Intervista a Maurizia Catozzi
CLAUDIA PICCINELLI
Ho avuto la fortunata occasione di incontrare una donna tenace, volitiva, impegnata nella sua quotidiana battaglia contro il Parkinson. Maurizia Catozzi, milanese di origini, ma bresciana di adozione, con il suo libro Eppure non ti avevo invitato, tende una mano a chi vuole trovare la forza per non lasciarsi travolgere dagli eventi.
Perché l’idea di scrivere e pubblicare il racconto della tua esperienza?
Sono stata spinta a scrivere e pubblicare la mia esperienza per dare voce a chi, troppo spesso non ha il coraggio di affrontare problemi che insorgono da malattie o eventi traumatici. Ho pensato che forse leggere l’esperienza di chi, come me, sta reagendo per non subire le difficoltà quotidiane, può aiutare altre persone a tentare di uscire dall’isolamento. Ho cominciato a riordinare gli appunti che la neurologa mi chiedeva di stendere per monitorare il decorso della malattia. Decidere di scrivere per essere letta da altri non è facile. Prima di tutto devi avere tu la forza di metterti a nudo.
Nella tua scrittura, come espediente narrativo hai introdotto una personificazione della malattia: Mr. P , il Parkinson, la malattia personificata.
Mr. P non è una presenza in carne e ossa, non è un fantasma venuto dal passato, ma è il fantasma del mio presente e del mio futuro. Mi piaceva l’idea di collocarlo al mio livello, poterci discutere e, trattandolo alla pari, potergli anche dare lo sfratto. Se fosse rimasto indefinito, non sarei riuscita a mettermi in relazione con lui. Invece così è più concreto, tangibile.
La lettura scorre piacevole, anche per la vena di autoironia che l’attraversa. La trovi una modalità vincente?
L’autoironia è vincente nella vita. Ho imparato presto a non prendermi sempre sul serio, altrimenti tutto è più pesante. Scherziamo sui nostri guai. Le nostre difficoltà vanno affrontate con criterio, ma l’autoironia ne facilita il superamento. E poi risulti anche più simpatica: prima degli altri, sono io a prendermi in giro. Ho alternato il racconto con poesie. La poesia ha una grande forza, riesce a toccare le corde interiori. E anche il lettore può diventare più partecipe.
Nel libro emerge la tua forza resiliente, come capacità di reagire alla situazione avversa trovando nel limite un’opportunità. Mi sembra una bella lezione di vita.
Cerco prima di tutto di non lasciarmi limitare nella mia voglia di fare da Mr. P. Così ho escogitato dei trucchi: se mi impedisce di scrivere facendomi contrarre i muscoli della mano, mi fermo, cancello, aspetto e ricomincio su fogli a righe alte e quadretti grandi. La mia giornata passa a cercare soluzioni per contrastare la sua prepotenza. Se non riesco a dormire, faccio il training autogeno per le gambe. Se vado in un locale, mi siedo in un posto che mi consenta di alzarmi e di muovermi. Ho scritto anche dei miei ricordi. Il vissuto ha formato il mio carattere, grazie a questo ora io posso lottare. La mia lotta consiste nel fare.
Faccio volontariato, anche con la biblioteca. Leggo ai bambini i miei racconti e filastrocche, disegno personaggi della Walt Disney da far colorare ai bambini autistici.
Quali sono state fin dall’infanzia le tue figure di riferimento?
La zia Ugolina, sorella di mio papà. Ha iniziato a 17 anni il suo decorso di malattia. Ma non si è mai arresa. Tutti la cercano, perché sa stare in compagnia. Ha 85 anni. Va a ballare al giovedì e alla domenica, al suo tango non rinuncia. Se proprio è stanca e non ce la fa, ascolta la musica e fa solo mezzo tango. Siamo molto simili. Da lei ho imparato a non desistere mai. La nonna e un’altra zia mi hanno insegnato a lavorare all’uncinetto. A cinque anni, seduta sui gradini, ho imparato a fare i vestitini alle bambole. Da zia Ugolina a cucire con la macchina a pedali e manovella. Con mia zia, a 19 anni mi sono fatta un cappotto. Bellissimo, col collo a scialle, foderato, e con la sua cintura. Ci cucivamo anche i vestiti per andare a nozze. Adesso sta contando i giorni, perché le ho promesso che starò qualche giorno da lei a Milano. Sempre da piccola, in cucina, ho imparato a chiudere i cappelletti.
Ti sono d’aiuto molte attività imparate da piccola?
Oggi i fisioterapisti propongono la terapia occupazionale, esercizi per il movimento fine della mano. Io li ho sempre fatti e adesso tutto mi serve. Quando ho aperto il ristorante, impastavo la pasta per le tagliatelle, adesso impasto stando seduta e intanto le mani lavorano e si tengono in esercizio.
Mi è sempre piaciuto disegnare fin da piccola. Ora ho uno spazio mio, con un computer, l’asse da stiro, i colori . Quando i figli sono cresciuti, mi sono iscritta alla scuola Ricchino di Rovato e ho iniziato a dipingere in modo continuativo. Chi viene in casa mia si accorge che non ho mai smesso. Ho dipinto tutto: la porta, le vetrate, sul frigorifero un paesaggio africano, sull’armadio Elvis, la chitarra elettrica, una cabina telefonica inglese, Marilyn Monroe e la bottiglia della Coca-Cola. Sulle mezze ante della parte sopra, Route ’66, un paesaggio con veicoli tutti spompati. Dipingo magliette, cuscini, con un trompe l’oeil su tela ho coperto una parete scrostata. In contrasto ai miei passi corti, sulla copertina del libro sono disegnati, a tinte forti, cavalli dal passo lungo. Quando dipingo, la mia mano non trema.
