ATTILIO IANNIELLO
Nei piccoli borghi rurali del nostro Paese l’istituzione di forni sociali, ossia di forni che potevano essere utilizzati a turno dai borghigiani per farsi il pane, affonda le sue radici in tempi remoti. Più vicina a noi, in ordine di tempo, è l’istituzione di forni cooperativi che avevano come scopo di offrire del pane di buona qualità fatto con farina di frumento a prezzo accessibile a tutti i cittadini.
Queste iniziative cooperativistiche si diffusero in tutta Europa nel corso del XIX secolo partendo da esperienze inglesi e francesi.
In Italia il primo forno cooperativo fu istituito nel 1878 a Bernate Ticino in provincia di Milano:
Fra le questioni più gravi per le classi meno abbienti è certamente quella del pane. Anche i Governi più assoluti, e meno curanti del benessere del popolo, non potevano rimanere indifferenti di fronte al quesito di procurare al popolo pane a buon prezzo. Vi provvidero coi calmieri e con uffici di sorveglianza; ma, sopraggiunti tempi più liberi e più democratici, i governanti fiduciosi nella concorrenza, credettero non fosse più bisogno di imporre mete sui generi di prima necessità. Purtroppo invece l’ingordigia dei mugnai e dei pristinai seppe eludere la legge della concorrenza, e togliere altresì al popolo quasi tutto il beneficio del grano a buon mercato. Epperò massime in certe regioni d’Italia, in cui la fertilità del suolo doveva far ritenere che il contadino conducesse vita migliore degli altri suoi confratelli, come nella Bassa Lombardia e nel Veneto, era invece ridotto a pascersi di grano avariato e di pane il più malcotto e difettoso. Di qui le malattie che debilitavano il corpo ed aumentavano la miseria; di qui la pellagra colla coorte di tutte le sue perniciose conseguenze.
Il rimedio a tali gravissime condizioni di cose doveva essere ed è certamente l’associazione cooperativa. Fu l’abate don Rinaldo Anelli, parroco di Bernate Ticino che, vero apostolo di carità, con una attività e costanza ammirabili, avendo toccato con mano i mali delle popolazioni rurali, colla fiducia che seppe ispirare, riuscì ad ottenere dei sussidi da persone abbienti, a riunire i contadini in un sodalizio, e ad aprire nel 1878 in Bernate il primo forno rurale, con cui si fornisce pane sanissimo ed economico.[1]
Il forno cooperativo di Bernate Ticino produceva mediamente 25 quintali di pane al giorno.[2]
Inoltre l’ideatore della cooperativa, don Anelli, continuava a fare esperimenti per risparmiare combustibile come lui stesso scrisse in una lettera datata 25 febbraio 1884 e pubblicata sul quotidiano cuneese “La Sentinella delle Alpi” del 6-7 marzo 1884:
Il confronto di spesa del combustibile fra il vecchio e nuovo mio sistema è da 90 a 30, ossia con 30 centesimi in media io ho cotto un quintale di pane mentre prima ne occorrevano 90.
Il successo del forno cooperativo di don Rinaldo Anelli spinse molte persone ad imitare nei propri paesi e nelle proprie città e cittadine tale istituzione.
