IL DUO CHITARRA E VIOLINO NEL PRIMO OTTOCENTO: CARULLI, GIULIANI E PAGANINI
FEDELE DEPALMA*
Il duo chitarra e violino costituisce indubbiamente una delle più importanti formazioni cameristiche: la letteratura chitarristica si è infatti più volte intersecata con quella violinistica permettendo ad entrambi gli strumenti di poter esplorare le proprie potenzialità timbriche, tecniche e armoniche e consentendo loro una crescente diffusione non solo tra professionisti ma anche tra amateurs di tutto il mondo. Non sorprenda allora che tale incontro risalga già ai primi decenni dell’800, in anni in cui le intelligenti sperimentazioni dei liutai europei stavano gradualmente trasformando l’antica chitarra barocca a cinque cori doppi nella moderna chitarra a sei cori semplici e in cui il violino, dopo le sorprendenti conquiste liuteristiche degli Amati, dei Guarnieri, di Antonio Stradivari e Jacob Stainer e le notevoli pagine che ad esso avevano dedicato compositori quali Corelli, Locatelli, Tartini, Veracini, era pronto per sperimentare
nuove e più ardite soluzioni tecniche e incarnare magistralmente la nuova temperie romantica. L’incontro tra i due strumenti in quegli anni decisivi costituisce uno dei momenti più felici della musica cameristica europea di primo ‘800 sia per quantità (molte furono le pagine scritte per un pubblico di dilettanti borghesi e aristocratici sempre più vasto) che per qualità: alla formazione chitarra e violino dedicarono infatti pagine importanti compositori quali Ferdinando Carulli, Mauro Giuliani e Nicolò Paganini.
Parigi fu uno dei primi centri di irradiazione di tale letteratura. I continui rapporti con Napoli da una parte e con la Spagna dall’altra permisero a liutai parigini quali Etienne Laprevotte e René-François Lacote di assimilare in tempo le importanti novità che stavano in quegli anni trasformando la fisionomia della chitarra: dalla scuola napoletana (Gennaro Fabbricatore e Antonio Vinaccia tra tutti) avevano adottato una cassa più larga, l’assenza di rosetta, l’adozione dei sei cori semplici; dagli spagnoli (Francisco Sanguino, José Benedict, Juan e José Page, José Martínez) l’incastro del manico che prolungandosi nella cassa armonica permetteva allo strumento maggiore stabilità. Le chitarre di Lacote presentano caratteristiche innovative: la tastiera sopraelevata e arricchita di 12 tasti, la paletta con moderne meccaniche, la tavola armonica rinforzata con fasce trasversali. Non casualmente furono proprio questi strumenti ad essere apprezzati e ricercati dai grandi virtuosi di quegli anni in virtù delle nuove possibilità tecniche che permettevano
di dispiegare.
Tra i principali stimatori delle chitarre lacotiane vi fu Ferdinando Carulli (Napoli 1770-Parigi 1841): trasferitosi a Parigi nel 1808 il musicista napoletano nel giro di pochi anni era divenuto il principale e incontrastato animatore dei salotti culturali cittadini e centro di quel che la critica del tempo definì guitaromanie. Erano infatti anni in cui la borghesia parigina, in piena ascesa sociale e desiderosa di emulare gli standard culturali dell’aristocrazia settecentesca, si poneva quale principale interlocutrice culturale nella richiesta sia di sempre più istrionici virtuosi da ammirare e plaudire che di una letteratura “facile” con cui esercitarsi nella pratica musicale domestica (Hausmusik). Carulli interpretò al meglio tali esigenze esibendosi in concerti pubblici che rivelarono per la prima volta al pubblico parigino le straordinarie e innovative possibilità tecniche della chitarra moderna e al contempo impegnandosi in un’assidua attività didattica e compositiva pensata soprattutto per avvicinare alla chitarra una fascia sempre più numerosa di “dilettanti” musicali. Carulli predilesse proprio la formazione chitarra e violino per questo tipo di pubblico componendo ben 66 duo.
La popolarità della produzione per chitarra e violino fu ampia ed è testimoniata dal fatto che essi vennero subito riarrangiati per chitarra e flauto da G. F. Fuchs, oboista attivo nella capitale francese in quegli stessi anni. Molte di queste composizioni si adattavano alle esigenze di musica “facile” per un pubblico non professionistico ma non mancano brani dal respiro più ampio. Tra le richieste più assidue che il nuovo pubblico avanzava vi erano le trascrizioni per formazioni cameristiche delle arie più celebri del teatro lirico italiano e francese, il fenomeno culturale à la page del momento. Carulli vi si cimentò numerose volte trascrivendo arie dal Pirata di Bellini, dall’Anna Bolena di Donizetti, da Robert le Diable, dagli Ugonotti e dal Crociato di Meyerbeer, dalla Dame Blanche di Boieldieu dal Barbiere di Siviglia, dall’Assedio di Corinto, dall’Otello e dalla Gazza Ladra di Rossini. La Fantaisie avec Variations sur des Airs de la Gazza Ladra de Rossini pour Guitare et Violon ou Flaute, op. 197, qui proposta, è tra le trascrizioni operistiche più impegnative e riuscite di Carulli in cui il compositore riesce a fondere un accompagnamento chitarristico già aperto a soluzioni innovative (arpeggi, ribattuti, scale da eseguire per posizioni) e una parte violinistica nitida e fluida, con leggere concessioni al virtuosismo.
