GRAZIELLA DOTTA (a cura)
“Bonne route” non è solo il titolo della mostra ma anche l’augurio di Franco Sebastiano Alessandria, pittore e scultore residente a Piozzo, in provincia di Cuneo. Franco dipinge da sempre la condizione umana, i sentimenti contrastanti, le follie umane. Negli ultimi anni lascia la professione di consulente per seguire le sue passioni e comincia a creare opere diverse che rappresentano il labirinto nascosto in ognuno di noi. Di questo periodo è il suo “progetto delle chiavi”, sviluppato assemblando tra loro in modo armonico delle chiavi antiche per realizzare figure estremamente fluide e leggere. Le chiavi diventano il suo principale strumento: chiavi antiche depositarie di generazioni di gioie e dolori, di nascite e di morti, di perdite e di desideri, saldate tra di loro per aprire nuove porte e nuovi sogni.
Le opere di Alessandria sono visibili presso lo studio in Via Carrù, 66f a Piozzo e a breve, visto il grande successo di pubblico ottenuto con la recente mostra dell’ottobre 2015 “Bonne route” allestita nella Chiesa dei Battuti Neri a Piozzo (CN), verranno allestite ulteriori mostre nel Comune di Pollenzo (CN) e nel Comune di Cherasco (CN).
Di seguito una breve intervista con l’artista.
Parlaci di te e di come nasce il tuo avvicinamento al mondo dell’arte. Quali sono i tuoi riferimenti?
Ho avuto un’infanzia un po’ strana, finito in collegi per orfani a due anni e mezzo, inconsciamente dovevo sviluppare la fantasia per uscire da quelle quattro mura e penso di aver sviluppato una capacità nel disegno con l’aiuto di preti e insegnanti d’arte che ringrazio ancora oggi. Lì imparai le tecniche del carboncino, sanguigna, bassorilievi, pirografo, olio, terracotta, a acquaforte… Sono andato avanti per anni facendo anche lavori per la Chiesa, fino a quando dovevo incominciare il liceo artistico ma, siccome ero stato troppo in gabbia e volevo essere un ragazzo normale, magari con la moto, sono andato a lavorare imparando a saldare e affinandomi nelle tecniche della lavorazione del ferro.
Un giorno presi coraggio e andai a trovare il grande pittore Eso Peluzzi: mi ricevette, si parlava di arte, di tecniche e sentimenti legati alle emozioni dell’arte, io ascoltavo estasiato, mi rimisi a lavorare con entusiasmo, gli portavo a vedere i miei lavori tra i quali il ritratto di mio nonno Sebastiano Alessandria detto: “l’irìs”. Il maestro lo guardò e disse «Che carattere, che espressione, bravo! Hai tirato fuori l’anima, me lo dai?» Io dissi sì! Il ritratto l’avevo fatto guardando una vecchia foto tessera, perché mio nonno era morto prima che io nascessi, ma grazie ai molti racconti sentiti su quell’uomo coraggioso ed estroverso, l’avevo trasformato in un mito con la mia fantasia. Quando ce la fai a mettere le tue emozioni su tela penso sia un dono del Cielo.
Quali sono gli autori più importi nella tua formazione, sia artistica che personale?
Per imparare copiavo quadri del Caravaggio, di Rembrandt, mi affascinava De Chirico, la fantasia di Dalì, mi sorprendeva la chiave di lettura di Magritte e l’ironia delle Langhe contadine del mugnaio Gepe Gironi.
Mio padre Francesco “l’irìs” scrollando la testa in segno di dissenso diceva: «Tu non sarai mai in grado di comperarti una damigiana di vino», però quando non c’ero portava i suoi amici nel mio studio e diceva «Guardate che lavori fa quel castiga matti di mio figlio» e io per non smentirlo il vino lo compro in bottiglia!
Raccontaci il tuo percorso artistico.
Ho fatto gli esami da privatista all’Accademia Albertina di Torino (tutta tecnica, niente fantasia). Ho cercato la mia strada facendo mostre e concorsi internazionali, a Salsomaggiore ho vinto nel 1993 con “il direttore d’orchestra” e “l’inchiodato”. Ricordo che il museo d’arte moderna di Piacenza avrebbe pagato 12.000.000 di lire per i due quadri ma io non volli separarmene e li riportai a casa.
Poi ho cominciato ad avere un’insofferenza profonda verso il mondo dell’arte, dei galleristi e critici (tromboni) e mi sembrava di essere un cavallo di scuderia. Ho fatto il buon padre, mi son dedicato con discreto successo al lavoro di consulente tecnico per l’edilizia (Italia-Francia-Marocco) così potevo dipingere solo per me, solo se avevo qualcosa da dire, qualcosa che mi emozionava, che mi provocava sentimenti di rabbia, autoironia, rappresentavo la vita quotidiana in una forma surreale, simbolica e onirica. Insomma ero un asino però mi sentivo libero!
Che cosa vuoi comunicare con la tua arte?
Ultimamente ho fatto mostre in Francia, Montecarlo, Piozzo, porto in giro le mie opere, tele e sculture di chiavi e cemento per regalare delle emozioni alle persone, per aprire porte chiuse. Sono opere che insegnano ad interrogarsi e a far rifiorire sentimenti un po’ sopiti. Opere che rappresentano la debolezza degli uomini che si credono forti, i loro labirinti interiori, il tempo, le madri, tele oniriche, la morte, lo stato e le sue conseguenze sulla dignità degli uomini.
Provo a spiegare la mia arte e le mie riflessioni a mio nipote Tommy “l’irìs” e penso che le mie opere non debbano appartenere a nessuno, perché i sentimenti, l’ironia, la libertà e l’anima sono cose che accarezzano tutti. Ma io prediligo i più semplici, perché i ricchi sono solo sepolcri imbiancati!
“L’iris” in piemontese significa “il riccio”, animale simbolo della famiglia Alessandria.