In Piemonte i forni cooperativi incominciarono a diffondersi nel Novarese. Nel 1881 infatti venne costituito un forno cooperativo nella frazione San Martino di Novara, nel 1882, sotto gli auspici del Comizio Agrario di Novara, ne nacque uno a Casolino. Ne sorsero nel 1885 a Croce Mosso e a Mezzana nel Biellese. Nel 1888 veniva istituito poi il forno cooperativo di Bricherasio nel Torinese. Finalmente anche in provincia di Cuneo nel 1899 sorsero i forni cooperativi di Cortemilia e Cuneo, entrambi promossi dalle locali Società Operaie di Mutuo Soccorso.[3]
A Cuneo, in realtà, la Società di Mutuo Soccorso tra Artisti e Operai aveva promosso la “Società Cooperativa di Panificio Operajo” già il 2 maggio 1886, ma l’attività vera e propria del forno cuneese iniziava solamente nel febbraio del 1899.[4]
Il periodico “L’Alba del Novecento” (Gazzetta di Mondovì) ne dava notizia invitando anche i Monregalesi ad imitare i confratelli di Cuneo:
Cuneo, 11 aprile 1899. Il Panificio cooperativo… prospera e reca al pubblico non pochi vantaggi. Il pane che fabbrica si vende ad un prezzo limitato ed è eccellente. E tutti i giorni acquista nuovi clienti. La media giornaliera è di 30 Mg. ed il prezzo non supera i 32 centesimi il chilogrammo. I panettieri certamente non ne sono guari contenti; ma ne prendono occasione per migliorare il loro prodotto e soprattutto curano meglio la cottura che prima che sorgesse il panificio, lasciava molto a desiderare. Perché Mondovì non pensa ad imitare il nostro esempio?[5]
A Mondovì, in realtà, da tempo si conosceva quanto si andava facendo in Italia per favorire una panificazione di qualità e a buon prezzo. I Monregalesi conoscevano le iniziative di don Rinaldo Anelli grazie all’interesse verso le attività del parroco di Bernate Ticino dimostrato dalla “Gazzetta di Mondovì”, la quale già nel 1877 aveva presentato le opere sociali del sacerdote lombardo. La “Gazzetta” infatti tra le persone che consacravano la loro vita al benessere altrui scelse di parlare del
degno sacerdote Rinaldo Anelli… il quale nel 1873 istituiva fra i contadini di quel Comune una Società di Mutuo Soccorso contro i danni prodotti dalle malattie del bestiame bovino. Egli riuscì nel suo nobile scopo, inculcando ai suoi parrocchiani lo spirito di associazione e, malgrado i pregiudizi che fanno paurosi ed incerti gli abitanti delle campagne, insinuò nelle menti di quelli il convincimento che sarebbe loro possibile, mediante una piccola quota annuale, di ovviare di per sé a gravissime perdite, senza dover ricorrere alla magra carità altrui, senza veder talora rovinato in un anno il risparmio di tutta la vita.
[…] Ma non basta; l’azione benefica della Società non tardò ad esercitarsi in più vasta cerchia, sovvenendo i soci nella compera delle bestie e del frumento per le seminagioni, e ciò coll’istituzione di una piccola banca, formata dai fondi sociali, alla quale va unita una cassa di risparmio che corrisponde ai depositi l’interesse del 3,50%. In altro modo la Società di Mutuo Soccorso ha potuto giovare a quella popolazione. Ricevendo 50 centesimi all’anno per ciascun individuo, essa fornisce in caso di malattia tutti i medicinali. Ed ora… sta per eseguire il progetto di un forno sociale.
[…] Noi nutriamo fiducia che nei villaggi del nostro Circondario si vorrà seguire sì bell’esempio e così rafforzandosi i vincoli di solidarietà e di fratellanza tra i conterrazzani, aumentandosi la ricchezza dei coloni, diminuisca il malcontento per le imposte esorbitanti, e cessi l’emigrazione e lo spostamento verso le grandi città, che spopolano le nostre campagne togliendo loro l’elemento migliore, più vigoroso, più attivo: la gioventù.[6]
Gli auspici del direttore della “Gazzetta di Mondovì”, Giuseppe Lorenzo Salomone, di veder diffondersi nel Circondario rurale di Mondovì società varie di mutuo soccorso poco per volta si realizzavano. Mancava però all’appello un forno cooperativo.
Questo si realizzava alcuni decenni dopo, nel 1903, quando in occasione di un ennesimo rincaro dei generi di prima necessità, farine e pane compresi, si accendeva un dibattito tra socialisti, liberali e cattolici sulla panificazione.[7]
Tra le soluzioni ipotizzate per far diminuire il prezzo del pane, garantendo una buona qualità del pane stesso, si fece strada il progetto di un panificio cooperativo in Mondovì.
Il Sindaco di Mondovì, Antonio Comino, costituiva nell’inverno del 1903 un Comitato promotore, il quale raccolse in assemblea ufficiale i sottoscrittori per l’impianto del Panificio Cooperativo il 18 marzo 1904 nella sede della Società di Mutuo Soccorso dei Militari in Congedo.[8]
Iniziava così l’iter burocratico per la costituzione del Panificio Cooperativo Monregalese, costituzione che avveniva il 19 maggio 1904, rogito Adriano.
