FULVIA GIACOSA.
In principio erat verbum aut imago?
Stralcio tale domanda dal “Diario di una vacanza” di Mario Gosso, pubblicato nel 2017 (ed. Smens) in occasione dell’antologica al Museo Mallè di Dronero, inauguratasi il 18 marzo. E mi viene da rispondere: “verbum et imago”.
Il testo contiene – come vuole un libro che è anche un catalogo – interventi altrui: di Ivana Mulatero, storica dell’arte, responsabile del Museo Mallè e curatrice della mostra, di Pino Mantovani, fine critico ed estimatore da sempre dell’opera dell’artista, e di Gianfranco Schialvino, incisore, scrittore ed editore.
Il titolo del volume-mostra potrebbe trarre in inganno: se, infatti, siamo vicini al genere diaristico anche se non in modo ortodosso, la lettura conduce ben oltre, è un diario nell’animo, nel pensiero e nella lunga storia artistica di questo peintre-graveur, che alza il velo sulla genesi del suo lavoro. Ne vien fuori un quadro fatto di rallentamenti ed accelerazioni creative, di rigore fattivo e libertà inventiva, di suggestioni improvvise e lunghe attese. Sono queste ultime ad affascinare ed a caratterizzare il modus operandi di Mario: l’uomo/artista – è impossibile separare l’uno dall’altro – ama la lentezza, sa porsi in paziente ascolto, quasi fosse egli stesso il luogo di una vacanza, nel senso latino del verbo vacare, ossia essere vuoto, libero: pronto, dunque, a lasciarsi colmare di incanti e seduzioni, una sorta di magnete che attira a sé cose, forme, figure, segni, parole e quant’altro; è allora che queste forze attrattive si mutano in opere, le quali si lasciano inondare dagli stimoli più diversi con un andirivieni tra memorie sedimentate e istantanee fulminanti, un po’ come il moto delle maree, spesso citate nel testo (“… fermarsi a guardare le maree, a sentirne il profumo e coglierne magari l’essenza. … Sì, succede così anche nella pittura … si attende che al momento giusto arrivino a posarvisi sopra i respiri del mondo, le figure e i testi che come le maree lottano incessantemente, si ripetono e non si risolvono mai, se non nel mare profondo che le genera, in quel mare dove tutto ha origine. E non è importante distinguere se sia più giusta l’alta o la bassa marea, se abbia più forza l’immagine o il testo, perché entrambi i movimenti si richiamano e uno vive perché vive l’altro”).
“Verbum et imago”, dunque, o ancor meglio “verbum in imagine” e “imago in verbo”, perché tutto il corpus di opere presenti in mostra (nonché lo scritto di Gosso) dimostra che il suo sforzo costante è coniugare strettamente l’incidere e dipingere con lo scrivere, in una piena co-esistenza, quasi si trattasse di fratelli siamesi per tardiva scissione dell’embrione, vale a dire il segno, genesi del tutto. La parola scritta, spesso una semplice grafia, cadendo nel dominio percettivo dell’occhio è infatti “figura”; d’altro canto l’immagine, traghettata dall’occhio al cervello, viene “letta” mutandosi in parola. Dice l’autore: “Così l’immagine nasce, vive e muore dentro se stessa, così continua a volare sull’intreccio guizzante dei segni che, nel definirla, lasciano intravvedere robuste ed antiche scritture”.
Ultimamente al segno inciso, nitido e preciso (figlio di lontani studi all’Accademia torinese) e a quello pittorico, ora puntinato (sovviene il Klee dei primi anni trenta) ora aggrovigliato (un po’ Tobey con il suo zigzagante “volo di mosca”, un po’ il Giacometti dei disegni a matita e a biro), si è aggiunto il segno dei fili, una ulteriore tessitura sulla e nella pagina, che forma parole o semplici linee o ancora figure, indica movimenti e direzioni, emerge e scompare proprio come l’ago che, avanti e indietro, attraversa la trama del tessuto.
