Ventiseiesima puntata - Comincia la danza, il ballo del potere…
FRANCESCO PICCO
Padre Boetti era un uomo pieno di desiderio, e si vedeva. Bastava osservarlo e si poteva tenere il conto di quanto desiderio sessuale tracimasse dai suoi sguardi, dai gesti anche più irrilevanti con cui accarezzava, ammoniva, istruiva o scacciava le interlocutrici più giovani e interessanti. Il suo confratello-ombra lo aveva notato molte volte e ne aveva trovato motivo di consolazione, ogni volta che il desiderio sessuale pungeva anche il proprio tenero cuore – e non sempre, nel suo caso, per una donna. Frate Vittorio Amedeo era sicuro delle inclinazioni prepotentemente eterosessuali del suo compagno di avventure; era meno certo delle proprie, viste le conseguenze che avevano sulla sua mente e sul suo corpo i sorrisi di certi novizi, o i torsi nudi degli apprendisti che popolavano le botteghe degli artigiani nei suq. Dopo le prime, faticose lotte con se stesso, aveva finito per accettare la cosa e non sconvolgersene più. Così come non si sconvolgeva della dominante inclinazione di Padre Boetti per tutto ciò che profumasse di femmina…
Quel che lo sconvolse davvero fu constatare come, d’improvviso, tutto ciò che aveva imparato a proposito di padre Boetti non valesse più. Del resto nemmeno padre Boetti esisteva più: dopo che erano stati a Sinop, sulle coste nebbiose del Mar Nero, aveva preso il posto di padre Boetti una nuova inattesa metamorfosi, il profeta Mansur. Nel profeta Mansur non c’era più traccia dell’antica passione di padre Boetti per i corpi femminili e i loro odori. Non che questa nuova creatura, il profeta Mansur, mostrasse sguardi teneri o lascivi verso gli stallieri e i mocciosi di strada: questo sarebbe stato ancora comprensibile, e agli occhi di frate Vittorio in qualche modo giustificabile.
No, la cosa davvero difficile da accettare era che il profeta Mansur non mostrava nessun segno di desiderio sessuale, né verso le donne né verso i maschi, né verso i bambini né verso gli animali. Il suo sguardo regalava a tutti la stessa fiduciosa esaltazione, la stessa gelida consapevolezza di un superiore destino di fede e di gloria. Ma frate Vittorio lo conosceva troppo bene per poter credere che il suo collega medico e frate – il suo profeta, ormai – avesse superato e sublimato i desideri della carne. Doveva solo averne cambiato l’oggetto: qualcosa di diverso dalle donne lo attraeva, ora, e non erano gli uomini.
Lo osservò con attenzione ad ogni ora del giorno, e più di una volta scorse nei suoi occhi la distinta fiamma giallastra della lascivia e dell’orgasmo. Le conclusioni che fu costretto a trarne lo terrorizzarono. Il profeta Mansur godeva ancora, ma ormai di una cosa soltanto, la peggiore di tutte: il puro esercizio del potere. L’ossessione del sesso si era evoluta, affinata, reincarnata in quanto di più tremendo si potesse immaginare: l’ossessione per il potere. Ora, anche un ragazzo di scarsa esperienza e di vedute limitate come frate Vittorio sapeva con certezza che nessuna categoria di uomini è così pericolosa come quella di chi sostituisce il sesso con il potere: perché con loro non vale nessun discorso e non ci sono tentazioni di sorta per distrarli dal loro unico, vero, devastante amore, dalla fedeltà incondizionata alla propria consorte. Che è il comando. Null’altro, il comando puro, nudo, tornito come le cosce di un cavaliere, turgido come il seno di una diciottenne. E come un adolescente che scopre il coito non riesce a saziarsi nemmeno dopo dieci orgasmi, così chi è preda del demone del potere non riesce a saziarsi nemmeno dopo dieci ordini eseguiti, perché la lussuria del comando è la più feroce di tutte le belve e non ci sono prede sufficienti a placarne la fame.
Se ne accorse da subito. Padre Boetti era scomparso a Sinop, sulla costa nord dell’Anatolia ottomana, tra le brume insidiose del Mar Nero, e al suo posto si era materializzato un individuo dalla lunga barba bianca e dallo sguardo spiritato, che con voce ispirata e suadente gli spiegò di voler essere chiamato Profeta e di essere l’invincibile messo di Dio. Al Mansur, in lingua araba.
D’àura n’anans t’ë ciamëras mach pì parej, has-tu capì?
Eh sì, certo, aveva capito: niente più padre Boetti, niente Giovanni Battista, solo Mansur: però intanto glielo aveva detto in piemontese, il che doveva significare che fra i due personaggi – il morto padre-medico domenicano e il neonato profeta apparentemente sunnita – esisteva una continuità.
A Sinop padre Boetti cominciò a comportarsi in tutto e per tutto da Mansur. E da Mansur quale ormai era, ordinò a frate Vittorio di seguirlo nei giri per gli arsenali dove aveva fatto ammassare di nascosto armi d’ogni tipo acquistate a Costantinopoli nei lunghi mesi di preparazione trascorsi in quella meravigliosa capitale sospesa fra due continenti. Frate Vittorio, obbedendo al suo Profeta, lo accompagnò – vestito anche lui in abiti orientali, ma senza barba poiché il suo volto non riusciva a farla crescere. In privato, quand’erano soli, continuarono a parlare piemontese. Ma in pubblico ormai parlavano entrambi solo arabo, persiano e osmanli. E in arabo, non in osmanli, il Profeta Mansur dava ordini al piccolo drappello di uomini che con l’assistenza di frate Vittorio andava raccogliendo nei vicoli della città. Dapprima una decina scarsa, poi oltre cinquanta, poi cento. Quando ebbe ai suoi ordini spiritati cinquecento individui della più disparata provenienza, Mansur li radunò nel cortile di una conceria in disuso e con un discorso infiammato li preparò all’impresa. Un’impresa, disse, che avrebbe messo a soqquadro il mondo. Frate Vittorio, accovacciato a terra, trascriveva in alfabeto arabo. Ogni tanto il taccuino su cui scriveva sobbalzava come scosso da un terremoto. Perché sotto il taccuino, senza che lui volesse, le gambe gli tremavano di terrore.
(Continua)
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Illustrazione di Franco Blandino