Il primo Consiglio di Amministrazione veniva eletto il 12 luglio nella sede della Società di Mutuo Soccorso di Breo in via Giovanni Battista Beccaria. In quell’occasione veniva eletto presidente dell’istituzione cooperativa Virgilio Prato.[9]
Quest’ultimo, insieme ad alcuni consiglieri, iniziava nella primavera-estate del 1904 un “pellegrinaggio” presso Panifici Cooperativi già funzionanti per osservare il loro lavoro, la loro organizzazione e chiedere consigli su quali macchinari acquistare per dare inizio alla produzione. Venivano visitati i forni cooperativi di Torino, Cuneo, Genova ed infine si decideva di acquistare il forno (Lire 1.500) dall’azienda Capellaro di Torino, l’Impastatrice Warschalowschy n. 2 (Lire 900) dalla ditta A. Grosso e F. Baruffaldi di Lecco e un motore ad energia elettrica (Lire 700) dalla Società Elettrica Monregalese. Il laboratorio per la panificazione fu offerto dal signor Canapale presso la sua casa in regione Gherbiana.[10]
L’autunno ed i primi mesi dell’inverno 1904 venivano dedicati alla messa a punto del laboratorio/magazzino e dei macchinari.
Si iniziava quindi la produzione nella notte tra il venerdì 6 e il sabato 7 gennaio 1905, quando, all’alba, il pane veniva portato nei diversi punti vendita:
La vendita del pane del forno cooperativo avrà luogo, oltreché nei locali del Magazzino Cooperativo in Sezione Gherbiana, anche presso:
Maccagno Michele, via delle Ripe
Robaldo Giuseppe, piazza Toscana
Giaccobbe Giuseppe, casa Frat. Meriano
Cuniberti Angelo, angolo via di Piazza
Bisio Bartolomeo, piazza Sant’Agostino
Cerrone Maria, via Sant’Agostino e Piazza S. Maria
Audisio Biagia, Borgatto
Demichelis Filippo, corso Statuto.
Per la Sezione di Carassone:
Marino Stefano – Aimo Domenico – Manfredi Eusebio.
Per la Sezione di Piazza:
Masante Giovanni
Mondovì, 4 gennaio 1905
L’Amministrazione.[11]
Per solennizzare l’evento il Consiglio di Amministrazione decideva di inaugurare ufficialmente il Panificio la mattina dell’8 gennaio:
Ieri, alle 10,30, venne solennemente inaugurata [la cooperativa] al suono della musica, presenti tutte le autorità, colla benedizione del sacerdote, cav. G. Lanza, e fra la gioia s’un’onda larghissima di popolo, che volle assistere alla bellissima festa.
Parlò primo, ed egregiamente, l’avv. Guido Viale, vice presidente. Egli incominciò coll’accennare alle ragioni che determinarono la fondazione del panificio ed allo scopo che l’istituzione si propone di raggiungere. Ricordò l’opera lodevolissima degli instancabili iniziatori, signori Cerrone e Rossi, efficacemente coadiuvati dal Sindaco e da altre egregie persone. Elogiò l’attività esemplare del benemerito presidente, sig. V. Prato. Quindi procurò di spiegare la funzione economico-sociale delle cooperative che rappresentano l’applicazione delle dottrine di solidarietà e di mutua assistenza, le quali oggi, fortunatamente prevalgono sulle tendenze individualistiche di una volta. Rilevò ancora che le cooperative offrono la migliore soluzione pratica del problema della vita a buon mercato. Accennò alle difficoltà che ogni iniziativa, sia pur buona, trova nella sua attuazione; difficoltà che dipendono essenzialmente dalla legge fatale della inerzia e da un difetto proprio dei tempi nostri, difetto che è chiamato spirito di ipercritica: o si contrasta ogni iniziativa o la si critica troppo. Fece infine voto per la creazione di un’altra maggiore e più potente cooperativa, quella di tutti i buoni, di tutti gli onesti per raggiungere lo scopo dell’universale utilità e benessere. Ricordò le auree parole del Payat: “Ah! se ogni anno tornasse un certo numero di studenti nei loro comunelli, nelle piccole città, quali medici, avvocati, professori, ben decisi di non lasciar occasione di parlare, o di agire, in favore del bene, col proposito di dimostrare ad ogni uomo di qualsiasi condizione, il più grande rispetto, e a non lasciar fare un’ingiustizia senza protestare, a introdurre nei rapporti sociali maggior bontà, vera equità e tolleranza, in venti anni, per fortuna della patria, di ogni patria, si instituirebbe un’assistenza novella, assolutamente rispettata, che eserciterebbe una potentissima influenza sul bene generale”.
