L’incredibile storia del profeta Mansur

27Mansur 27

Ventisettesima puntata - Da frate a profeta. Qualcuno trema

FRANCESCO PICCO

E ha ben ragione di tremare, frate Vittorio Amedeo. Ormai il suo confratello maggiore ha iniziato a giocare con il fuoco  – e l’imberbe kātib Viktur, come ha cominciato a farsi chiamare, ha capito benissimo che ne scaturirà un incendio di cui nessuno riuscirà a spegnere le fiamme. Ma non se la sente di abbandonarlo – forse non vorrebbe nemmeno. È troppo curioso di vedere come andrà davvero a finire. O forse anche lui è stregato dal Mansur, che ogni giorno proclama nelle piazze di essere stato mandato direttamente dal Cielo per riformare la religione e ricondurla alla purezza originaria, distillandone gli abusi che come feccia vi si sono depositati con il tempo. Il Boetti – il Mansur – esce per le vie e le piazze di Amadiah mostrandosi franco, ilare, sereno. Si è intanto fatto radere i capelli, lasciandone sulla sommità del capo un cocuzzolo, perché Dio – quando vorrà chiamarlo a sé – trovi un appiglio per condurlo nelle stanze superne del paradiso. Nel frattempo, tuttavia, copre il proprio capo raso con un grande turbante verde, indossa una djallabah di lana bianca senza cuciture, con un cordone; e mette ai piedi due ieratiche babbucce gialle. Usa dapprima moderazione di atti e di parole, in modo che una calma sublime e veramente celeste si dipinga sul suo volto rilassato e sicuro come quello di un monaco cinese. Una calma solenne e sovrumana regna nei suoi atti, mentre nei suoi discorsi vibra una solenne intonazione religiosa modulata sulla lenta sinfonia di una sublime pace ieratica. Lui ragiona di continuo, senza posa, di null’altro che cose celesti: del culto divino, degli abusi che sono venuti insinuandosi nella religione – ma di quale religione starà parlando? l’islam, sembra; ma forse parla del cristianesimo, chi può dirlo?  In ogni caso, le sue parole penetrano nell’animo di entrambe le categorie di ascoltatori, dei mussulmani che sono la maggioranza in città ma anche dei cristiani che non mancano di seguirlo; e persino gli ebrei per solito così scettici e distaccati, tanto i rabbaniti come i caraiti, sembrano rapiti dalla sicurezza con cui ragiona delle cose di Dio. E chi potrebbe non essere colpito, vedendolo tanto commosso negli atti e nelle parole? Perché così lui diventa, non appena si sia accorto che i suoi discorsi hanno fatto breccia nell’uditorio. Fa così, il Mansur – il Boetti – pensa il suo segretario, il kātib Viktur; e intanto il  kātib scrive, scrive e scrive la storia del suo confratello diventato profeta. La scrive in lingua araba, osmanli o persiana.

Scrive: lui fa così. Prima parla calmo, ieratico, imperturbabile; ma poi, quando vede che il discorso ha smosso qualcosa nell’animo fragile e vibrante degli ascoltatori, allora di colpo cambia tattica e mostra un’ostentata, estenuante commozione: comincia a piangere, a singhiozzare come se fosse sferzato da interne torture, e freme e si dibatte e si contorce nell’angoscia e urla – urla, sì, con una voce che non è più la sua, o forse è quella vera che lo divora nell’intimo  – urla di non poter tollerare più a lungo il terribile fatto che l’Onnipotente, padre comune del genere umano, sia così malamente adorato dai suoi figli prediletti e più cari. Non di rado, a questo punto stanno già piangendo quasi tutti i suoi ascoltatori, divenuti partecipi delle sue indicibili sofferenze – che poi, a ben vedere, quando lui parla dei «figli prediletti e più cari di Dio» i musulmani si sentono chiamati in causa perché sanno di essere loro, questi figli prediletti di Allah, mentre i cristiani di ogni confessione riferiscono invece la frase a se stessi (e anche loro, parlando in arabo, chiamano Dio con il nome di Allah), e non parliamo poi degli ebrei, con cui Allah (haShem) ha suggellato un patto esclusivo di elezione tra i popoli…

Il Mansur – il Boetti – lo sa. Sa tutto questo e altre cose ancora che sfrutta tutte con indicibile astuzia nella costruzione di quel pericoloso personaggio che ha deciso di diventare e in cui, con l’aiuto del suo perplesso segretario kātib Viktur, ha già iniziato inesorabilmente a trasformarsi.

Un personaggio che gli abitanti di Amadiah guardavano dapprima con strana meraviglia, poi a poco a poco presero ad osservare con vivo interesse, e infine con cieca fiducia. I protettori, gli amici, i curiosi, quella tale folla amorfa che sbuca da ogni anfratto del mondo non appena si senta nell’aria l’odore di una qualche novità; quella gente strana che, annidata nelle pieghe della società, non ha nulla da perdere ed è pronta a gettarsi a capofitto nelle imprese più temerarie; fu quella l’umanità emarginata e un po’ folle che formò il primo nucleo dei suoi veri seguaci. Un’accozzaglia eterogenea di gente, per la maggior parte di tartari e di circassi, che credendo ciecamente alle sue predicazione si assunse il compito di spargere per le strade la notizia che al mondo era apparso, finalmente, un capo religioso capace di guidare i credenti di ogni dove verso la volontà di Dio, la giustizia, la pace e la felicità.

(Continua)

Prima puntata
Seconda puntata
Terza puntata
Quarta puntata
Quinta puntata
Sesta puntata
Settima puntata
Ottava puntata
Nona Puntata
Decima puntata
Undicesima puntata
Dodicesima puntata
Tredicesima puntata
Quattordicesima puntata
Quindicesima puntata
Sedicesima puntata
Diciassettesima puntata
Diciottesima puntata
Diciannovesima puntata
Ventesima puntata
Ventunesima puntata
Ventiduesima puntata
Ventitreesima puntata
Ventiquattresima puntata
Venticinquesima puntata
Ventiseiesima puntata

Illustrazione di Franco Blandino