CONVEGNO A.I.C.C. DELEGAZIONE DI CUNEO anno 2016.
GIACOMO BAGNA.
Martedì 12 e giovedì 14 aprile si è tenuta a Mondovì la sessione primaverile dell’ormai tradizionale Convegno promosso dalla Delegazione di Cuneo dell’AICC (Associazione Italiana Cultura Classica), proponendo come tema centrale il controverso e delicatissimo rapporto tra sapere narrativo e sapere scientifico: il titolo, difatti, era: “Una cultura, due saperi: dialogo e sinergie tra letteratura e scienza”. Nei due giorni di interventi hanno preso la parola esperti di diverse estrazioni, che hanno contribuito a rafforzare la tesi secondo cui entrambe le conoscenze sono fondamentali per l’uomo e, in una visione elastica e completa, sono praticamente inscindibili.
La prima giornata è stata aperta dal Prof. Stefano Casarino, Presidente della Delegazione di Cuneo dell’AICC e docente di Latino e Greco al Liceo Vasco-Beccaria-Govone, che ha fatto da teatro a questo evento. Acceso sostenitore della necessità di una costante e umile collaborazione tra ‘umanisti’ e ‘scienziati’, il relatore ha esordito citando un interessante articolo di Dario Antiseri, importante filosofo della scienza, in cui si sosteneva che la traduzione dal latino e dal greco è un esercizio logico che dal punto di vista metodologico ha quasi tutto in comune con le più moderne attività di ricerca scientifica. Nella successiva analisi storico-letteraria del complicato rapporto tra scienza e lettere, Casarino ha sottolineato come la scissione sia relativamente recente, dal momento che nel mondo classico è facilmente riscontrabile un’unità che è andata perdendosi solo dopo il Romanticismo e la scissione si è radicalizzata nel Novecento (vd. Snow, Le due culture, 1959, testo riedito nel 2005 da Marsilio Ed.). Nel postmoderno il problema si presenta a più riprese, ed è grazie a menti del calibro di quella di Carlo Rovelli, fisico e scrittore, che si intuiscono ancora spiragli per un’auspicabile riconciliazione: nei suoi saggi egli non esita mai a sottolineare l’estrema lungimiranza e la genialità di grandi filosofi greci – come Anassimandro, in Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro, Mondadori 2011– che con uno straordinario lavoro di astrazione avevano intuito o quantomeno tracciato la strada a grandissime scoperte dei secoli futuri.
Se da un lato la scienza non può pensare di poter prescindere dal sapere umanistico (chi l’aveva capito bene è stato sicuramente un certo Adriano Olivetti, che per ogni ingegnere era solito assumere un laureato in materie letterarie), bisogna anche riconoscere a una frangia di letterati la colpa di aver accentuato il divario: dal Romanticismo in poi lo scrittore si è auto-investito di un ruolo totalmente avulso dal progresso tecnico.
Quando questo non è avvenuto, la grandezza dei risultati è facilmente riscontrabile: si pensi ad Archiloco, per esempio, che aveva descritto la prima eclissi di sole di cui la nostra cultura abbia memoria (6 aprile 648 a.C.), o a Svevo, che in La Coscienza di Zeno ha approfondito con incredibile lucidità la neonata psicanalisi.
Casarino ha dedicato la chiusura del suo intervento a un romanzo molto recente, La Coscienza di Andrew di E.L.Doctorow (2014), in cui si intrecciano nella narrazione interessantissime nozioni sul cognitivismo e sul superamento del postmoderno.
Il secondo intervento aveva per titolo “La scienza a teatro”: la relatrice, la Prof.ssa Lia Raffaella Cresci, docente di Filologia Bizantina all’Università di Genova, ha coinvolto il pubblico in un’avvincente esposizione che ha spaziato da Eschilo (con puntuali riferimenti a quanto vi è di anassagoreo nel Prometeo incatenato) a Euripide (che utilizza a piene mani nelle sue tragedie le tecniche logiche dell’esposizione retorica) ad Aristofane (la ridicolizzazione nelle Nuvole di un sapere potenzialmente eversivo e disgregatore dei valori fondativi della polis). Cresci ha rimarcato come il teatro ateniese del V a.C. fosse assolutamente permeabile alle scoperte della scienza, insistendo molto, ad esempio, sul ruolo imprescindibile che in esso ha avuto la medicina ippocratea (basti pensare al tema della “pazzia” analizzata nelle sue più svariate forme).
A conclusione della prima giornata, il Prof. Franco Russo – che è stato per poco anche Preside dei nostri Licei Classico e Sociale – ha offerto un’originale e arguta riflessione sul sapere umanistico come “Fides” e quello scientifico come “Ratio”, traendo spunto dal titolo dell’enciclica di Giovanni Paolo II. Riguardando la storia neppure troppo remota dei nostri Licei Classici, negli Annuari dell’Ottocento resta memoria di discorsi di prolusione all’anno scolastico (tradizione andata perduta ormai da tempo) tenuti da docenti di materie scientifiche: il che dimostra, quindi, che esse non ebbero mai un ruolo ancillare rispetto a quelle umanistiche.
