SILVIA PIO (a cura)
«Se il significato o la bellezza di un pensiero richiedono che venga infranta una regola, infrangetela; se non esiste una parola conosciuta per esprimere la vostra idea, prendetene una in prestito o inventatela; se la sintassi si oppone all’uso di un’espressione utile, fate a meno della sintassi. Cercheremo di attenerci alle regole finché esse non inibiranno i nostri pensieri, altrimenti istituiremo regole nuove».
Kahlil Gibran
In questi nostri tempi bui, nei quali il sostantivo e l’aggettivo ‘arabo’ fanno scattare una reazione di sospetto se non di paura, l’unico modo per arrivare ad una comprensione dell’altro (chiunque lui/lei sia) e ad una convivenza pacifica e proficua, è quello di conoscere la cultura che si fregia dell’aggettivo controverso. Conoscerne la letteratura, la storia.
Un libro fondamentale oltre che molto bello è quindi l’antologia Poeti arabi della diaspora, versi e prose liriche di Kahlil Gibran, Ameen Rihani, Mikhail Naimy, Elia Abu Madi, a cura di Francesco Medici, Stilo editore (2015).
Conoscere la storia, dicevamo, è importante: di quale diaspora stiamo parlando[1]? Nel corso dei secoli gli Arabi sono stati vittime di molti conflitti, disordini politici e persecuzioni religiose, che li hanno costretti a lasciare i paesi d’origine. Nel 2014 l’International Organization for Migration ha stimato che almeno 7 milioni vivano al di fuori dei paesi cosiddetti arabi. Tra i conflitti più recenti ricordiamo il dominio dell’Impero Ottomano, la guerra arabo-israeliana del 1948, la guerra civile libanese nel 1970, il conflitto libanese del 2006 e il conflitto siriano tuttora in corso. Il tema della migrazione (e dell’esilio) è stato presente nella letteratura araba fino dall’inizio dell’Islam ed anche in tempi pre-islmici, ma è diventato più rilevante nel post-colonialismo, vista la scala maggiore di migrazioni.
I poeti di questa antologia appartengono alla scuola siro-americana e ad al-Rabitah al-Qalamiyyah (Associazione della Penna), o Arrabitah, come veniva chiamata quando scrivevano in inglese. Quello che volevano inviare al mondo era un «messaggio di libertà, di speranza e di fratellanza universale» e il loro «impegno, anche politico, avrebbe sortito effetti insperati nella lontana madrepatria, segnando una svolta epocale nella storia della letteratura araba»[2].
Apre l’antologia una Presentazione di Kegham Jamil Boloyan, esperto di lingua araba all’Università del Salento, Lecce, che invita a leggere i «testi tradotti e annotati con acribia, rigore scientifico e passione da Francesco Medici, per cogliere … il rivelarsi dello spirito arabo, il suo combattivo impegnarsi nel campo della politica sociale, la sua consapevolezza di essere erede di un’antica civiltà che ha dato un fondamentale contributo allo sviluppo storico dell’umanità».
Segue la Prefazione di Ameen Albert Rihani, professore emerito della Notre Dame University, Libano, che presenta il comune denominatore tra i quattro autori dell’antologia: la presa di distanza dai canoni classici della poesia e della prosa araba, l’esperienza formativa lontana da ogni stereotipo travalicando il retaggio dei loro antenati, l’esigenza di modificare persino la loro mentalità per arrivare a capire e comunicare con quella del Nuovo Mondo, la creazione di una lingua innovativa in seno all’arabo classico e anche l’adozione dell’inglese per raggiungere il lettore occidentale.
Le poesie sono introdotte da un saggio interessante ed esaustivo del curatore intitolato “Le origini della letteratura arabo-americana”, che si apre con la storia delle ondate migratorie verso le Americhe della seconda metà del XIX secolo. Si trattava soprattutto di cristiani che volevano «sfuggire alla politica illiberale del regime ottomano, alle persecuzioni religiose, alla povertà diffusa e alla stagnazione economica che affliggevano tutto il Medio Oriente, e cercare una vita migliore».
La storia della letteratura araba nasce con il patrimonio poetico tramandato oralmente in età preislamica e codificato per iscritto con l’avvento dell’Islam nel VII secolo d.C. L’apice della potenza e dello splendore nelle scienze e nelle arti viene raggiunto quando l’Impero islamico sposta la capitale a Baghdad nell’VIII secolo, e dura fino all’arrivo dei mongoli nel XIII e alla riconquista cristiana. La lunga decadenza si aggrava quando le terre che erano state culla del prestigio arabo finiscono sotto il dominio ottomano, all’inizio del XVI secolo, la cui censura «condanna ogni espressione creativa al letargo e alla sterilità, e la letteratura si riduce a un mero esercizio di stile nell’imitazione dei modelli antichi».
La letteratura in lingua araba inizia la sua rinascita nella seconda metà del XIX secolo in Egitto e nella provincia della Grande Siria (attuali Siria, Libano, Iraq, Palestina, Israele e Giordania). Ma «la vera rivoluzione romantica della letteratura araba … si deve ai poeti siro-libanesi emigrati sull’altra sponda dell’Atlantico».
