Mondi minori

SILVIA PAPI
Europa. Crogiuolo di razze che le hanno dato forma attraverso i secoli. Culture, tradizioni, religioni. Diversità climatiche, di sapori e saperi. Dalle coste mediterranee fino ai paesi del nord. Oggi, e non per la prima volta, terra spaventata che chiude le porte, che tenta di resistere al destino di cambiamento. Europa piena di dolore.

Una fotografa polacca – nata a Varsavia e che oggi vive a Trieste – nel 1985 incomincia ad attraversare, a piedi e con mezzi di fortuna, la Polonia, poi si spinge sempre più verso Est seguendo i canti degli armeni di Romania, dei rom della Macedonia, gli hutzuli ucraini e i tartari bielorussi, poi l’Albania, il Caucaso.
Chi, come noi, è convinto che la fede – il cuore della gente – non stia nelle cattedrali ma piuttosto nei territori di confine, dove le certezze si perdono, trova nelle immagini di Monika Bulay la conferma a questo sentire. Uomini e donne – scrive Monika – per i quali ero una straniera, ma che mi hanno indicato la strada, accolto, sfamato, curato, protetto, dedicandomi il loro tempo, il loro affetto e le loro storie. Voci deboli, cui devo tutto: soprattutto il rispetto. Così ha preso forma una raccolta di fotografie chiamata Genti di Dio.

Immagini che aprono porte su mondi minori, ignorati dai media e dai predicatori dello scontro globale, che profumano di terra umida e d’incenso, che vibrano della luminescenza dei ceri, della trasparenza del cielo. Ci danno la percezione visiva della ricchezza e meraviglia insita in ogni diversità, con quella ricerca della luce, di gesti e volti quotidiani carichi di umanità che, inevitabilmente, ci riportano ai film del grande Andrej Tarkovskij.

E tante fotografie di donne, che pregano, che studiano, che accendono ceri, che cantano, danzano, che raccontano di una “fede femminile” che pare diversa da quella maschile, forse meno capace di trasformarsi in strumento di divisione e odio.

Genti di Dio è anche un bellissimo libro, fatto di immagini e parole che hanno trascritto il percorso esteriore e interiore della Bulaj. Nella sua prefazione Moni Ovadia dice che in questo libro si intravede la possibilità che un giorno non lontano, sulla terra d’Europa, ritorni a spandersi lo spirito degli annientati, tallonato dall’anima inquieta di Monika, testimone instancabile del fervore mistico di ebrei estremi che non cessano di cercare nella Torah il Dio assente che non ha luogo, che non si vede, che non si sente se non nel silenzio, il cui nome è impronunciabile e la cui esistenza può essere solo allusa attraverso gli spasmi di una “follia” eccessivamente umana.

Dedichiamo queste immagini a tutti coloro che oggi si stanno muovendo e già formano il nuovo volto dell’Europa. Per loro l’augurio di resistere, non abbandonare ciò in cui credono ma continuare ad essere, insieme a tanti altri, portatori pacifici di fede e cultura per un vecchio paese che non vuol smettere di farla sempre da padrone.

(L’articolo è pubblicato senza immagini per evitare problemi di copyright)