LORENZO BARBERIS
Le mille e una notte, recentemente ristampate in una pregevole edizione per l’editore Donzelli che l’artista monregalese Cinzia Ghigliano ha illustrato, sono il testo fondante della letteratura araba.
La casa editrice Donzelli ne pubblica una versione – l’unica in italiano – tratta filologicamente dal più antico manoscritto arabo disponibile, risalente al XIV secolo, e curato da Roberta Denaro, docente universitaria di lingua e letteratura araba all’Orientale di Napoli.
La rigorosa operazione filologica mira a svelare – nel senso più etimologico possibile: “togliere il velo” – il testo dalla patina che nel corso del tempo gli si è depositato sopra nelle molteplici letture occidentali, complici le lenti deformanti dell’Orientalismo.
Il lavoro dell’edizione italiana parte da quello di Muhsin Mhdi, arabista di Harward, che sul finire del XX secolo ha curato una impegnativa versione critica, inevitabile punto di ri-partenza degli studi successivi.
Per paradosso, questo lavoro critico permette anche di comprendere meglio il rapporto della letteratura occidentale con questo testo orientale, queste Mille e una notte formatesi intorno all’anno Mille, che iniziano fin da subito a influire sulle scritture dell’occidente oltre che dell’oriente.
Sul finire del XI secolo appare infatti il Libro di Syntipas in ambito bizantino, prima rielaborazione di testi delle Notti che anticipa quanto avverrà nei Novellieri medioevali e perfino nei poemi cavallereschi rinascimentali, come ad esempio nell’Orlando Furioso, dove una novella è raccontata nel canto XXVIII.
La traduzione francese di Antoine Galland verso il 1704 porta a una nuova fortuna dell’opera, influenzando e mescolandosi appunto all’esotismo dello spirito orientalista che si diffonde nell’Europa del periodo. La prima versione in arabo apparirà a stampa in Calcutta solo nel 1814, seguita da altre versioni nei paesi arabi.
Una versione italiana giunge solo nel 1948, ad opera di Francesco Gabrieli; il rigore dell’edizione Madhi, in ambito anglosassone, è cosa recentissima, del 1994.
Le mille e una notte si presentano così, a un tempo, come un grande classico e un testo modernissimo: il gioco di incastro tra cornici e storie non anticipa solo un pilastro della letteratura occidentale (e mondiale) come il Decameron, ma è oggettivamente più intricato nei suoi intrecci tra i vari piani di finzione, una struttura che oseremmo definire postmoderna e, come ha analizzato benissimo Gabriella Mongardi qui su Margutte, non mancò di affascinare uno dei padri fondatori del Postmoderno stesso, Borges.
Ma l’intricata struttura e i molteplici passaggi tra i vari livelli della cornice e delle narrazioni affascinarono anche la nascente semiotica, che mai come qui potrebbe esercitarsi nei suoi grafi escheriani per rendere ragione.
Inoltre, il fondatore della semiotica, Umberto Eco, subì anche la seduzione letteraria delle Notti: alla fiaba Il pescatore e il ginn egli deve il libro dalle pagine avvelenate che costituisce il fulcro del suo Il nome della rosa (centone di citazioni di letteratura medioevale, da cui quella delle Notti deve essere una delle preminenti). La questione è analizzata qui in una delle ultime interviste dell’ineffabile Magister del postmoderno.
Anche Calvino, infine, rimase affascinato dal Labirinto del testo che le Notti vengono a formare: e le omaggiò nel suo “Se una notte (appunto…) d’inverno un viaggiatore”.
Per questo Marana propone al Sultano uno stratagemma ispirato alla tradizione letteraria dell’Oriente: interromperà la traduzione nel punto più appassionante e attaccherà a tradurre un altro romanzo, inserendolo nel primo con qualche rudimentale espediente, per esempio un personaggio del primo romanzo che apre un libro e si mette a leggere… Anche il secondo romanzo s’interromperà e lascerà posto a un terzo, (…), e così via.
Insomma, un testo fondante della letteratura mondiale, che ancor troppo poco è stato inserito nei canoni scolastici di storia della letteratura, quando un accenno (inevitabilmente parziale) sarebbe assolutamente fondamentale per capire tutta la tradizione successiva, non solo araba.
Alle molte letture postmoderne oggi si aggiunge anche, in certo qual modo, questa di Cinzia Ghigliano: ma di questo parleremo in un articolo apposito.