[…] Poscia prese la parola il presidente del panificio, rag. Prato Virgilio, che ringrazia gli intervenuti della loro presenza ed augura alla nuova istituzione un avvenire prosperoso…
Ultimo disse brevemente il Sindaco del bene che Mondovì può ripromettersi dal panificio cooperativo, che si presenta come un felice principio di municipalizzazione dei servizi locali. Esso non mancherà di migliorare la base dell’alimentazione, giovando così a tutti, senza nuocere a chicchessia, perché la concorrenza leale ed onesta, come il panificio fondato con denaro di tutti, non può recare danno neanche ai panettieri. Tuttavia sarà per essi un pungolo ad adottare tutti i progressi della scienza e a dare, con pari forze e mezzi, risultati più abbondanti e migliori.
Terminata la cerimonia dell’inaugurazione, tutti i presenti furono regalati di vermut e focacce, trovati eccellenti, e regalati anche d’un cartoccio, onde i prodotti del panificio possano essere fatti conoscere anche in famiglia.[12]
Avviata l’attività quotidiana del Panificio, nell’agosto di quell’anno i Soci rinnovarono il Consiglio di Amministrazione che vide rieletto presidente Virgilio Prato con il vice presidente Guido Viale. Furono nominati consiglieri l’ingegner Francesco Peira, l’ingegner Filippo Gastone, l’avvocato Giovanni Iemina, il geometra Antonio Manassero ed il signor Giovanni Castelli. Il Collegio sindacale veniva formato dal notaio Giuseppe Perotti, presidente, Lodovico Monti e Giuseppe Forzano, sindaci effettivi; Carlo Bertelli e Bartolomeo Bisio, sindaci supplenti.[13]
Il nuovo Consiglio di Amministrazione doveva affrontare un primo problema: per il mercato del pane in Mondovì Breo erano troppe le otto rivendite istituite. Il Panificio cooperativo faceva quindi sapere alla popolazione che
col primo del prossimo gennaio [1906], invece di far vendere il suo prodotto in diversi spacci particolari, ne istituirà, a Breo, due soli, uno in via Beccaria, casa Caviglia, ed uno in casa del cav. Fulcheri, sulla piazza del Municipio. E questi due spacci s’incaricano di portare il pane al domicilio di coloro che ne faranno richiesta, nella quantità e qualità desiderata ed all’ora che sarà loro più comoda di ogni giorno.[14]
Le vendite del prodotto del Panificio andavano comunque bene, tanto che nel corso dell’Assemblea dei Soci del 18 febbraio 1906 il presidente Virgilio Prato annunciava «la costruzione di un nuovo forno per poter fare anche il pane biscotto ed il grissino»[15].
Grazie all’acquisto di importanti quantità di farina il Panificio poteva proporre prezzi vantaggiosi: al chilogrammo il “pane molle di prima qualità” era venduto a 37 centesimi, il pane “casalingo” a 33 centesimi ed i grissini a 44 centesimi.[16]
Inoltre il Panificio garantiva una buona qualità di prodotto tanto che nell’autunno 1906
la Giuria dell’Esposizione campionaria di Savona assegnò al Panificio Cooperativo Monregalese il gran premio della medaglia d’oro per la bontà dei suoi prodotti.[17]
Questi successi del Panificio però dovevano scontrarsi con una logorante e continua propaganda avversa promossa da coloro che venivano in qualche modo danneggiati dal ruolo di calmiere del prezzo del pane assunto dalla cooperativa:
Dal sorgere di questa istituzione, la quale ha portato un ben noto miglioramento nella lavorazione del pane nella nostra città, essa fu sempre fatta segno a male arti da gente, che, pei loro fini inconfessabili, agognano che sia soppressa, ricorrendo a tale scopo a vane insinuazioni di sperati e sognati fallimenti economici e morali.
[…] La Direzione tiene perciò a dichiarare che nulla di vero esiste, e sperando nell’appoggio della cittadinanza, e nulla curando queste male arti, promette di adoperarsi sempre più per gli interessi della Cooperativa, che pur sono interessi di tutti.
Mondovì, 20 giugno 1907
La Direzione.[18]
Ma nonostante l’impegno del Consiglio di Amministrazione le “male arti” messe in giro da gente interessata ebbero la meglio. Il Panificio cooperativo monregalese, che tanto bene e con profitto aveva iniziato ed eseguito il lavoro produttivo e sociale nei primi due anni di attività, nel 1908 viveva una crisi così profonda che lo portava al fallimento con sentenza del Tribunale di Mondovì del 28 dicembre 1908.
Finiva così malinconicamente nel corso delle feste natalizie una breve pagina di esperienza cooperativistica monregalese.
Nella foto: Mondovì, inizio ’900 (archivio “Unione Monregalese”)