Quali altre attività ti consentono di affrontare gli ostacoli quotidiani?
Un’altra mia alleata è la musica, in simbiosi con la danza. Mi dà il ritmo. Se le gambe hanno esigenza di muoversi, metto la musica veloce, musica classica se devo rilassarmi. Il canto, per alzare il tono della voce che Mr. P vorrebbe abbassato. Canto spesso La Balilla di Giorgio Gaber. Mi ricorda molto mio padre perché faceva l’ambulante, vendeva i detersivi, non aveva la Balilla, ma un furgone.
Ballo il liscio con il bastone. Bella, in posizione dritta. La danza ti imposta. Ho dipinto le ballerine della scuola di danza di Adro. Ho raccomandato di mantenere la postura che stavano con fatica imparando, perché potrebbe tornare loro utile, un domani
Oggi, come si riesce a fare i conti con un corpo minato dalla malattia, in un contesto mediatico che inneggia alle attitudini prestazionali e al culto dei corpi perfetti ?
Mr. P ti cambia il corpo. Molti si vergognano a uscire. Io porto in giro la mia schiena curva con orgoglio. Quindi, vai! – mi dico – cammina sotto il sole, tira su le spalle, apri il petto. Con l’orgoglio di chi combatte ogni giorno. Mi viene spontaneo davanti allo specchio guardarmi, e anziché abbattermi alzo le spalle. I diversamente abili non sono ancora considerati. È una lotta quotidiana per superare le barriere architettoniche. Salire su un treno, con quei gradini così alti, non è facile. Con scale senza i corrimano mi devo appoggiare al muro. Quando facevo la cameriera, salivo al piano- una scala normalissima- un gradino alla volta con il vassoio in mano e mi aiutavo con una spalla appoggiata alla parete.
Non solo Mr. P, ma la malattia in generale costringe a prendersi cura di sé in un modo nuovo. Mette anche chi vive accanto a prendersi cura di te, capovolgendo i ruoli.
Certo, prendersi cura di sé in modo nuovo significa adeguare la vita ai tuoi ritmi, non i tuoi ritmi alla vita. Così ho fatto mio il motto riportato in un opuscolo dell’associazione: “il ritmo cambia, ma l’armonia resta”. Anche chi ti vive accanto si prende cura di te in un modo nuovo, i ruoli si capovolgono. Mio figlio, quello che abita più vicino casa, quando passeggiamo insieme mi lascia posto vicino al muro, come facevo io con lui, quando era piccolo.
Da quando Mr. P è venuto a farti visita, è cambiato il tuo rapporto con il tempo?
Con Mr. P, il tempo ha subito un’accelerazione. Non colpisce solo persone anziane, come spesso si crede. Pertanto si va incontro a un invecchiamento precoce. Ecco come mai ho un bisogno frenetico di fare un sacco di cose. So che a un certo punto non le potrò più fare. Voglio recuperare ora tutto questo tempo. Cerco di lasciare a Mr. P meno spazio possibile, lo anticipo. Sempre attiva e in movimento, mi sono guadagnata il soprannome Frullino. Ogni tanto: “dove hai le pile, che ti spengo !” Ma l’invecchiamento, come la malattia, vanno accettati. Lo dico in una mia poesia “ non prestare rancore al tempo che passa”. Non fermare il tempo, perché il tempo si ferma solo una volta nella vita. E quando si fermerà, avrà vinto lui.
A chi si rivolge il tuo libro?
Il mio libro si rivolge non solo ai malati di Parkinson, ma anche ai loro familiari, perché devono sapere come rapportarsi. Il familiare deve lasciar fare, anche se la malattia costringe a tempi più lunghi di esecuzione, seppur di piccoli movimenti. Deve essere un amico invisibile. E questo non è facile. I malati non vogliono compassione, né essere aiutati se possono riuscire da soli. Vogliono essere indipendenti.
Inoltre, il libro si rivolge a tutte quelle persone che si trovano in difficoltà, subendo gli eventi, anziché reagire, con il rischio di sviluppare la depressione . Perché certe situazioni o malattie portano a chiuderti, a non parlarne, a trasformare la tua casa non in una palestra- laboratorio per le mille attività, ma in una prigione dalla quale è difficile uscirne.
Cosa significa far parte di un’ associazione, nel tuo caso “Azione Parkinson Brescia”?
Significa organizzare convegni per far conoscere i risultati della ricerca, i problemi connessi alla malattia. Ma far parte di un’ associazione significa soprattutto trovare conforto, condivisione, non rimanere mai soli, avere sempre qualcuno su cui poter contare. L’aiuto è reciproco. La solitudine non aiuta. È proprio vero: l’unione fa la forza.
Vuoi fare ringraziamenti?
I miei ringraziamenti vanno all’editore Giovanni Fabiano. Devo alla sua sensibilità e generosità la pubblicazione di questo libro. Ha letto la bozza del mio scritto e non ha avuto esitazioni a dirmi che l’avrebbe pubblicato. Senza chiedermi alcun contributo, come invece troppo spesso succede oggi. Una scelta coraggiosa, un po’ controcorrente. Anzi, sono stata affiancata da una sua collaboratrice, Laura Corsini che mi ha dato suggerimenti molto interessanti per la scrittura, e ne ha curato l’aspetto redazionale. Il ricavato delle vendite va all’associazione, che ne devolverà una parte alla ricerca sulla malattia di Parkinson, ancora poco conosciuta.
Maurizia Catozzi, Eppure non ti avevo invitato, qp Edizioni, p.104, Pesaro Urbino, 2015, euro 12,90.