LORELLA GALLO
“Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sulle età”, cantava Guccini e così sia.
È ora di riordinare gli appunti di viaggio alla ricerca delle radici e di provare a raccontare la storia di un sovversivo d.o.c. Leopoldo Cavallo, classe 1871, mio bisnonno materno.
A luglio insieme a mia madre e a mia sorella sono scesa a Latiano, in provincia di Brindisi, suo paese natale. Eravamo consapevoli di essere irrimediabilmente e colpevolmente in ritardo per riuscire a recuperare tracce certe della sua attività politica. Ed invece, non solo c’è ancora la via a lui intitolata, ma abbiamo trovato anche due suoi quadri.
Anche grazie alla collaborazione dei socialisti latianesi nasce la prima Camera del lavoro moderna nella cosiddetta Terra d’Otranto (Brindisi, Taranto, Lecce), una sorta di Lega di leghe, che intendeva tutelare i diritti di più di una categoria di lavoratori. Leopoldo è un attivista che, proprio per questo, nel 1909 sarà costretto ad emigrare al Nord con la famiglia. Uno degli slogan minacciosi creati dai fascisti locali: “Attento Leopoldo a tornare a Latiano, perché col manganello ti faremo andare lontano” (testimonianza orale a Tonino Papadia di uno degli iscritti PCI, Cloro) fa pensare che Leopoldo tornasse spesso a Latiano per interessi politici, tant’è vero che nel 1922 fu eletto consigliere comunale. La sua passione politica lo coinvolse in numerosi eventi importanti a Latiano: viene ricordato mentre tiene comizi in piazza Umberto I, sia da sua figlia, mia nonna Anticzarina (in Bianca Guidetti Serra, Compagne, Einaudi) sia dai testimoni che abbiamo incontrato a Latiano.
Pare che presso l’archivio storico della Biblioteca (che ha sede a palazzo Imperiali, nell’immagine precedente) siano conservate le sue richieste per ottenere spazi pubblici (Busta 155). Una di queste riguarda una conferenza sulla bellezza del socialismo. È un fatto che mi conferma che il mio bisnonno non si fermasse alla rivendicazione dei bisogni primari, così impellente in una zona dove lo sfruttamento degli agrari ha sempre costretto i lavoratori a vite miserabili. Leopoldo voleva il pane ma anche le rose. E così si dilettava a dipingere: uno dei suoi quadri si trova nella sacrestia della chiesa dell’Addolorata. Grazie alla disponibilità del sig. Salvatore Settembrini, esperto di storia locale, abbiamo avuto accesso ai locali ed abbiamo potuto fotografare il dipinto che rappresenta i santi guaritori, Cosma e Damiano. Siamo consapevoli del fatto che non si tratta certamente di un’opera d’arte, ma, a parte l’indubbio valore affettivo, mi pare importante dimostrare la cultura anche religiosa di un ateo come mio bisnonno.
Un altro è conservato presso il museo Ribezzi Petrosillo: su segnalazione del sig. Settembrini, la direttrice del museo ce lo ha mostrato. Si tratta, questa volta, di una madonna.
Pare siano stati donati dalle sorelle Carlucci, imparentate alla lontana e convinte che i componenti della famiglia Cavallo, in quanto notoriamente atei, non fossero interessati ad averli.
Alcune foto lasciano molto a desiderare: sono state scattate con un cellulare ma per ora ci si deve accontentare! Le migliori sono state scattate da mia madre, Milva, con una vera macchina fotografica e con la sua maestria di fotografa.
Leopoldo era anche chiamato a officiare battesimi laici e a imporre i nomi ai neonati: il più impegnativo che ricordo è Idea proletaria vindice. Naturalmente anche i suoi figli ebbero dei nomi ben studiati: Raffaello, Preziosa, Livia, Leonida Transvaliano, mia nonna Vittoria Anticzarina, Argentina, Vanini Ferrer, Lenin, Aurora.
A proposito dei battesimi laici, un episodio contribuisce a delineare la dignità con la quale Leopoldo affrontava la povertà: non sarebbe venuto meno ai suoi ideali per emanciparsene. Il battesimo laico di Argentina avvenne alla stazione di Latiano e molti furono gli invitati, che arrivarono un po’ da tutta la provincia. Il grande sventolio di bandiere rosse trasformò la cerimonia in una manifestazione politica. A proposito della zia Argentina, siamo andate invano alla ricerca di una lettera del bisnonno ad uno dei più noti personaggi latianesi, Bartolo Longo. Alla richiesta di adottare la neonata e di condurla a Pompei con lui, per sollevare la famiglia numerosa di Leopoldo, il bisnonno oppose un dignitoso rifiuto, dimostrando, con gli anni, di essere in grado di crescere i suoi figli. La figura di questo benefattore resta, comunque, interessante, se non altro per la sua posizione antilombrosiana e per la tenacia della sua opera di “riforma morale” dei figli dei carcerati.
