MICHELE GHIBAUDO
Perché il tre è il numero imperfetto
POESIA A TRE mondo
I
Corri come se non avessi mai avuto gambe se non per un istante, guarda sempre negli occhi di chi l’ occhio non chiude ma posa, ricorda che non esistono verità di cera ma soltanto di un qualunque materiale che non abbia consistenza, che non possano rompere o sciogliere, usa cartelli di opachi, molli urli che si insinuino nella luce e sotto a tutte le porte della notte, rimani a guardare quanto ciò che hai già guardato sia ancora da ricominciare
II
e ricomincia ad urlare nel traffico incessante di questo andirivieni di silenzi con le labbra che fumano come le marmitte delle auto su corso Quattro Novembre, silenzi senza un attimo di silenzio. Urla per pretendere il silenzio, spacca a randellate di carne e brividi e perplessità e voglia di spaccare il silenzio
III
ma urla per pretenderlo, gridalo con tutti gli stridii che hai quando ti spacchi la gola e brucia, accendi un fuoco e buttaci dentro il battito accelerato, l’iride riflessa, l’inconsistenza madre dolce del vero, la penna del rancore d’amore, l’essere sempre incominciato, gli urli bianchi nei silenzi grigi e collosi e martellanti e poi inspira il vento aromatizzato da questo fumo di fuoco e guarda la tua luna divenire più vicina, signora grande di tutte le stelle, non più satellite per inspirarti, mondo.
POESIA A TRE divenire mare
I
Avevo le braccia conserte per dirti quel qualcosa, lì, non mi ricordo. Sembravo una poltrona, a quadri oblunghi, bislunghi, bislacchi, malfatti, sfilacciati, corrosi, dal vento, dal calcare che si era creato tra l’avambraccio e il braccio dopo anni di poltrona a quadri oblunghi, bislunghi, bislacchi, malfatti, sfilacciati, corrosi, dal vento, dal calcare che si era creato nell’aspettare che non mi ricordo, ma certamente volevo divenire mare.
II
Bastava strapparmi via i polsi e le braccia puf sarebbero divenute mare aperto come il dolore si può sopportare se il letto nel fondo, più fondo, profondo sei tu, diveniremare.
III
Mi sentivo una poltrona che aspettava di divenire mare, non mi ricordo perché quadri oblunghi, bislunghi, bislacchi, malfatti, sfilacciati, corrosi, dal vento, forse, dal calcare, forse, non mi ricordo ma certamente volevo divenire mare se nel letto, nel fondo, più fondo, profondo sei tu.
POESIA A TRE hai gli occhi di … Donna profumo, rumore
I
Hai gli occhi di sintetica acquosità, come di detersivo. Ci lavo i panni di gioventù . Ritaglio l’oblò dagli occhi tuoi a goccia e turbino, sento come tintinnare i tuoi orecchini. Mi bagno nel viscoso tuo osservarmi partire
per il cerchio concentrico; guardarti guardare come se il mondo colasse giù dai tuoi occhi, abbandonato alla sua cremosa, di sapone, consistenza. Cremosità che mi conforta, tra i panni molli, mielati, roteo bambino, ma con morbidezza.
II
Tintinnano i tuoi orecchini, che mi sembra di sentire quei vetrini al negozio sotto a dove abitavo, quando entravi e trillavi, pezzo di vetro. Vorrei andare contro il metallo leggero, sottile dei tuoi orecchini, rosso come le gronde nuove sui rustici rimodernati, trillare, sentirmi vetro contro il metallo, sentirmi appeso al tuo profumo … vicino, come su quella soglia, come su quelle grondaie luccicose, lassù, vicino … ma protetto … nel mio vetro … vedi …
III
Giro, rigiro, mi rivolto come quando metti a lavare ciò che hai sfilato rivoltato … mi basta guardare per sapere che non so altro che voler essere morbido nei tuoi occhi e di duro vetro, in trasparenza … un po’ a distanza, per saperti … di un soffio più vicin a.
Colori, odori, fronde sulla testa, perplessità, mare, calura, bimbi di luce, tutto ciò che è racchiuso nell’imperfezione del tre nella mia testa, incompleto perché aperto al quattro e completamento di un due ansioso. Il tre è stato trasposto sui fogli, per poter raccontare il tre nella mia testa, il numero imperfetto, ma mio.
Michele Ghibaudo dovrebbe essere nato a Cuneo. Sono delle sua leva Ernestino il tutto fare della parrocchia di Valdobbiadene e Pietro l’ abusivo.