Gosso, forse per la vicinanza dell’antico Filatoio della Caraglio in cui vive e lavora, si è fatto ricamatore? Scrive a tal proposito: “… dopo aver iniziato ad incidere sulle lastre con gli aghi per cucire nel cuore degli anni Settanta, ora a 70 anni (ironia della sorte) nella cruna di quegli stessi aghi sta entrando un filo colorato che tende a svolgersi in tessiture che si elencano sovrapponendosi … [ filo che ] come una linea che non si accontenta di entrare nei supporti incidendoli e nemmeno di posarvisi sopra dipingendoli ma tende a forarli per penetrarli ed uscirne in continuazione.” Si veda, ad exemplum, le “scritture cucite” del 2016 e si abbia la pazienza di leggere le didascalie (che ancora, come sempre, sono parti integranti del lavoro).
Il visitatore attento si accorgerà di quanto vasto sia il mondo da cui l’artista trae, accogliendoli come doni preziosi, le “figure”: oggetti banali, melograni, fiori, farfalle, uccellini, piume, paesaggi, miniature, matite ed altri strumenti del mestiere… Come pure avvertirà le infinite tecniche e modalità in cui traghetta le figure in “motivi” di baudelairiana memoria: calcografia, pittura, disegno, scrittura vera e scrittura cucita, ricamo … e i tanti tipi di supporti che li accolgono.
Nella sessantina di opere esposte, c’è un significativo autoritratto, “Cancelled”, 2015 dove si ritrovano incisione, pittura su tavola, biro, acrilico, olio, scritture e tessiture incise o in rilievo a restituire “una passeggiata intorno e sopra al disastrato paesaggio che sono diventate le mie esteriori apparenze naturalmente avendo cura di cancellare (e subito) il tutto con l’evidenza di un timbro che ironicamente segna il passaggio per un altrove, ancora e sempre sognato” (dalla didascalia – termine improprio – dell’opera).
Dunque un “uno” che è insieme inestricabile di “tanti”: e numerose sono le opere simili ad una matassa – un’unica esistenza – in cui il filo si attorciglia su se stesso in andamenti sempre variati ma sempre ritornanti. Certo il filo resta nella mano del maestro; tuttavia si ha la sensazione che egli sappia concedergli autonomia di movimento, in un interscambio tra chi guida e chi si lascia guidare. Per andare dove? La risposta è nel sottotitolo del Diario, “sull’orlo delle parole e delle figure”.
INFORMAZIONI
Mario Gosso è nato a Busca nel 1946. Vive e lavora a Caraglio. Ha frequentato l’Accademia Albertina di Torino, allievo e debitore di grandi incisori come Calandri e Franco, di Davico e Saroni – al corso di pittura- e del magistero di Gino Gorza. Si dedica all’inizio soprattutto all’incisione, affinando le tante tecniche della tradizione e sperimentandone di nuove. Tuttavia da sempre è interessato alla scrittura e alla pittura, che diventano ben presto inscindibili dalla grafica. Ha anche svolto attività di docenza, al Liceo Artistico ed all’Accademia di Belle Arti di Cuneo.
Moltissime le partecipazioni a collettive in Italia e all’estero, come le personali, curate da importanti studiosi e critici. Attento all’arte del passato e della contemporaneità, comprese le ricerche di scrittura visuale dei Settanta, ne coglie suggestioni rimanendo sempre “a latere”, incurante delle mode, in osservazione, a preservare la propria individuale ricerca.
La mostra “Diario di una vacanza”, che resterà aperta fino al 16 luglio, è realizzata dal Museo Luigi Mallé con la segreteria organizzativa di Espaci Occitan, il sostegno dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Dronero e dell’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte. VISITE: sabato, domenica e festivi dalle 15.00 alle 19.00 (in orario infrasettimanale su prenotazione per scuole e gruppi). Indirizzo: Museo Civico Luigi Mallè, via Valmala 9, Dronero.
Info: museo.malle@comune.dronero.cn.it www.espaci-occitan.org. Tel/fax 0171-904075 – 909329 – 347887805 . Sito web: www.turismo.comune.dronero.cn.it