Poesie di Nicole Barrière
Neve
Nell’epoca banale degli scellerati
Il fragile passante si inquieta
Bisognerebbe risvegliare l’amore e la musica!
Ma noi siamo lontani mille miglia
E l’amore confuso con le preghiere
Cerca un pretesto per l’agonia
Quale avviso ci darà la vita
Un miracolo di parole
Il compimento delle poesie?
Quale nuova favella potrebbe schiudersi
Da bocche imbavagliate?
La poesia si perde inascoltata, nello schiamazzo quotidiano
Eccoci privi di gioia
Tagliati alle radici
Mani mozzate
Respirare è ancora utile?
Il nostro cadavere avanza nella massa
Come diceva Vallejo
E noi procediamo!
Siamo già nel cuore dell’inverno. Sui poggi
sono fioriti i cumuli. È il tempo dei lupi
E dei cani inferociti avidi di sangue.
Noi diventiamo veggenti e ciechi
Noi guardiamo gli strani lucernari
E le maschere vuote sorgono dal terrore
Noi offriamo le nostre lacrime al festino dei pazzi
Il sale dell’innocenza ci divora.
‘Succederà ancora’ dicono i rassegnati
‘Succederà ancora’ ripete il cuore
Trasalisco sgomenta. Cuore spaurito
Il nulla martella il trotto della vita
Il fulmine del temporale. Corro attraverso la neve!
Sono costretta nei miei passi fino al fuoco
Cos’è che brucia in questi fragori di tuono?
La neve davanti, la neve dietro? Il bruciore
I cani cattivi delirano. È colpa della neve.
Si dice questo. La traccia della neve.
I demoni vi si invitano ogni notte
Nel ghiaccio si vedono le tracce al mattino
Sui vetri. Tracce di neve in lacrime
E la visione del mondo nella sventura
Non è niente. Passerà.
La neve.
25/01/2015
***
Vapore umido. Tracce. Silenzio
Vibrazioni. Luce
Eccoci nello splendore delle cose fugaci
Le parole attraversano la polverizzatrice del tempo
La lingua secca ed eccoci:
In piedi, corpo e respiro
Pronti a potare l’albero ancora umido di brina
O questo pianto di neve sul vetro
Confuso con l’ineffabile luce
24/01/2015
***
Il salasso
Un odore di resina
E il cielo colpisce il sogno di isole coperte di olivi
I tronchi si piegano sotto la ferita
Grido trattenuto sotto l’incendio
Poi voci e grida sullo spessore della terra
Che risuonano lontano fino al mar Egeo
Ad ogni parola il suo scheletro
Ad ogni respiro il fiato di una corteccia pura
Cosa sale rudemente sul pendio?
Cosa si affonda nel silenzio teso?
Il mondo osserva indifferente
La morte cammina in mezzo agli elementi mescolati del linguaggio
I popoli lo sanno.
Ai campanacci gutturali dei potenti
Che significato ha l’enigma?
La parola data e tradita
Il fatto di rimettere in discussione
Il rimorso, forse?
Sempre i vecchi discorsi e
E il gusto amaro a fior di labbra
Di una parola imparata da milioni di Europei
OXI !
16 luglio 2015
***
Il tuo miele
Tu sei nato nel villaggio, in riva al fiume
La tua infanzia inondata di primavera
L’erba cresceva alta
Con le grandi tristezze delle canzoni
Che tu non conosci
L’erba delle parole
Le api ferite
Il miele misterioso ed incomprensibile della tua disattenzione
07/02/2015
Intervista a Nicole Barrière
Quando ha iniziato a scrivere?
Verso i 10 – 11 Anni, c’era la guerra d’Algeria.
Come definisce la poesia ?
Sono nata nella Francia Centrale, a Saint Babel, nome misterioso nell’infanzia con le sue leggende sulla Torre di Babele e con mia madre che si chiama Jacob, altra leggenda. Avrò avuto in quel luogo l’intuizione o la trasmissione da questa torre mitica di una sola e stessa città capace di dare alloggio a persone di ogni lingua?