Leopoldo ha insegnato a leggere e scrivere a molti compaesani, ma non a sua moglie Cotrina Salamina: la ricordo vecchissima e piccolina, tant’è che per me e mia sorella era “Nonnapiccola”. Mia madre si è sempre detta molto infastidita per quella che reputa una grave mancanza nei suoi confronti da parte del bisnonno: noi abbiamo pensato che, forse, “Nonnapiccola” non avesse neppure il tempo di mettersi a studiare con tutti quei figli e con un marito così impegnato e spesso in galera. Era una donnina minuta ma decisamente forte e determinata: la nonna Anticzarina raccontava spesso di quando un signore la prese in giro per il suo cognome e di come lei gli abbia tenuto testa dandogli dell’ignorante, dal momento che a Salamina si era combattuta una grande battaglia nell’antichità. Insomma, degna compagna del bisnonno!
Leopoldo fu incarcerato anche a Torino, durante i moti per il pane e contro la guerra del 1917: Mario Montagnana ne parla nel suo libro “Ricordi di un militante comunista”. Insieme a lui furono reclusi alcuni familiari: le figlie Preziosa e Livia, i figli Raffaello, all’epoca militare, e Leonida di 15 anni, accusato di avere rubato delle pere ai frati della chiesa di S. Bernardino, che per questo lo malmenarono e sottoposero alla “tonsura”. Pare sia stato questo episodio a far scoccare la scintilla dell’incendio della chiesa da parte di alcuni ragazzi (Federica Calosso e Luisella Ordazzo, Borgo San Paolo: storie di un quartiere operaio, Graphot editore). Il bisnonno si dichiarò sempre estraneo alla vicenda, come ha sempre sostenuto anche mia nonna (in Bianca Guidetti Serra, op. cit). La fine della guerra porterà l’amnistia e il processo a loro carico non si concluderà: rimarranno, comunque, in carcere per 18 mesi, durante i quali, il bisnonno disegnò bozzetti di vita carceraria.
Un fatto curioso lo accomuna agli incendi. Il 29 aprile 1918, durante una sommossa popolare per la penuria di generi alimentari di prima necessità, viene incendiato il municipio di Latiano e si dice che fra gli arrestati compaiano Leopoldo Cavallo con alcuni dei suoi figli. I conti non mi tornano, però: il bisnonno era in galera per i moti del 17 di Torino ed aspettava la fine del processo.
Il destino del bisnonno è stato, comunque, di essere messo in galera fino ad un mese prima della sua morte. Inoltre, presenziarono ai suoi funerali numerosi poliziotti per prendere nota dei partecipanti.
Nel 1921 passò nelle fila del Partito Comunista d’Italia: partecipò, insieme ad alcuni compagni latianesi al Primo Congresso del Partito Comunista d’Italia. L’importanza della sua figura testimoniata dal fatto che la sezione latianese del PCI fu intitolata a lui: la sua foto era presente nei locali insieme a quella di Stalin, Lenin e allo stemma del partito (la stella con la falce e il martello).
Leopoldo Cavallo leggeva e scriveva moltissimo: numerosi sono i suoi interventi su “Azione socialista”, in qualità di referente del partito socialista latianese (vedi la raccolta dell’ anno 1904) e fu anche collaboratore dell’Ordine Nuovo di Gramsci. La nonna Anticzarina sostiene che la sua biblioteca fosse molto rifornita. Ebbe un’intensa attività da “agitprop”, tra una detenzione e l’altra, e riusciva anche a dipingere molto. Numerosi sono i suoi quadri andati perduti: oltre a quelli ritrovati a Latiano e ai bozzetti carcerari, ne restano due di notevoli dimensioni, custoditi con affetto ed orgoglio da mia madre. Uno è un soggetto mitologico, l’altro è il ritratto di mia zia Isotta, staffetta partigiana e militante comunista fino al 1956 (una data significativa per tutti coloro che avevano creduto esistesse davvero un’alternativa al blocco statunitense). La zia è una bimbetta vestita dalla nonna Anticzarina, sarta della ditta Lenci di Torino, e partecipa ad un concorso di bellezza al parco del Valentino di Torino. Non vince e il nonno, per consolarla la ritrae con il suo bel vestitino e un barboncino bianco ai suoi piedi, detto “ramusciu” dalla mia mamma a causa delle proporzioni non propriamente azzeccate.
Era un ribelle che dal Meridione ha portato con sé la consapevolezza di doversi mettere in gioco in prima persona per ottenere una società giusta per tutti: lo ha insegnato ai suoi figli e molti dei suoi nipoti e pronipoti ne hanno raccolto l’insegnamento.