Uno degli esempi delle iniziative dei letterati della diaspora negli USA è il circolo letterario nominato sopra, costituito originariamente a New York nel maggio 1916, quando alcuni autori prendono l’abitudine di aggiungere alla propria firma dei loro contributi comparsi sui periodici destinati agli Arabi espatriati la dicitura “Membro dell’Associazione della Penna”. A questa prima iniziativa, durata pochi mesi, partecipano, tra gli altri, Gibran e Rihani. Lo studio-appartamento newyorkese di Gibran diventa luogo d’incontro dei maggiori intellettuali e nazionalisti arabi, tra i quali anche Naimy, insieme ad artisti, pensatori, socialisti e rivoluzionari. Finita la Prima Guerra Mondiale alcuni poeti si mettono a discutere di «cosa potevano fare gli scrittori siriani di New York per risollevare la letteratura araba dalla palude stagnante della pura imitazione e infondere nuova linfa nelle sue vene, in modo da farne una forza attiva nella costruzione delle nazioni arabe». Il 28 aprile 1920, nello studio di Gibran, viene rifondata Arrabitah su basi più formali, con Gibran come presidente e Naimy come consigliere. Abu Madi aderisce l’anno successivo. Gibran realizza un logo che riporta un hadith, un detto, attribuito al Profeta: «Dio custodisce tesori sotto il Suo trono, le cui chiavi sono le lingue dei poeti».
I poeti d’emigrazione furono molto numerosi e godettero dei benefici del contesto politico-sociale americano, che consentì loro di svilupparsi indipendentemente e autonomamente dal gusto letterario della madrepatria, facendo uscire la letteratura araba sulla scena culturale mondiale. Furono liberi di modificare la versificazione classica, di attingere alla letteratura occidentale e di ispirarsi alla vita reale piuttosto che alla tradizione. La loro influenza si diffuse in tutto il mondo arabo inaugurando una nuova era letteraria nella poesia, nel romanzo e nel racconto. «La poesia diviene espressione sincera delle emozioni, con un’attenzione particolare riservata al microcosmo dell’uomo, alle bellezze naturali e alle meraviglie dell’universo, che spesso cede il posto alla nostalgia della patria lontana… Il romanticismo arabo… scaturì dal confronto con un Occidente che, paragonato alla realtà dolorosa dei loro Paesi d’origine, apparve ai poeti d’emigrazione il luogo di realizzazione di ogni desiderio di libertà. Libertà che consentì loro di concepire una letteratura… che potesse persino cambiare il mondo».
Sembrava a quei tempi che le nazioni che si trovavano sotto il giogo turco potessero arrivare ad una piena indipendenza. «Ma i letterati della diaspora non sapevano ancora che le potenze europee avevano già deciso a proprio vantaggio le sorti del Medio Oriente, né avrebbero mai potuto immaginare quali prove ben più dure e drammatiche il mondo arabo era destinato ad affrontare».
Ameen Rihani, 1876 – 1940. Primo letterato arabo-americano a scrivere in inglese, si è rivolto all’Occidente come fiero scrittore e poeta orientale «venuto dalle montagne del Libano»[3], e si è guadagnato il titolo di pioniere della poesia araba moderna, conservando un «equilibrio tra gusto orientale ed esperienza occidentale, nei contenuti non meno che nella forma».
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Kahlil Gibran, 1883 – 1931. «Con la sua prosa poetica in arabo, si è mantenuto più aderente al registro emozionale di stampo orientale» mentre con la scrittura in inglese esprime tematiche di carattere universale, mirando a proporsi come un autore «concentrato sul bene comune dell’umanità, a prescindere da qualunque distinzione».
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Elia Abu Madi, 1890 – 1957. Non si è mai cimentato nella scrittura in inglese; «la sua prosa classicheggiante in arabo ha inaugurato una nuova tendenza nella letteratura araba novecentesca».
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Mikhail Naimy, 1889 – 1988. Ha scritto in inglese solo in una fase successiva della sua produzione; «sul versane arabo si è prevalentemente impegnato nel genere della poesia classica ‘moderna’». Per Naimy il poeta è«il creatore di un linguaggio musicale e immaginifico» e la lingua con cui scrive «è un mezzo imperfetto al fine di esprimere sentimenti ed emozioni, quindi egli crea nuove parole e nuove strutture»[4].
Francesco Medici (Bari, 1974), italianista e studioso della letteratura araba d’emigrazione, è membro ufficiale dell’International Association for the Study of the Life and Work of Kahlil Gibran (University of Maryland). Tra i maggiori traduttori in Italia dell’opera gibraniana, è autore di numerosi contributi critici sul celebre poeta-pittore libanese e su altri letterati arabi della diaspora. Nel 2014 ha tradotto e curato per i tipi di Mesogea Il libro di Khalid di Ameen Rihani, il primo romanzo in inglese pubblicato da uno scrittore arabo in America (New York, 1911). Per la Stilo ha inaugurato la collana ‘Officina’ con la monografia Luzi oltre Leopardi. Dalla forma alla conoscenza per ardore (2007).
Le poesie Le torri e la notte e Canto ṣūfī di Ameen Rihani sono state musicate dai Malaavia; vedi Frammenti compiuti
Le immagini sono tratte da fotogrammi del video Poeti arabi della diaspora.
[1] Fonti delle informazioni sulla diaspora araba in questo articolo: http://www.albawaba.com/slideshow/out-mena-nine-cities-arab-diaspora-calls-home-691942 http://www.thenational.ae/arts-culture/the-distant-imagination-of-the-middle-easts-exiled-writers e Wikipedia.
[2] Dal saggio introduttivo del curatore intitolato “Le origini della letteratura arabo-americana”.
[3] Tutte le citazioni relative agli autori sono tratte dalla Prefazione di Ameen Albert Rihani, esclusa quella della nota 4.
[4] Dal saggio introduttivo del curatore intitolato “Le origini della letteratura arabo-americana”.