PAOLO LAMBERTI.
Uno stato nonostante: Croazia
Le guerre iugoslave degli anni Novanta, che ancora covano il loro fuoco sotto le ceneri, permettono di capire come la seconda guerra mondiale nei Balcani sia stata vissuta come un round di una partita secolare, che divide serbi e croati, cristiani e islamici, cattolici ed ortodossi: è l’antico confine tra Impero Romano d’Occidente e Impero Romano d’Oriente, tra Roma e Bisanzio, complicato dall’arrivo del terzo contendente, l’Islam: qui davvero si misura la lunga durata della storia, nella sua quotidiana tragicità.
Gli Ustascia croati tra i fascismi europei si distinguono per ferocia e forza del nazionalismo, tanto più affermato quanto più esile è il confine tra serbi e croati, che parlano quella che i linguisti definiscono un’unica lingua, il serbo-croato: lingua che in questi anni, a livello ufficiale e popolare, è stata divisa a forza in due; guai a parlare di serbo-croato sia in Serbia che in Croazia. La politica cancella la linguistica.
Pavelic si impadronisce negli anni Venti di un partito ottocentesco (Partito Croato dei Diritti) ribattezzandone i membri ustascia (termine che indicava gli insorti contro i Turchi). Suo fine è l’indipendenza croata, che persegue sia politicamente che attraverso il terrorismo. Riceve ampi aiuti da Mussolini, ansioso di dissolvere la Jugoslavia, poi stringe legami con la Germania. Destreggiandosi tra i due, nel 1941 crea la Croazia, inglobando anche la Bosnia, che ritiene etnicamente croata (come verrà nuovamente sostenuto negli anni ’90). Il suo scopo è effettuare una pulizia etnica antiserba ed antiortodossa, che non ha difficoltà ad ampliare ad ebrei e Rom.
Riesce dunque a creare una nazione nonostante il Terzo Reich: infatti Pavelic mantiene una forte indipendenza, basata sul patto tacito di perseguitare gli ebrei in cambio della concessione di attuare la pulizia etnica contro i serbi.
Spesso i tedeschi si trovano a dover mercanteggiare con i croati su uomini ed operazioni, ma accettano tale accordo perché conveniente; le stesse SS arruoleranno forze di polizia croate, ma senza riuscire mai a controllare le milizie ustascia, se si eccettuano i reclutamenti in Bosnia.
Oggi è quasi dimenticato, ma il campo di concentramento di Jasenovac, gestito dagli ustascia, con i suoi probabili 300.000 morti, potrebbe essere il secondo lager più letale dopo Auschwitz.
Il collaborazionista in carriera: Léon Degrelle
Negli anni Settanta in Spagna un corteo di neofascisti europei va in pellegrinaggio in una villa della costa mediterranea, ad omaggiare Léon Degrelle, speculatore edilizio di successo, cui si deve una fetta dello sviluppo della Costa del Sol, ma soprattutto già leader del movimento vallone del Rexismo negli anni Trenta e poi ufficiale SS decorato personalmente da Himmler, dopo essere stato ricevuto in udienza da Hitler in persona.
Morirà ricco e rispettato, protetto sin dal 1945 dal Franchismo, senza aver visto una prigione per un solo giorno. La sua storia mostra l’estensione del fascino delle SS nell’Europa occidentale, dove gli stati mantenevano una loro identità, e non agivano le contraddizioni e gli estremi di violenza che portarono centinaia di migliaia di uomini a collaborare per non morire.
Eppure anche la sua vicenda rivela la difficoltà di farsi strada nel Reich. Negli anni Trenta Degrelle aveva fondato un partito fascista vallone, con forti tratti di cattolicesimo conservatore, ed aveva raggiunto significativi risultati elettorali; il Rexismo prendeva nome da Christus Rex, ancora oggi icona del cattolicesimo più conservatore ( e per fortuna che il suo regno non era di questo mondo!). Però i voti si erano persi, il partito era finito allo sbando e all’arrivo dei tedeschi Degrelle intravvide la possibilità di rimettersi in gioco.
Ma era vallone, ovvero di una razza inferiore, quindi la Germania e le SS lo ignorarono a favore delle formazioni fiamminghe, che vennero precocemente accolte tra le SS finendo con il formare la 27^ Freiwilligen Grenadier Division Langemarck.
Solo dopo anni a Degrelle fu permesso di formare un’unità di SS valloni: la sua ora verrà agli inizi del 1944, quando porterà poche centinaia di sopravvissuti della Freiwilligen Sturmbrigade Wallonien fuori da una sacca sovietica; Goebbels ne farà un eroe, un simbolo dell’Europa antibolscevica, e i valloni avranno la loro 28^ Freiwilligen Grenadier Division Wallonien.
Saranno i belgi di Degrelle, con i francesi della divisione Charlemagne (anch’essa formata a fine guerra) ad animare l’ultima resistenza di Berlino, difendendo il bunker di Hitler. Ma Degrelle ha ben imparato l’”arte della fuga”: sfuggirà ai russi e in aereo ai caccia alleati per atterrare nei paesi baschi e cominciare una nuova carriera. Impunito.
