GABRIELLA MONGARDI
Un commento agli attentati di Bruxelles comparso nell’edizione online della Süddeutsche Zeitung del 23-3-16, in cui si definiva la piazza, lo spazio pubblico dove gli uomini si possono incontrare indipendentemente dalla nazionalità, dalla ricchezza, dalla religione, dal genere, “un privilegio” delle città europee, mi ha fatto venire in mente una traccia per la prova scritta di italiano dell’Esame di Stato 2001: “La piazza come luogo dell’incontro e della memoria”. Ho riletto i documenti del dossier che la corredava, in particolare i testi di Leopardi e Saba e la canzone di Dalla ivi riportata, vi ho aggiunto l’articolo della Süddeutsche Zeitung e su questa base proverò a sviluppare quell’argomento in forma di saggio breve, e di encomio.
Comincerei col tagliare di netto la seconda parte della traccia ministeriale: perché la piazza è luogo della memoria solo in quanto è luogo dell’incontro, e non soltanto dell’incontro privato o casuale, ma anche dell’incontro ufficiale, delle commemorazioni, delle cerimonie grazie a cui si rafforza un’identità collettiva, il senso di appartenenza a una comunità – non importa di che dimensione. È solo nell’incontro che si attiva la dimensione della memoria, quindi è sufficiente parlare della piazza come luogo dell’incontro.
Le radici delle nostre piazze affondano nell’agorà delle poleis greche, il cui nome stesso indica che era luogo di riunione (ha infatti la radice del verbo ἀγείρω = raccogliere, radunare): nell’agorà si trovavano i templi delle divinità, si teneva il mercato e soprattutto le assemblee dei cittadini in cui si discutevano i problemi della comunità e si decideva collegialmente sulle leggi. Era quindi il centro della polis dal punto di vista religioso, economico e politico. Analoga funzione aveva la piazza nelle città romane, il Foro, che si trovava quasi sempre all’incrocio delle due strade cittadine principali, il cardine e il decumano massimo. Il nome della nostra piazza (place in francese, Platz in tedesco, plaza in spagnolo) deriva invece dal latino medievale platēa ossia “strada larga, piazza”, a sua volta proveniente dal greco πλατεῖα, femminile di πλατύς cioè “largo, spazioso”: la piazza su cui, all’interno delle mura delle città medievali, si affacciavano la cattedrale e il palazzo del Comune, e si teneva un animato mercato.
Oggi i punti focali delle città europee possono non essere più rappresentati da un edificio pubblico, ma sempre lo sono da uno spazio pubblico, piazza o zona pedonale, aperto a tutti, con un adeguato arredo urbano e con negozi, bar, ristoranti che accolgono chi passeggia, gioca, chiacchiera, mangia, fa acquisti in quella piazza: la Grand Place a Bruxelles, Plaza Major a Madrid, Piazza del Duomo a Milano, Piazza San Marco a Venezia, Piazza San Carlo-Castello a Torino, la Marienplatz a Monaco di Baviera, le piazze di Roma, di Parigi, di Londra, di Berlino…
Piazze che hanno ispirato poeti come Saba (Milano) o Leopardi (Il sabato del villaggio), o cantanti come Lucio Dalla (Piazza grande), e che adesso – come scrive Laura Weißmüller sulla Süddeutsche Zeitung – sono minacciate dal terrorismo: se l’esigenza di sicurezza prevarrà sul privilegio dell’apertura e della libertà di muoversi.
Forse noi europei finora abbiamo considerato una cosa ovvia lo spazio pubblico che si apre intorno a noi e ci permette di incontrare gli altri, senza pensare che è un inestimabile tesoro, perché dove si incontrano uomini diversi nascono nuove idee, ed è questo che ha dato all’Europa lo slancio che ne ha fatto una potenza leader nel mondo.
La piazza è davvero “luogo dell’incontro” multiculturale, che si sottrae tanto alla logica dell’assimilazione che a quella dell’indifferenza, puntando piuttosto a una convivenza, a una co-abitazione dello spazio di tutti, all’insegna della reciproca curiosità e fiducia.
Il terrorismo ci ha aperto gli occhi su quanto questo spazio sia prezioso, non scontato, irrinunciabile.
Ma oltre alla molteplicità delle piazze che si aprono nelle città europee ci vuole anche una vera unità europea, per difendere questo grande lascito del passato: la possibilità di incontrare l’altro-da-noi sotto casa, e trovare una nuova forma di appartenenza nel lavorare insieme per conservare – o costruire – una città a misura d’uomo, in cui batta il cuore pulsante di una piazza viva.