LORENZO BARBERIS
Tra i vari corsi di aggiornamento che mi sono toccati quest’anno, il più interessante è stato quello presso il Liceo di Mondovì, sul rapporto tra Sapere Narrativo e Sapere Scientifico.
In particolare, l’intervento del prof. Stefano Casarino, mio professore di lettere al Liceo di Mondovì e collaboratore del nostro Margutte, mi ha stimolato varie riflessioni, anche perché trattava di un tema che mi ha sempre interessato (anche professionalmente, come insegnante): quello delle “due culture”, evidenziato da Charles Percy Snow nel suo celebre, omonimo saggio del 1959.
L’autore, scrittore e scienziato, fu tra i primi a porre il problema della scissione in atto tra i due saperi: quello scientifico, l’unico serio, e quello umanistico, relegato all’intrattenimento.
In un accenno proemiale, è stata abbozzata anche la questione ancora più radicale delle “due culture”, quella delle “due nature” potremmo dire, ovvero la teoria dello psicologo Daniel Goleman che ipotizza l’esistenza di “più intelligenze”, a partire ovviamente dalla differenza di base, quella tra scienza e umanesimo.
Goleman ha iniziato a parlare di intelligenza emotiva con l’omonimo saggio del 1995, distinguendo già al suo interno tra Competenza Personale e Competenza Sociale (introspezione e estroversione, potremmo dire semplificando molto, riprendendo una delle prime mende alla teoria freudiana da parte di Jung).
Dopodiché, Goleman ha ampliato la sua suddivisione delle intelligenze distinguendo intelligenza linguistica e intelligenza logico-matematica (le due basi, tra l’altro, del test del Q.I a partire da Alfred Binet e successivi perfezionamenti: test linguistici e logico-matematici): i pilastri appunto dei rispettivi ambiti umanistico e scientifico che si andavano qui ad analizzare.
Oltre alle solite Inter-personal/Intra-personal da lui già introdotte, Goleman aggiunge l’intelligenza visuale, l‘intelligenza musicale, l’intelligenza corporea che, in sostanza, recuperano delle intelligenze legate ai sensi: e probabilmente lo Slow Food di Carlin Petrini aggiungerebbe volentieri una intelligenza gustativa, mentre il neonato Muses di Savigliano, il museo dei profumi, potrebbe proporre una intelligenza olfattiva.
Nella sua oltranza della molteplicità Goleman di recente ha proposto anche una intelligenza ecologica (che potrebbe essere un corollario dell’intelligenza sociale, o meglio: l’intelligenza sociale eticamente e rettamente intesa, perché anche il genio del male ha una sua intelligenza sociale, magari sopraffina, ma manipolatoria e dannosa).
Ma, anche fermandosi al Goleman tradizionale, la sua molteplicità fa in effetti sembrare a volte l’individuo una sorta di Golem di Frankenstein, composto da più pezzi scollegati tra loro (da cui il titolo, anche per il mio noto gusto per i giochi di parole), mentre la logica che accomuna i vari ambiti del sapere – anche tecnico-pratico – è evidentemente una, dalla formalizzazione di Aristotele in poi.
Non a caso, ai tempi della mia specializzazione, si insisteva molto sul valore di “ponte” tra umanesimo e scienza costituito dal rapporto tra filosofia e matematica, che affrontano entrambe il tema della logica. Anche Casarino ne accenna, e ricchi sono i riferimenti al valore scientifico delle riflessioni di molti filosofi: da un filosofo naturalista come Talete che individua per la prima volta l’eclissi all’atomismo di Democrito, Epicuro e Lucrezio. Modelli riconosciuti perfino da Einstein, che affermava: “i greci avevano già capito tutto”.
Ma interessante è anche la centralità data da Casarino (e non solo, ovviamente) al rapporto tra narrazione e scienza, che mette al centro di questa mediazione le materie letterarie. Appoggiandosi al filosofo Dario Antiseri, Casarino propone la centralità della versione come vero momento di ricerca in ambito scolastico: quando, cioè, si usano competenze logiche acquisite non solo in un contesto di esercizio, ma come applicazione reale.
