorante, allo stadio, a teatro.
C’era un qualche valore militare nella pianificazione dell’attacco secondo le idee di Cadorna?
C’è un qualche valore nell’insensata mattanza di questi terroristi?
Di comune c’è, lo ripeto, il disprezzo della vita umana, della propria e degli altri, in nome di: Patria, Vittoria, Fede, Dio….
Valori che solo l’ignoranza riesce a deformare e a trasformare nel loro esatto contrario.
Per questo credo che l’unico odio consentito sia quello contro l’ignoranza, la vera “assassina del mondo”, e che la lezione che deve insegnarci la storia e che non dovremo mai stancarci di ripetere e di riascoltare è quella che l’uomo, in qualunque momento storico e in qualunque posto di questo pianeta, sia e resti “cosa sacra per l’uomo”.

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Foto di Mimmo Pucciarelli