Intervista (si spera) Impossibile ovvero Della Saggezza

Immagine Vergari

GABRIELLA VERGARI.

Rintracciarlo non fu facile ma infine lo trovarono mentre passeggiava lungo i viali della sua tenuta, in compagnia degli inseparabili cani.

Dimostrava ormai l’età, canuto più che brizzolato, alto e magrissimo, vestito con sobria eleganza.

Accolse il G.C. [il Gran Ciambellano, ndr.] – l’unico dignitario ritenuto all’unanimità degno di tale missione – con distaccata affabilità e gli concesse un breve ma istruttivo colloquio, per certi versi ancora più sconvolgente di quello avuto con fata Zimira.

«Mio caro amico,» esordì l’hidalgo, dopo aver ascoltato il caso espostogli dal G.C. ed essersi acceso uno dei suoi lunghi ed amati sigari. Uno dei cani gli si era  accovacciato ai piedi; un altro stava accanto alla poltrona nella quale egli era comodamente sprofondato; un terzo si era disteso di fronte al camino  apparentemente sonnacchioso ma vigile di ogni movimento del G.C., così da gettare il dignitario nel più profondo disagio. «La vostra richiesta suscita in me sensazioni contrastanti: da un lato mi sorprende, riportandomi alla mente il sapore di cose che credevo ormai scomparse da tempo; dall’altro, non mi stupisce in fondo più di tanto. Certo, è naturale, che con la fama guadagnatami dopo la battaglia contro i mulini a vento (senza dubbio la mia impresa più celebre se non la più ardita), e l’immagine di cavaliere senza macchia e senza paura, di incorreggibile paladino degli oppressi e dei deboli che di me ha avuto l’amabilità di tramandare il mio encomiabile biografo – Cervantes mi pare sia il suo nome – è naturale, dicevo, che con questi precedenti si ricorra a me come extrema ratio per risolvere felicemente i casi disperati, nell’auspicio che io mi lanci lì dove tutti si sono tirati indietro, ma …» aspirò lungamente una piena boccata dal sigaro. Il G.C. notò che l’hidalgo parlava senza arrotare la ‘r’, tipico contrassegno della gente blasé. «Ma» continuò l’altro «guardatemi bene! Ho forse l’aspetto gagliardo? Avrete senza dubbio notato i miei capelli bianchi: significano saggezza, sapete? Sono simbolo di maturità, di giudizio, come si dice, e la cavalleria, il coraggio, il valore sono invece “pazzie” che ci si può permettere solo da giovani e, badate, non intendo riferirmi all’età. Si suole dire che si può essere giovanissimi a cent’anni e già vecchi a dieci, e mi piace pensare sia vero perché è lo spirito che conta, il cuore, voglio dire. Con la maturità, o con la vecchiaia, se preferite, ci si accorge che quelle “pazzie” non pagano affatto, se permettete la metafora.»

«Non pagano?» fece eco il G.C. con l’aria di non aver capito.

«Suvvia, mio caro amico, non recitatemi la commedia, siete anche voi un uomo di mondo, vero? Pensate forse che avrei ottenuto tutto questo,» diede uno sguardo intorno «continuando a vagare per il mondo in cerca di infelici da soccorrere? Forse che la militanza tra i cavalieri salda il conto del sarto, le rate del panfilo ultimo modello, i capricci di un’amante esigente, le rette dei figli interni nei migliori collegi stranieri, in una parola, insomma, tutto ciò che oggi sembra indispensabile per condurre una vita appena appena accettabile?» Si fermò un attimo per aspirare un’altra boccata dal sigaro ed il G.C. si sorprese a replicare: «Esistono tuttavia altri piaceri non materiali, soddisfazioni e riconoscimenti che servono a nutrire lo spirito e se alla povertà di mezzi corrisponde una ricchezza interiore, allora l’indigenza può essere di gran lunga preferibile all’opulenza e…» stava per continuare su questo tono quando l’hidalgo lo interruppe con una franca e schietta risata: «Credete sul serio a quello che avete detto? Non nego che ci sia del buono e del vero nelle vostre parole, ma avete mai provato ad andare a letto digiuno, saziato soltanto dalla vostra ‘ricchezza interiore’, come voi la chiamate? Provate questa dieta per un paio di giorni e vi assicuro che oltre al peso avrete pure cambiato opinione. E, poi, non vorrei apparirvi solo un venale. C’è dell’altro, vi assicuro, ma tacerò per non turbarvi più di quanto non abbia già fatto».

