LAURA BLENGINO
Lara Glen, autrice britannica di Canterbury con origini italiane, esordisce nel 2010 con il suo primo romanzo: “Il tronco dimezzato”. Con esso si aggiudica il Booker Prize. Precedentemente aveva scritto brevi racconti. “Il ballo di Nimoe” nel 2009, “Corta raccolta” nel 2007 e “Io, tu e… boh?” nel 2006.
Il romanzo parla di come un albero sia stato decapitato. E ogni anello del tronco era un universo. Finché stava in piedi l’albero, tutto stava in equilibrio. Ora vi sono due metà di questa pianta e tutto non funziona più molto bene. Gli universi si contorcono, si allargano, si restringono, si alzano, si abbassano e a volte per qualche strano scherzo alcuni esseri passano da uno all’altro.
E’ un romanzo, ma più che altro è un modo per analizzare la società contemporanea. Società che non ha quasi mai un attimo di tregua: respira, lavora, mangia, dorme, fa commissioni. Ma non si prende una pausa per guardare le piccole meraviglie della natura, o per riflettere su questioni filosofiche, o per domandarsi semplicemente “come mai viviamo?”.
Ed è anche una metafora per dire come siamo incompleti senza quella parte – a volte ci compiace, a volte ci fa dannare – che chiamiamo “dolce metà”.
Riparlando della trama, la protagonista è Alana.
Alana è una studentessa, ma qualcosa non le torna. Il suo libro di storia era convinta che parlasse di 2 guerre mondiali e del 1933 come Grande Depressione. Ma quando lo prende in mano, niente. Tutto sembra riscritto, o forse non è mai esistito. Inizia così una forsennata e disperata ricerca della verità. Scavando e riscavando scopre che esisteva la sua “storia”, solo che la realtà si era deformata. E purtroppo nel suo riportare a galla la veridicità viene fuori che lei e tutti gli abitanti sono una minima parte del disegno cosmico. Sono un universo e intorno a loro ce ne sono centinaia d’altri. E fanno parte di un tronco d’albero.
Bello e drammatico al contempo lo stralcio dell’amara scoperta.
“Il suo respiro si fece calmo, ma i suoi occhi esplosero in pianto. Aveva appena posato il libro di storia. Si era appena affacciata alla finestra. Ma cosa vide le fece accapponare la pelle. Preferiva non averlo visto, ma non poteva girarsi dall’altra e fare finta che non fosse successo. Era lì. Nitido e lampante. L’altra parte di tronco. E anche tutto il resto della foresta. Lei era come una formica, gettata in un immenso cosmo. Tutto era cambiato. Tutte le sue convinzioni buttate all’aria. E ora, che senso aveva vivere? O meglio, che senso aveva la SUA vita?”
Quindi, ogni tanto fermiamoci un attimo e riflettiamo. Gustiamo le piccole cose… finché non cambiano.
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Lettori, vi sfido.
Qui sotto vi è la recensione di un altro romanzo.
Qual è quello vero, qual è quello immaginario?
Decidetelo voi.
(Senza consultare Google, ovviamente).
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Paul Auster nasce e cresce a Newark nel 1947. Il primo romanzo è del 1982 e si intitola “L’invenzione della solitudine”. Ma è solo nel 1985 che diventerà uno scrittore di fama internazionale. Dopo svariati romanzi nel 2003 scrive “La notte dell’oracolo”.
La trama. Dopo qualche mese di ripresa da una malattia, lo scrittore Sidney Orr entra in una cartoleria, di Mr Chang, e compra un taccuino blu. Per i nove giorni successivi è come rapito dalle muse e scrive ininterrottamente. Poi l’ispirazione evapora. Quello che scrive sembra essere premonizione. Rischia così di mandare all’aria il matrimonio e di staccarsi dalla realtà. Perché poco dopo che usa il taccuino la moglie di Orr piange? Perché il negozio di Mr Chang chiude da un giorno all’altro? Cosa c’entra un romanzo perduto in cui il protagonista vede il futuro?
Dopo che l’ho finito di leggere mi sono chiesta: è possibile che quello che uno scrive si avveri? Esisterà un quaderno o una penna magica che lo faccia? Realizza solo le cose positive o anche quelle negative?
Un po’ mi ricorda il manga del 2003, “Death Note”. Che si sia ispirato a questo?
Un pezzo mi ha colpito.
“Il mondo sobbalzava e fluttuava davanti ai miei occhi oscillando come i rilessi di uno specchio ondulato e ogni volta che cercavo di guardare una cosa singola, di isolare un oggetto dal turbinio aggressivo dei colori- per esempio un foulard azzurro attorno al capo di una donna, o i rossi fanalini di coda di un furgone di passaggio- questo cominciava subito a scindersi e a dileguarsi, svanendo come una goccia di tintura in un bicchier d’acqua. Tutto vibrava e tremolava, tutto si allontanava svelto in varie direzioni, e nelle prime settimane distinguevo a stento dove finisse il mio corpo e cominciasse il resto del mondo.”
Ecco, dove comincio io e dove il mondo? Dopotutto, non è forse vero che siamo un insieme inscindibile. Noi facciamo parte del mondo e il mondo fa parte di noi.
(Immagine: Lorenzo Barberis, “The trunk”)