GABRIELLA MONGARDI.
“Voci di ribellione alla tradizione ottocentesca: i crepuscolari, i futuristi, gli ermetici”. Questa la traccia del tema di letteratura italiana alla maturità che chi scrive si trovò a sviluppare. Probabilmente senza avere neanche il coraggio di evidenziare che dei tre movimenti indicati il primo e il terzo rimasero confinati nell’ambito della letteratura e consumarono la loro ‘ribellione’ in forme timide e circospette sì, ma radicali, mentre il secondo, che la esibiva provocatoriamente fin dal nome (Futurismo), in letteratura fu un mezzo flop – che valore artistico hanno le ‘opere’ rivoluzionarie di Marinetti? -, ma in compenso con i suoi Manifesti aprì la strada a un profondo rinnovamento, in tutta Europa, nella musica e nella pittura.
La mostra “FuturBalla”, a cura di Ester Coen, visitabile ad Alba presso la Fondazione Ferrero fino al 27 febbraio 2017, ne è un tangibile esempio nel campo della pittura.
Giacomo Balla, nato a Torino nel 1871 e morto a Roma nel 1958, è con Umberto Boccioni e Carlo Carrà uno dei massimi esponenti italiani del Futurismo pittorico. La mostra, allestita con grande scrupolo didascalico, segue l’evolversi degli interessi del pittore, dal realismo sociale degli esordi fino alla sua ‘conversione’ al futurismo. Un gran numero di opere documenta la prima fase, quella in cui lo sguardo di Balla penetra la realtà dolorosa di figure marginali ed emarginate, come La pazza (1905): ma lo fa in modo audacemente originale, con forti contrasti chiaroscurali, tagli prospettici insoliti, pennellate ‘divise’ in molteplici grumi di colore.
Il futurismo (di cui Balla sottoscrive il Manifesto della pittura Futurista del 1910) rappresenta per lui una nuova vita, al punto che firmerà i quadri con il nuovo nome di FuturBalla e nel 1913 metterà in vendita i suoi dipinti figurativi scrivendo su uno striscione: «Balla è morto, qui si vendono le opere del fu Balla». Nelle guida alla mostra si parla di “rinuncia a un’arte rappresentativa in favore di una pittura di equivalenti astratti”: il trait d’union tra le due fasi è dato dai quadri ‘cinematografici’ che bloccano sulla tela la scomposizione del movimento nelle frazioni di tempo, tutti del 1912: I ritmi dell’archetto, Bambina che corre sul balcone, Dinamismo di un cane al guinzaglio.
Accanto alla scomposizione intuitiva del movimento, che culmina nei quadri del ciclo delle Velocità astratte, la scomposizione intuitiva della luce, nelle opere del ciclo delle Compenetrazioni iridescenti. Rette, diagonali, spirali ritmano uno spazio moltiplicato all’infinito; onde luminose e sonore si intersecano e si sommano fino a riempire tutta la tela, quasi a rendere visibili le forze fisiche che tengono insieme l’universo.
Perché l’astrazione a cui tende Balla è quella della scienza; gli “equivalenti astratti” che vuole fornire sono quelli “di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo” – come annuncerà nel 1915 nel manifesto Ricostruzione futurista dell’universo. Scrive al riguardo il chimico Vincenzo Barone in un articolo sul Domenicale del Sole24Ore del dicembre scorso: «Prima ancora di annunciare questo proposito […] Giacomo Balla aveva cominciato a metterlo in atto, ispirandosi all’universo del moto, della luce e degli astri per dare forma visiva alla poetica del futurismo.
Ne erano scaturite le Velocità astratte, le Compenetrazioni iridescenti e soprattutto la serie di disegni e dipinti del Mercurio che transita davanti al Sole, esempio nitido di “concezione e sensazione finalmente riunite” – il tratto distintivo della pittura futurista, nelle parole di Umberto Boccioni».
In mostra sono esposti alcuni dipinti del ciclo Mercurio che transita davanti al sole, che traducono il fenomeno astronomico in un gioco di colori e linee alla Kandinsky, eppure paradossalmente lo riproducono con un particolare realismo.
Ma il culmine di questa convergenza tra arte e scienza è rappresentato dal quadro Numeri innamorati, che chiude il percorso in un progressivo avvicinamento ai segni matematici puri.