«Vi prego, continuate pure», lo rassicurò il G.C., convinto che, dopo l’incontro con fata Zimira, nulla avrebbe più potuto sconvolgerlo.

«Ebbene, poiché lo desiderate … Vi siete mai guardato in giro? Dovunque volgiate lo sguardo trovate corruzione, grettezza, egoismo, pregiudizi, aridità di cuore, malcostume… Tutti si lamentano di questo stato di cose e sembrano ansiosi di miglioramenti e cambiamenti radicali. Ma ecco che, se appare all’orizzonte uno che non voglia integrarsi in una società tanto marcia e non voglia rispettarne le regole, per non adeguarsi a tanta sozzura, che fa la gente così apparentemente desiderosa di palingenesi? Si unisce a lui, si schiera dalla sua parte, gli dà manforte, lo sostiene? Ma nemmeno per sogno! Te lo bolla subito come matto e disadattato e si affretta a canzonarlo e a sbeffeggiarlo o, nei migliori dei casi, a compatirlo e compiangerlo. In una parola, per la paura del ‘diverso’ che possa opporsi al sistema, sovvertire l’ordine costituito, non si esita a ricorrere al linciaggio morale e, se necessario, anche materiale.

Oppure all’emarginazione, all’isolamento, ferita dolentissima.

Quella che il mio biografo amabilmente battezza ‘follia’ non era che quintessenza di idealismo, malattia dalla quale, come vedete, sono guarito. Batti e batti, voi capite, in questo stato di cose o ti immoli come martire ed eroe (a che pro, poi?) oppure apri gli occhi, ti svegli, dai una bella occhiata intorno, fai prevalere quello che comunemente si definisce ‘buon senso’, li prendi in giro tutti e ti godi gli agi di una piena e soddisfacente integrazione.

Il signor Cervantes ha voluto pietosamente preservare i lettori più onesti e sensibili da questa delusione ed ha concluso la narrazione delle mie gesta cavalleresche facendomi morire ed eliminandomi dalla scena in modo piuttosto radicale, lo ammetto. E certo, la mia ‘guarigione’ assomiglia in fondo ad una morte. Anzi, in un certo senso io sono morto ma, come vedete voi stesso, per rinascere ad una vita completamente diversa, in compagnia dei miei cani e delle mie costosissime e lussuose abitudini da vecchio gentiluomo di campagna. Ed ogni volta che penso all’altro me, rabbrividisco all’idea di essermi privato di tutto questo così a lungo, però…» un’altra intensa boccata «però, quale rimpianto mi pervade per la mia giovinezza perduta, quella del cuore intendo!»

Ci fu una pausa. L’hidalgo sembrava inseguire chissà quali ricordi, perduto in elegiache e nostalgiche rimembranze.

«Conservo ancora qualche cimelio di quel periodo, sapete? Volete che ve lo mostri?» chiese non appena si fu ripreso. Il G.C., colpito dalle affermazioni dell’hidalgo per l’indistinta somiglianza che scorgeva con quelle di fata Zimira, a disagio sotto lo sguardo vigile dei cani, in particolare di quello sonnacchioso, in verità non vedeva l’ora di andar via, ma accettò l’invito per non offendere il suo anfitrione e soprattutto per abbandonare quella posizione imbarazzante e poco rassicurante. Fecero il giro della tenuta e Don Chisciotte si rivelò un padrone di casa garbato ed assai gradevole, pieno di piacevoli attenzioni per il benessere del dignitario. A tal punto che, accomiatandosi dall’ex cavaliere, il G.C. si scoprì sincero nel definire ‘indimenticabile’ il pomeriggio trascorso insieme. Mentre cercava di completare il bel discorso di congedo che stava imbastendo, fu però interrotto da un uomo anziano …

tratto da: “Inganni Cortesi”, Il Girasole edizioni, Valverde (CT), 1990, in occasione dei 400 anni dalla morte di Cervantes.