MAGGIE HUGHES
Nel giugno 1975 mi sono recata al “polling station” nel mio paese natale in Scozia per esprimere il mio voto riguardo alla permanenza del Regno Unito nel “Mercato Comune Europeo”.
Era la mia prima volta alle urne. Ho votato “Si” all’Europa. Sognavo di un’Unione forte e solidale che abbracciava un’infinità di razze, etnie ed idiomi, facendo tesoro delle diversità culturali ed aprendo il dialogo tra popoli troppo a lungo alienati dalle guerre del passato.
Il 24 giugno 2016 mi sono svegliata e, con mio grande rammarico, ho scoperto che il Regno Unito non faceva più parte dell’Unione Europea.
Ricordo ancora l’espressione di mio padre – nel lontano 1975 – mentre mi consegnava la scheda elettorale con gli occhi luccicanti, dicendomi: “Questo è il tuo momento, il tuo e quello di tutta la tua generazione. Il sentimento di nazionalismo ha portato solo del male. Voi avrete la responsabilità di costruire un futuro migliore per i vostri figli. Basta guerre! L’Europa unita è il futuro, l’unica speranza”.
Ora scopro che è stata proprio la mia generazione – la generazione di “Imagine”(J. Lennon), la generazione della speranza, gli inventori di Internet, dei viaggi “low-cost”, della “Globalisation” – che ha voltato le spalle a questa Europa. Le statistiche dimostrano che il 75% dei giovani hanno votato “Remain”. E adesso che cosa racconteremo ai giovani? Cosa diranno i padri ai figli mentre li accompagnano per la prima volta a votare?
Da tanti anni non vivo più nel Regno Unito, perciò non so cosa avrà spinto la popolazione a prendere questa decisione. Non tenterò di fare un’analisi politica. Mi limito a dire che l’ondata di popolarità per i movimenti “nazionalisti” in tutta l’Europa mi preoccupa. La mappa che illustra la divisione dei voti tra il popolo britannico dimostra che le aree del Paese dove il voto “Leave” è prevalso tendono essere le zone maggiormente colpite dalla crisi economica. “We want our country back” (“Vogliamo indietro il nostro paese”) è lo slogan della gente che non sa più contro chi o che cosa incanalare la loro rabbia e frustrazione.
I leader europei dei fronti nazionali inveiscono contro Bruxelles, individuato come perfetto capro espiatorio. Sicuramente inveiscono contro gli immigrati. Le immagini di Nigel Farage, leader del movimento UKIP in Gran Bretagna, mentre festeggia l’uscita del Regno Unito dall’UE come un trionfo personale (a reti unificate, ancor prima dell’annuncio delle dimissioni del Premier Cameron) dovrebbero far suonare un campanello d’allarme. Quanti Farage ci sono dispersi per l’Europa?
Personalmente, penso che ci sia la possibilità che il Brexit pesi più sull’UE che non sul Regno Unito stesso in termini economici, ma il danno più grave verrebbe se la febbre del referendum contagiasse altri Paesi.
Penso al mio ritorno a scuola a settembre. Cosa risponderò ai miei alunni, studenti di lingue straniere, quando affronteremo il tema dell’uscita del Regno Unito dall’UE? Mi troverò di fronte a questi ragazzi, meravigliosi e coraggiosi, che hanno voglia di mettersi alla prova, di confrontarsi con i loro coetanei di ogni nazione, di costruirsi un mondo in una società che non offre garanzie di alcun tipo. Studiano lingue perché loro sono i figli della globalizzazione e sono cresciuti con la visione di un mondo senza barriere. Mi chiederanno perché un paese come il Regno Unito, paladino della democrazia, un lume di tolleranza, accettazione e innovazione, un esempio di tenacia e di coraggio, abbia ora voglia di chiudersi e di isolarsi proprio quando queste doti sono più preziose che mai. Forse non risponderò. Il futuro preferisco farmelo raccontare da loro.
Maggie Hughes è scozzese e vive in Italia dal 1980. È lettrice presso il Liceo “Vasco-Govone-Beccaria” di Mondovì.