Se Carulli offre alla chitarra la possibilità di allargare considerevolmente la cerchia di estimatori, è Mauro Giuliani (Bisceglie 1781- Napoli 1829) il chitarrista che più di altri permetterà di far conoscere al mondo le straordinarie potenzialità della chitarra sia come strumento solista che in duo con violino o flauto. Anche Giuliani deve la sua crescita artistica ad una capitale europea, la Vienna d’inizio ‘800 che in quegli anni costituiva il centro riconosciuto della musica strumentale. Qui ebbe infatti modo di inserirsi nel ricco tessuto musicale asburgico esibendosi in molteplici occasioni come concertista virtuoso, dedicandosi all’attività didattica e impegnandosi in una prolifica attività compositiva. La fama di ineguagliato virtuoso della chitarra gli permise di conoscere e frequentare musicisti quali Moscheles, Diabelli, Hummel, Spohr e Mayseder dai quali assorbì il gusto per una nuova visione della musica strumentale. L’assidua frequentazione in particolare con il pianista Hummel e il violinista Mayseder, con i quali intraprese una celebre stagione concertistica in trio, gli permise di esplorare in profondità le possibilità timbriche e formali della chitarra quale strumento concertante. La permanenza viennese gli offrì inoltre la possibilità di conoscere direttamente le novità stilistiche e formali introdotte dalla scuola viennese di quegli anni: basti pensare ad esempio che suonò come violoncellista nell’orchestra che eseguì per la prima volta la Settima Sinfonia di Beethoven l’8 dicembre del 1813.
Le numerose composizioni cameristiche per chitarra di Giuliani riflettono pertanto una visione spesso innovativa delle potenzialità tecniche e concertanti della chitarra. Nella corposa produzione cameristica (scrisse quattro composizioni per quartetto d’archi e chitarra e una quindicina di duo per chitarra e violino o flauto) spicca indubbiamente il Grand duo concertant, op. 85, opera di notevole interesse per le innovative soluzioni proposte: Giuliani affida alla chitarra una parte impegnativa, ben lontana dalla funzione di mero accompagnamento al violino ma capace piuttosto di dialogare con esso con piena consapevolezza delle proprie potenzialità tecniche e con assoluta personalità.
Senza dubbio a sancire simbolicamente l’incontro tra violino e chitarra di primo Ottocento fu però Nicolò Paganini (Genova 1782- Nizza 1840). Sebbene noto soprattutto per le sue straordinarie esecuzioni violinistiche che in quegli anni circonfusero il musicista di un’aurea quasi mitica, Paganini fu anche un ottimo chitarrista e alla chitarra offrì numerose pagine sia come strumento solista che in formazioni cameristiche. Interessanti sono ad esempio i quartetti per violino, viola, violoncello e chitarra in cui, pur senza adottare alcun procedimento tematico tipico invece della scuola viennese e mantenendo piuttosto una cantabilità tutta italiana per le parti del violino, Paganini affidò alle parti della viola, del violoncello e della chitarra controcanti dialoganti di un certo interesse. Meno innovative da un punto di vista compositivo sono invece le 6 Sonate op. 2 per chitarra e violino, composte probabilmente nel 1805 e pubblicate
da Ricordi nel 1820. Paganini limitò la chitarra ad un ruolo di semplice accompagnamento riservando invece al violino parti spesso virtuosistiche: le 6 Sonate furono infatti pensate per offrire ai chitarristi dilettanti la possibilità di accompagnarlo durante le sue virtuosistiche esecuzioni al violino. Ciò è attestato almeno per Domenico Pino, generale in pensione e appassionato cultore della chitarra con il quale Paganini amava duettare negli anni in cui il musicista genovese, debilitato da una pesante malattia venerea, aveva accettato di essere da lui ospitato nei pressi del Lago di Como. Nonostante la semplicità formale delle sonate paganiniane, le parti violinistiche riflettono talvolta le principali novità tecniche per cui il compositore genovese è dai più ricordato: distesa cantabilità nei movimenti lenti, scale veloci spesso per terze, seste, ottave e decime, sviluppo di tremoli e arpeggi, sperimentazione sui suoni acuti, sviluppo delle risorse timbriche del violino.
*Fedele Depalma, diplomato in chitarra e mandolino, laureato in lettere classiche, dottore di ricerca con curriculum musicologico presso l’Università “A.Moro” di Bari. Come musicologo ha pubblicato numerosi saggi per Musica/Realtà, B.A. Graphis, Edizioni Del Sud, Felmay; è autore di ‘O re de li stromiente, volume monografico dedicato al colascione seicentesco per la Grifo Editore. Come musicista ha inciso per Raitrade, Felmay, Interfolk Revista Spagna, Quickstar Productions USA, Digressione ContemplAttiva, Grifo Editore.
Marco Misciagna, Vito Vilardi, Carulli Giuliani Paganini, Digressione Music
Marco Misciagna – Vito Vilardi suonano Paganini Sonata Op.2 n.6
Marco Misciagna – Vito Vilardi suonano Paganini Sonata Op.2 n.1