Nella seconda giornata, giovedì 14 aprile, si sono alternati tre docenti del Liceo Vaso-Beccaria-Govone. L’apertura è ad opera del prof. Luca Maddaloni, docente di Scienze, che, coerentemente con i suoi interessi, opta per un taglio piuttosto ‘scientifico’ nel suo intervento, che si concretizza quasi in un tributo ad Oliver Sacks, neurologo americano scomparso l’anno scorso. La sinergia tra sapere scientifico e sapere narrativo (leitmotiv delle conferenze) in Sacks è rappresentata dall’ingente mole di testi da lui pubblicati e dal loro grande valore divulgativo: l’opera su cui si concentra Maddaloni è uno dei libri meno celebri del neurologo, “Zio Tungsteno”, particolarissima autobiografia in cui all’esperienza personale dell’autore – e in particolare alla sua straordinaria passione infantile per la chimica – si intrecciano nozioni scientifiche di varia natura, a testimonianza dei poliedrici interessi che il futuro medico continuerà a coltivare per tutta la vita.
Dopo una prima parte introduttiva in cui il relatore concentra l’attenzione sul background sociale e famigliare del giovane Oliver, raccontando di quanta influenza numerosi famigliari abbiano avuto sugli interessi del ragazzo (che spaziavano dalla matematica alla botanica, dalla chimica alla metallurgia) e di quanto siano state determinanti nella sua successiva scelta di diventare medico la crisi psicotica del fratello scaturita da ripetuti atti di bullismo e la spinta dei genitori, entrambi medici, l’intervento prende una piega più scientifica e interattiva, con una serie di interessanti nozioni sui vari interessi dello scienziato in erba e qualche gustoso ‘effetto speciale’, con un paio di esperimenti in diretta e perfettamente riusciti (come, per altro, non è affatto scontato che avvenga!)
Il secondo intervento è del prof. Paolo Lamberti, docente di Italiano e Latino, e può definirsi bipartito: analizza infatti prima lo “scientifico” in Leopardi e poi il “letterario” in Galileo, evidenziando ancora una volta come le grandi menti abbiano sempre molti interessi eterogenei.
Leopardi si era servito della scienza per combattere lo spiritualismo e l’antropocentrismo largamente diffusi nella sua epoca, facendo spesso riferimento agli studi e alle ricerche del naturalista francese Buffon, tra i teorici con Cuvier del catastrofismo (elemento presente nell’opera leopardiana, che lo contrappone polemicamente al creazionismo religioso). Il poeta-filosofo di Recanati è profondamente angosciato dal meccanicismo della natura, che pure lo aiuta nel suo lavoro di demistificazione dell’antropocentrismo, ma nelle considerazioni di Buffon e nella possibilità che egli sostiene di una visione vitalistica e dinamica della natura il poeta trova sollievo.
Sono poi interessanti le informazioni sull’attività poetica di Galileo, spaesato nel suo presente perché a tutti gli effetti ancora uomo del Rinascimento (oppure, in largo anticipo sui tempi, si ricordi la tesi di L.Geymonat sul suo “preilluminismo”): lo scienziato è distante dal barocco (benché alcuni elementi, come gli anagrammi con cui correda una copia del Sidereus Nuncius diretta a Keplero, suggeriscano il contrario), e molto più propenso ad altro stile, come testimoniano i suoi sonetti e le sue satire.
Tocca infine al prof. Giovanni Lenta, anch’egli docente di Italiano e Latino, chiudere questa seconda giornata di conferenze con un focus su Seneca e le sue Naturales Quaestiones, opera di natura scientifica che, con tutti i comprensibili limiti, evidenzia alcuni punti di vista decisamente interessanti: l’obiettivo è quello di liberare l’uomo dalla paura dei fenomeni naturali, derivata dall’ignoranza (elemento che sicuramente riconduce a Lucrezio). Seneca ha una visione progressiva del sapere, per cui qualcosa che non si conosce oggi non è detto che non si conoscerà domani: in tal senso è interessante l’excursus sull’impossibile in fisica, a cui segue quello, puntuale, su uno dei fenomeni più interessanti della fisica, l’entropia.
Da queste considerazioni di stampo più scientifico si passa poi a un’interessante analisi di una delle opere meno celebrate di Italo Calvino, le Cosmicomiche, racconti per certi versi quasi “cosmogonici”, ma in realtà molto più disordinati e scanzonati, con qualcosa che può ricordare il Leopardi delle Operette morali. Nelle Cosmicomiche è presente la combinatoria delle possibilità del reale indagata attraverso strumenti scientifici, convinzione che è comune a Primo Levi, altro intellettuale che prima di dedicarsi alla scrittura svolgeva proprio la professione di chimico. Nel suo Il Sistema Periodico, opera di impronta fortemente autobiografica, fa corrispondere episodi della sua storia personale agli elementi chimici della tavola periodica; alla ricerca di ordine e razionalità che permea i racconti di Levi si aggiunge l’attenta critica allo scientismo, deleterio, in cui il positivismo era degenerato.
Quest’ultimo convincimento è l’ennesima riprova di come non sia possibile separare sapere scientifico e narrativo, stilando graduatorie di dignità, senza ottenere pessimi risultati. Per un sano e proficuo progresso di entrambe le conoscenze, è opportuno che esse collaborino con curiosità reciproca e umiltà.
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