FELICE BACCHIARELLO
4 luglio 1940
Alla fine della prima avventurosa prova del fuoco, il reparto si concentrò in Chiappera, triste ed ultimo paese della Val Maira, in attesa di ordini.
Ormai la triste ruota della guerra che tanto lutto avrebbe apportato nelle famiglie, non solo d’Italia ma nel mondo intero, era in moto, pertanto non si viveva che in una ansiosa e snervante attesa dell’ignoto destino, in attesa del cosiddetto Ordine Superiore.
Infatti un primo Ordine arrivò per un breve spostamento. Si ridiscese allora la Valle a piedi come si era fatto all’andata, sotto la pioggia scrosciante, con lo zaino in spalla e gli indumenti appiccicati alla pelle; si fece un breve soggiorno a Vignolo presso Cuneo per riorganizzare e rimettere in assetto di guerra le compagnie.
Come al solito la cosiddetta “Radio Naia” funzionava alacremente e le più disparate supposizioni sul futuro ordine si sentivano, senza poi sapere nulla di preciso, e rassegnandosi all’attesa.
Nel frattempo le cose parevano un po’ torbide sul confine slavo, allora la Divisione Cuneense al completo venne trasferita all’estrema punta d’Italia, tra il Confine slavo e austriaco. Caricati a Borgo San Dalmazzo, tre giorni dopo si fece scale a Tolmezzo in provincia di Udine, ed a piedi, come al solito, si percorse l’amena Valle Carnica, ridente e bella, ed a battaglioni ci si accantonò in vari paesi, i cui abitanti al solo pensare ad altre truppe che 25 anni prima avevano tristemente soggiornato, allibivano nel vedere la massa di uomini che nuovamente risaliva alle loro dimore così belle e soffuse di pace in tempi buoni, tremavano al solo dubbio che a distanza di così pochi anni si abbattesse nuovamente su di loro un’altra tremenda sciagura come la precedente e che il Timavo dovesse di nuovo scorrere rosso di sangue.
Passato il primo sgomento di quella popolazione, debbo dire che si mostrò poi ospitale oltre ogni dire.
Al mio Battaglione toccò proprio l’ultimo paese in cima a detta valle ove si arrivò a notte fatta dopo una pesante marcia di oltre 30 chilometri: Treppo Carnico.
Al mattino appena svegliati, prima preoccupazione di ognuno fu di saltar fuori dalla tenda, non per essere già troppo riposato, ma per la curiosità di vedere alla luce del giorno quale fosse la faccia del paese e delle circostanti montagne che ci avevano ricevuti ospiti inattesi. Un nitido paese stava di fronte al nostro accampamento con le sue case in maggioranza bianche, ed in maggior parte restaurate o addirittura rifatte a nuovo a seguito della distruzione della passata guerra. Con un sacro terrore le donne, specialmente di media o già avanzata età, ci raccontavano quanto avessero sofferto nella guerra italo-austriaca, che loro avevano vissuto come i soldati nella linea, si può dire, poiché per tutto il tempo della guerra furono adibite al trasporto di munizioni dal paese alle trincee scavate sulle cime dei circostanti monti. Molte furono ferite e in numero ancora maggiore lasciarono la vita su per le impervie mulattiere, battute dal fuoco nemico, eroine sconosciute e dimenticate, che diedero il loro grande contributo di sangue per la patria. Nelle marce e manovre eseguite nel periodo di stanza in detta località si visitarono le vecchie trincee sotterranee, orride caverne scavate nella dura pietra da quei prodi che ebbero a lavorare con ogni volontà, con l’istinto di salvamento innato in ognuno di noi, per mettersi al riparo dal piombo nemico e dall’intemperio.
Infinità di cimeli si trovano in quegli inospitali antri, ammuffiti, colanti di acqua anche in piena estate, per mesi e mesi, o addirittura, anni di sofferenze.
Più volte ebbi occasione di visitare il grande sacrario del Timau ai piedi del monte omonimo a pochi chilometri da Paluzza. Non si può descrivere cosa provi l’animo in quel grandioso Santuario in mezzo a quelle migliaia di nomi che stanno lì a testimoniare quanto sia stato grande il contributo di sangue versato per la patria mentre maestoso si erge il monumento al Milite Ignoto sotto il cui nome Dio solo sa quante migliaia di altri nomi sono racchiusi, ai resti mortali dei quali non fu possibile dare una sepoltura o perché l’orrore della morte li aveva resi irriconoscibili.
A fine settembre di qui fummo trasferiti a Tenda, indi a Briga M. ove contavasi di svernare nonostante la località e la gente inospitale fossero poco graditi. Così ebbi l’occasione di percorrere in treno la più grandiosa opera in galleria, a sentir dire, la famosa galleria a lumaca che da Vievola sale al Colle di Tenda e poi oltre, ed attraversando l’Alpe va a Breil in Francia con un percorso di oltre 70 chilometri.
Strane impressioni si provano allorquando, ad esempio per arrivare a Tenda, sbucando fuori dalla Galleria in qualche breve tratto, all’altezza di circa duemila metri, ci si accorge di essere molto al di sopra della città; strana impressione fa poi di notte guardar così dall’alto la città illuminata. Dopo parecchio tempo la si vede sorpassata, non solo, ma ci si trova addirittura a San Dalmazzo e Briga per arrivare poi alla stazione di Tenda. Con gli stessi andirivieni si risale a Briga e si ridiscende a San Dalmazzo per proseguire poi meno tortuosamente per la Francia.
Dopo due mesi di freddo nelle sopraddette località anche qui ci raggiunge il famoso Ordine Superiore, per trasferirci in clima più mite.
L’otto dicembre, invero, effettuati celeri preparativi, durante i quali i più ardimentosi avevano trovato il tempo per andare ad abbracciare i loro cari, molti per l’ultima volta, si partì da San Dalmazzo di Tenda, caricati su una lunga e nera tradotta, che percorrendo l’Italia nella sua quasi totale lunghezza ci portò in un altro campo di battaglia: l’Albania.
(Continua)
Si ringrazia la famiglia Bacchiarello per la concessione del testo.