GABRIELLA MONGARDI.
L’Astrée, gruppo cameristico dell’orchestra Academia Montis Regalis, è in realtà un’orchestra in miniatura il cui organico varia in funzione della musica proposta: nel concerto del 17 aprile 2016, “I viaggi di Haendel”, dedicato alle cantate e sonate di Haendel, per il basso continuo il clavicembalo di Giorgio Tabacco era affiancato dal violoncello di Rebecca Ferri e dalla tiorba di Pietro Prosser, e questo maggior spessore d’ombra conferiva rilievo scultoreo ai solisti: gli espressivi violini di Francesco D’Orazio e Lathika Vithanage e la voce perfetta del soprano Julia Wischniewski.
Haendel è un compositore vulcanico, traboccante di energia vitale, eclettico, aperto alle influenze di tutte le culture e di tutte le tendenze musicali che ha avuto modo di conoscere, e lo dimostra già la sonata per due violini e basso continuo in sol maggiore che ha aperto il concerto: dopo un allegro in cui la tecnica contrappuntistica tedesca esalta la dolcezza timbrica degli strumenti, un interludio “a tempo ordinario” introduce una suite di danze provenienti da tutta Europa: una tempestosa passacaglia spagnola, una giga inglese dal cuore irruente, un minuetto francese impetuoso e trascinante. L’altra sonata eseguita, per violino e basso continuo in re maggiore, è tutta basata sul contrasto tra delicatezza ed energia, tra sognante levità e danzante vitalità, e risente palesemente dell’influenza dei maestri italiani, Corelli e Vivaldi.
Ma durante il suo viaggio in Italia (fine 1706 – inizio 1710) Haendel entrò in contatto soprattutto con la vocalità, con il “belcanto”. A Roma la vita culturale ruotava intorno all’Accademia dell’Arcadia, che in letteratura come in musica riprendeva l’idillio classico per cantare, nella lingua di Petrarca, le pene d’amore di pastori e pastorelle idealizzati, in un paesaggio bucolico. Era un mondo stilizzato, fuori dal tempo e dallo spazio, che poteva ‘viaggiare’ senza difficoltà nelle corti di tutta Europa, dove la società aristocratica celebrava le stesse cerimonie, gli stessi riti, e le cantate italiane erano molto di moda. Molte cantate di Haendel furono scritte proprio per essere eseguite agli incontri dell’ “Arcadia”: sicuramente lo furono Clori mia bella Clori e Tu fedel? Tu costante?, proposte nella serata.
Anche se rafforzata dalle due parti per violino, Clori, mia bella Clori è un esempio abbastanza tipico del genere più semplice di cantata da solista, che alterna quattro recitativi e quattro arie. Il protagonista piange la lontananza dell’amata e nelle arie esprime i suoi cambiamenti di umore fino alla disperazione, sottolineati da figure discendenti nella melodia.
La cantata Tu fedel? Tu costante? ha invece al centro della scena una pastorella, che rinfaccia all’amato Fileno la sua inaffidabilità: «Cento belle ami, Fileno!». La cantata esordisce con una vivace sonata strumentale, che suggerisce l’esasperazione della donna, mentre le quattro arie segnano la sua evoluzione sentimentale: dalla rabbia e dall’angoscia, musicalmente espresse dallo staccato del violino e dalle agitate sestine del basso nel vertice drammatico della terza aria «Ma se per oltraggiarmi», si approda alla compostezza e alla decisione dell’aria conclusiva: «Sì, crudel, ti lascerò».
Haendel ha continuato a comporre cantate italiane anche nei suoi primi anni in Inghilterra: è il caso di Mi palpita il cor (1712), incentrata sulla fenomenologia dell’amore, con le sue oscillazioni tra «tormento e gelosia, sdegno, affanno e dolore» e l’approdo infine alla speranza che l’amore sia contraccambiato, espressa dalla tonalità maggiore.
Per completare l’itinerario dei viaggi di Haendel, il programma prevedeva anche un’aria tedesca, Flammende Rose, di una grazia quasi mozartiana nell’aderire a un testo che esprime con semplicità un senso della natura religioso e intimo.
Ne è scaturito un concerto che è riuscito perfettamente a raccontare lo spirito cosmopolita di Haendel, capace di fondere il contrappunto tedesco, la cantabilità italiana e la scuola inglese e francese in un linguaggio europeo.