EMMANUEL BOVE.
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Soltanto cinquanta metri mi separavano dall’entrata sul retro. La mia famiglia si trovava probabilmente in sala da pranzo. Mia madre preparava la cena. Mio padre leggeva nel suo studio. Le mie sorelle cucivano.
Mi avvicinavo lentamente. Il mio polso, le mie tempie, tutte le mie vene battevano con forza a fior di pelle, allo stesso ritmo.
Nel giro di un minuto sarei entrato in casa. Rividi ancora la scena che avevo tante volte immaginato, gli abbracci, le lacrime, la felicità dei miei parenti. Ogni cosa si sarebbe svolta come avevo previsto. Non potevo essermi sbagliato poiché finora tutto stava andando come doveva andare.
Mi venivano le lacrime agli occhi, scendevano sulle guance confondendosi con il sudore. Ma più fresche.
Mi avrebbero perdonato di aver preso quei soldi, di averli ingannati prima di partire, di non aver scritto loro per ben cinque anni.
Poi, sentendo il profumo dell’erba, mi accorsi improvvisamente che ciò che avevo fatto era molto più grave di quanto pensassi, che sarebbe stato necessario supplicare che mi accogliessero, che dimenticassero il passato.
Le immagini nella mia mente si dissolvevano nel brulicare di vita che mi circondava, che avrebbe seguitato fino a sera, incurante dei miei calcoli, delle complicazioni del mio animo.
Mi trovavo ora vicinissimo all’ingresso di casa. Non osavo ancora entrare. Avevo posato la mano sulla staccionata che delimita la nostra proprietà. Un cespuglio del giardino mi nascondeva. Forse perché cresceva nella nostra terra, e sembrava essermi complice, ripresi fiducia per un istante.
Non avevo però il coraggio di muovere un passo. Pur avendo pensato di essere accolto con gioia e compassione, sentivo che sarei stato incapace di pronunciare una sola parola. Mi sentii mancare. Ora, con tutto me stesso, speravo che qualcuno uscisse, mi vedesse. Soltanto allora sarei svenuto. Mi avrebbero raccolto. Mi sarei poi svegliato in un letto con i miei, al capezzale, attenti a ogni mio gesto.
Ma nessuno veniva. Sentii mia sorella cantare, mia madre parlare, senza vedere nessuno, benché le finestre fossero aperte.
Lasciai per un secondo la staccionata per sentire con una mano se avevo la febbre, per toccarmi la fronte nuovamente imperlata di sudore. Per poco non caddi. Esitavo. Ripresi con tutte e due le mani la staccionata, che le piogge avevano inverdito.
Ebbi voglia di chiamare. Mi bloccò il ricordo dei miei imbrogli, unito alla speranza di potermene riscattare.
Improvvisamente, uscì di casa mio padre, in maniche di camicia. Lo vidi chiaramente. Mi piegai e lo osservai attraverso quelle foglie in cui, con il fresco, pullulava tutto un mondo di insetti. Lui non si accorse di me. Non ero più suo figlio. Mi nascondevo, lo spiavo a sua insaputa, come avrebbe fatto un malfattore. Si dirigeva in giardino. Aveva con sé un cestino vuoto e leggero. Era invecchiato. Ero così sconvolto da non riuscire a provarne tristezza.
Cinque anni prima, anche quando faceva caldissimo, lui non si toglieva mai la giacca, stava dritto e non andava mai in giardino. Spettava a me raccogliere le verdure.
Ebbi allora voglia di corrergli incontro, di gettarmi ai suoi piedi, di singhiozzare, di supplicare il perdono. Ma non mi mossi.
Ripassò di nuovo davanti a me, lentamente, si girò al canto di un gallo. Lo vidi poi di spalle, ricurvo, più triste, mi sembrò, perché rientrava in casa.
Ormai era troppo tardi per seguirlo, per fermarlo. Mio padre mi aveva lasciato fuori.
Non potevo più restare così nascosto. Dovevo entrare.
Allontanai ogni pensiero e, lasciando la staccionata, feci un passo, poi due.
Stavo per entrare. Era giunto il grande momento. Mio padre, mia madre mi avrebbero visto, mi avrebbero dovuto guardare bene prima di riconoscermi.
Sollevai il fermo del cancello. Ero in giardino. Mi fermai di colpo, con le mani che non trovavano un appoggio, stando in piedi, immobile, sul terreno spianato.
In cortile non c’era nessuno. Feci ancora un passo. Ai miei occhi inquieti, la curva dell’orizzonte sembrò roteare con il mio sguardo. Ora nessun albero, nessun cespuglio mi nascondeva. Avevo di fronte i muri della casa, le finestre, il tetto spiovente su cui da bambino lanciavo il pallone.
Ero a pochi metri dalla porta. Non dovevo far altro che avanzare dritto di fronte a me, sul terreno sgombro dall’intralcio di qualsiasi secchio, carriola o cesto.
Improvvisamente, il mio sguardo si posò sui muri così visibilmente spessi, sugli oggetti di legno, di ferro, sulla panca, sulla pala, sulle pietre del pozzo e, per un attimo, sulle galline che razzolavano ai miei piedi. Da tutto questo sembrava scaturire un chiaro ammonimento. Ma non ne comprendevo il senso. Le orecchie mi ronzavano. Mi irrigidii. La calma, la forza, la volontà mi abbandonavano una a una. Un rantolo mi uscì dal fondo della gola. Ma se venne udito fu confuso con i rumori della stalla lì vicino o del cane che dormiva sul caldo sterrato.
Feci ancora un passo. Attesi, con il corpo madido di sudore e un peso sul petto. Come nei sogni, mi mancava il respiro. Ebbi l’impressione di accasciarmi, di giacere al suolo con i piedi vicini al cielo quanto la mia testa.
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Il racconto Il ritorno del figlio, di cui pubblichiamo un estratto, è il quarto dei sette racconti tradotti da Claudio Panella in Una visita serale e altri racconti. Il volume, appena uscito per Fusta editore nella collana “Bassa Stagione”, inaugurata dai libri di Marino Magliani e Matteo Meschiari, è la prima raccolta di racconti di Emmanuel Bove in italiano. Per approfondire: http://fustaeditore.it/shop/bassa-stagione/227-una-visita-serale-e-altri-racconti.html
L’autore
Emmanuel Bove è uno dei nom de plume (gli altri sono Pierre Dugast, Jean Vallois) di Emmanuel Bobovnikoff (1898-1945). Di ascendenza ebraica, è stato un autore francese molto prolifico, firmando una trentina tra romanzi e raccolte di racconti in appena due decenni di attività. La carriera di Bove ebbe inizio proprio grazie a un racconto, che convinse la celebre scrittrice Colette a favorire la pubblicazione del suo libro d’esordio, Mes amis (1924), tradotto in Italia nel 1991 con il titolo I miei amici da Beppe Sebaste per Feltrinelli, che lo ha ristampato nel 2015. Bove è un autore di culto ancora troppo poco conosciuto in Italia, soprattutto per quanto riguarda le sue prose brevi, in cui esercitò al meglio un talento straordinario.
QUI la recensione di Una visita serale e altri racconti
(L’illustrazione di copertina è di Franco Blandino)