Versione e non traduzione, appunto, poiché non è un automatismo ma un procedimento complesso, un vero caso di problem solving, che rende evidente (magari opportunamente sottolineandolo ai discenti) come il contrasto non è tra scienza e non-scienza, ma tra un sapere problematico e un non-sapere dogmatico.
Aleggia qui, giustamente, lo spettro di Popper, che era poi correttamente critico anche verso i dogmatismi delle discipline umanistiche, mentre Casarino si sofferma invece di più, in modo critico, sulla lettura del Lyotard de “La condizione postmoderna”, che pare riproporre la scissione dei saperi.
In verità (come evidenzia anche Casarino stesso) la postmodernità ha in parte posto la riunificazione delle due culture nella dottrina tecnologica che le è più tipica: l’informatica (Internet nasce nel 1974, una delle soglie che possono identificare l’avvio di una età post-moderna, che a livello storico molti fanno coincidere con il 1973, la crisi petrolifera che pone in essere molti dei nuovi temi geo-politici validi ancor oggi). Olivetti in Italia, i nuovi guru della Silicon Valley negli USA, sono gli artefici di un “nuovo rinascimento” che unifica a suo modo le due culture. Una considerazione che trovo molto interessante, come docente di italiano in un Itis Informatico.La prospettiva storica porta poi Casarino a evidenziare come tale scissione, del tutto assente nei classici, è in generale una divisione molto tardiva: ancora Galilei, fondatore della scienza moderna, è ancora pienamente umanista (e come tale giustamente apprezzato da Italo Calvino anche per la nitidezza della prosa).
La crisi va ricondotta a certo malinteso positivismo ottocentesco, e in Italia viene identificato dal relatore con il 1911, quando nasce il Liceo Moderno (ovvero senza greco) che diverrà poi il Liceo Scientifico gentiliano del 1923: dove diviene evidente il significativo salto culturale (al di là della necessità di creare nuovi percorsi liceali) di un Liceo che si dichiara “moderno” perché toglie il greco, legandolo implicitamente, per la prima volta, a un superato passatismo.
Bisogna quindi oggi cogliere come ricucire questa scissione, e una base è certo, come dice Casarino, evidenziare le sinergie tra i due saperi, quello scientifico e quello narrativo. Il naturalismo francese che vuole fare del romanzo un laboratorio di osservazione scientifica del sociale con più di un rimando a Darwin, Svevo che riprende Freud nel Doktor S. del suo “La coscienza di Zeno” e – ancor oggi – Doctorov che ne “La coscienza di Andrew” (2014) riprende le moderne neuroscienze (siamo solo endorfine?). Tra Zeno (zero) e Andrew (ànthrōpos), letteratura e scienza cercano di dare una comune risposta alla grande domanda.
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Un intervento insomma ricchissimo e stimolante, che giustamente non si sofferma troppo sull’applicazione concreta nella prassi didattica, limitandosi (ed è già molto) ad offrire una prospettiva di fondo che va declinata nei vari contesti. Casarino pensa tra l’altro, con evidenza, alla cultura liceale: da docente di tecnico, mi pongo la domanda di come anche qui possa essere declinato tale problema, che è cruciale e non ozioso ma dice molto di come sarà la società futura. Qui non vi è la versione latina (e l’inglese spesso è coltivato più come lingua tecnica, con meno rilievo al problema della “versione”: certo ciò si applica anche in un contesto non-letterario, ma con meno forza ed evidenza).
Certamente quindi il sapere narrativo giocherà un ruolo importante, imparando a “narrare la scienza”: evidenziando le connessioni che sono qui state riepilogate, magari dando un rilievo alla storia della scienza e della tecnica nel contesto di storia. Sarebbe interessante (ma richiederebbe credo un lavoro di sinergia didattica non sempre facilissimo) anche dare una prospettiva di narrazione a quanto si studia in matematica e scienze, “dando un volto” agli scienziati che restano quasi una convenzione algebrica, da Pitagora ad Avogadro passando per Eulero, Mendel e innumerevoli altri. A chi però il compito: al docente di materia, al docente di storia, a tutti e due? E in che modo il raccordo?
Temi aperti, che in parte potranno essere sciolti tramite la costante ricerca didattica.