Suoni, contaminazioni, molteplicità
CARLO BENZI
La performance Pazzo Van Gogh si caratterizza sul piano musicale per una certa contaminazione che produce nell’ascoltatore l’effetto di una interessante molteplicità. Alcuni eventi strumentali rarefatti – così come la maggior parte dei suoni elettronici – provengono dalle esperienze dell’avanguardia; il jazz emerge maggiormente nei momenti dedicati a sassofono e vibrafono che, insieme agli altri strumenti, intessono strutture più regolari e armonicamente più definite. L’elettronica non genera soltanto suoni particolari, ma trasforma anche quelli degli strumenti e della voce, rendendoli di volta in volta più lontani o più vicini mediante l’uso del riverbero oppure modificandone lo spettro attraverso l’impiego di altri effetti. In ogni caso l’unità del testo e dell’idea sottesa all’intera performance garantiscono alla stessa la coerenza che permette agli ascoltatori di coglierne la forma complessiva nella sua ampia parabola temporale.
Con un inizio caratterizzato da suoni elettronici e da un tappeto costituito da brevi eventi di sassofono, percussioni e voce elaborata quasi come un mantra, il lavoro fa emergere sin da subito la propria identità: la voce, pur su uno sfondo di parole incomprensibili, come da lontano urla la disperazione che la caratterizza, avvolta dal tessuto degli altri suoni.
A questa introduzione dai caratteri sperimentali assai marcati segue un primo brano in cui la dimensione jazzistica si impone chiaramente: nel sassofono, nel vibrafono e nella linea del basso vige un ritmo chiaro ed ossessivo che alla fine si estingue lasciando emergere rumori elettronici. Questi vengono sovrapposti a flauto e voce riverberati; così nella sezione successiva compare il primo testo che, così trattato, lascia emergere la dimensione onirica e apocalittica della terribile avventura umana di Van Gogh.
La pazzia viene presentata come il frutto della lettura distorta di una società che rifiuta chi è critico verso di essa, il suicidio invece come la deliberata uccisione da parte di chi non ha voluto comprendere il grido di dolore che dall’artista si è levato durante tutta la sua esistenza.
Il brano seguente, che vede il vibrafono protagonista, costituisce quasi una meditazione sulle parole poco prima proferite dalla voce, anche quando si trasforma in un ostinato percussivo che sostiene e talvolta sovrasta la lettura del secondo testo in cui emerge in modo ancor più chiaro la forza anticonformista delle opere di Van Gogh. Quando la voce rimane sola, essa si staglia con grande forza e comunica il testo in tutta la sua potenza. I brani che seguono ripropongono, con altri materiali sonori, alcune delle situazioni, dense o rarefatte, ascoltate in precedenza. L’ossessività della denuncia di Van Gogh trova quasi un correlato sonoro in ambienti caratterizzati da ostinati più o meno riconoscibili non solo sul piano motivico, ma anche in quello della ripetizione del timbro. Il tema dell’alienazione viene contrappuntato da musiche dal tono volutamente ironico, oppure sottolineato da suoni elettronici e dall’elaborazione spaziale della voce che, nel rapido passaggio da una parte all’altra dello spazio stereofonico, sembra perdere la propria unitarietà. La forza del testo permette di instaurare una complementarità fra i suoni elettronici di sottofondo e gli elementi jazzistici del vibrafono e del flauto nel penultimo brano, quando il tema dell’oscurità diventa il principale capo di accusa verso lo psichiatra, vero controllore delle coscienze. Dopo la struttura ostinata dell’ultimo brano, caratterizzato dal lungo duetto fra il sassofono e il contrabbasso, il discorso si chiude con frammenti della voce proposti in sovrapposizione che ricordano anche alcune situazioni dell’inizio.
Salvatore Marci , Angelo Manicone, Francesco Defelice, Daniel Antezza
“Pazzo Van Gogh“
Digressione Music