Dell’incompiutezza e della distruzione della torre iniziale è rimasto il gusto di un qualcosa di simbolico che io chiamo poesia. Le mie ziggurat si chiamano monti, colli, alture, erte, poggi. Hanno una sola lingua e le stesse parole cuociono al fuoco terrestre dei vulcani.
Terra confusa dei linguaggi, terra di accoglienza dello straniero, terra natale e poetica. Il mio rapporto con la poesia e con la lingua della poesia ha il senso del segreto e della domanda. Scrivere una poesia è rispondere a un interrogativo e fare emergere questo stupore, che ti prende attraverso gli effetti del linguaggio, opera degli spostamenti di senso rinviando a differenti significati : polisemie od omonimie, o significati che rinviano a una o più parole significanti, sinonimi.
Questo lavoro poetico della lingua produce un doppio effetto: quello di uno strappo dalla realtà nella rottura dello spostamento e di ancoraggio per gioco dei sinonimi, nello sradicamento delle famiglie di parole che costituisce, in lingua francese, « l’ouverture ».
Mi piace affondare la poesia nel senso nascosto delle parole e del loro universo, nell’etimologia. Se esiste un universo di senso in comune tra la pagina, la scrittura, lo scrittoio, il libro o la biblioteca, le radici di queste parole non sono in alcun modo saldate, ma si riferiscono all’arbitrario del segno, e nella loro poetica si rifugia il segreto del senso occulto.
Non ho la passione del frammento nel suo isolamento poetico, per contro amo l’inclusione alla maniera delle cartiere della regione d’Ambert[1] che producono il loro foglio di carta a mano con fiori raccolti nel campo. Così in poesia mi piace giocare con l’inclusione di frasi o segmenti all’interno della lirica, dare, con il frammento incluso, letture differenti, costruire forme e combinazioni possibili di segni, dare al lettore « l’ouverture » adatta al suo umore, al suo desiderio e alle sue vibrazioni. Così vanno clandestinamente, dentro le poesie, dei frammenti accolti nell’ospitalità propria della mia terra e della sua poesia.
Le parole stesse possono contenere delle impercettibili variazioni per diventare miniature, autonome, frasi sintetiche la cui ellissi contiene il senso poetico : lingua diafana, in cui la pullulante molteplicità dei segni definisce il suo spessore. La poesia prende gusto dal sortilegio, più che l’idea di bellezza d’opera nel suo complesso.
Il fatto è che qui, nella terra di Babele, quelli che giocano con il lato oscuro discendono dai maghi. « Sourcirage » si dice in dialetto locale, questa stregoneria della lingua ereditata da tutti i paria e che io chiamo poesia. Essa contiene insieme lo stile ricco di contrasti e la violenza delle immagini di evocazioni estreme e brevi. Questa poesia si struttura attorno a parole concise e raccattate, spesso incluse nell’onda poetica che le adombra appena. Così la funzione lirica è coprire la forza radicale delle risposte alle domande poste nella poesia. Il sortilegio attenua la « violenza infernale delle parole», ricucendo con le forme della poesia cortese.
Frammentazione e legatura, questa potrebbe essere la mia concezione della poesia, con l’invenzione lessicale e grammaticale della composizione, una scrittura in trance fatta di sogni con le funzioni di sintesi, di spostamento e di sovradeterminazione della lingua precedente.
Non è quello lo spirito di Babele, questo scavare e poi questo salire al cielo delle parole per verificare che la via lattea è differente, vista da Sirio? Un rovesciamento di prospettiva per fare vacillare il senso del presente, esprimere l’emozione ed esaltare l’ospitalità aperta del linguaggio.
[1] Cartiera Richard de Bas Ambert (Puy de Dôme)
(Traduzione a cura di Gemma Francone e Franco Blandino)