Dove il Terzo Reich vive ancora: Medio Oriente
I partiti fascisti degli anni Trenta sono storia, in Europa sono di fatto tramontati anche quelli “neofascisti”, c’è ora una terza generazione di partiti “fascistoidi”, populisti e sovranisti, che mutuano tecniche e propaganda da quelli fascisti, ma non l’ideologia. Eppure la Siria è ancora guidata dal partito Ba’th, nato nel 1940 fondendo le suggestioni del fascismo e un programma nazionalista e socialista, che favorirà il suo mutamento in chiave filosovietica nei decenni successivi. Il ramo iracheno, nato dalla scissione del 1966, fornisce ancora oggi gli specialisti militari all’Isis. E il suo leader storico, Saddam Hussein, crebbe con lo zio materno, Khayr Allāh Tulfāh, che aveva partecipato al colpo di stato di Rashid Alì del 1941, in chiave anti inglese, colpo appoggiato dalla Germania nazista che inviò aiuti militari ed addirittura forze speciali e piloti (Fliegerführer Irak).
Né va dimenticato che Sadat fu imprigionato durante la guerra per i suoi contatti con l’Asse, e che Nasser ospitò non solo scienziati tedeschi per produrre armi chimiche e missili contro Israele, ma anche membri delle SS.
Tuttavia la figura chiave che collega il Terzo Reich al mondo arabo è il Muftì di Gerusalemme, Amin al-Husayni, appartenente ad un clan molto influente in Palestina e a Gerusalemme: è probabile che al clan appartenesse anche Yassir Arafat.
Il nazionalismo arabo, in chiave anti-inglese, si rivolge dapprima al fascismo (Fabei descrive bene questi legami); tuttavia la repressione italiana in Libia complica questo rapporto, mentre l’ascesa del nazismo offre un secondo interlocutore.
Fuggito da Gerusalemme nel 1936, il Muftì trova asilo a Berlino, dove rimarrà sino alla fine del conflitto. Qui organizza una scuola di imam, che caldeggiano la guerra hitleriana come jihad.
Il suo ruolo è centrale nel reclutamento di musulmani bosniaci: dapprima arruolati come unità di difesa contro gli attacchi serbi, diventano unità antipartigiane che verranno inquadrate successivamente nella 13^ Divisione da Montagna Handschar (scimitarra), caratterizzata dal fez. In realtà, dal momento che la Bosnia è parte dello stato croato di Ante Pavelic, la divisione viene rinforzata da croati cattolici ed utilizzata in attività antipartigiane. L’appoggio islamico permette poi il reclutamento di una seconda, esile divisione albanese, la 21^ Divisione da Montagna Skanderberg.
Al-Husayni svolge un ruolo chiave anche nel reclutamento di unità di polizia e delle SS tra i musulmani caucasici, traendoli di solito dai prigionieri dell’Armata Rossa: ceceni, azeri, mongoli, georgiani, e soprattutto turkmeni vennero arruolati dapprima dall’esercito tedesco in una legione turkmena ed una caucasica, per poi formare battaglioni di Osttruppen ed infine nel 1944 formare un Ostmuselmanische SS-Regiment: come per le unità bosniache, ogni battaglione aveva un imam. Alcune unità turkmene e cosacche vennero usate per la lotta antipartigiana in Friuli, e ne fu segnalata la presenza anche nel cuneese.
Nel maggio 1945 al-Husayni si arrese ai francesi, che lo trasferirono a Parigi, in una villa, e rifiutarono di consegnarlo agli inglesi; attraverso l’Italia a giugno rientrò ad Alessandria d’Egitto, accolto in trionfo. Qui svolse un ruolo chiave nel fondere l’antisemitismo religioso presente nel Corano con quello politico-razziale di matrice hitleriana, riproponendo in campo islamico quanto era successo nell’Europa cristiana: da allora negazionismo ed antisemitismo sono pane quotidiano per le masse arabe, e i famigerati Protocolli dei saggi di Sion rimangono un bestseller dell’editoria islamica, tuttora creduti autentici.
Le SS de noantri
Chi dopo l’8 settembre voglia rimanere fedele a Mussolini, ha solo l’imbarazzo della scelta: l’esercito di Graziani, la Guardia Nazionale Repubblicana di Ricci, le Brigate Nere di Pavolini, corpi indipendenti come la X Mas di Borghese o i Cacciatori degli Appennini ancora oggi ben presenti nella memoria del Monregalese, sino a bande di criminali e torturatori come quelle di Koch o Carità.
Eppure anche in Italia le SS riescono a reclutare un numero di uomini valutabile sino a 20.000, traendone parte dagli internati militari, parte da volontari. La trafila è la stessa: reparti isolati, poi una Italienische Freiwillige Legion, poi una Waffen Grenadier-Brigade der SS (Italienische Nr. 1) infine la 29^ Waffen-Grenadier-Division der SS (Italienische Nr. 1), cui tocca, non lusinghieramente, un numero di seconda mano, visto che in origine la 29^ era una divisione russa poi sciolta per le diserzioni.
Che poi i tedeschi si fidassero poco dei camerati italiani lo ricordano Klinkammer e Ricciotti Lazzero. Il battaglione Vendetta, pur appartenente alle SS, viene impiegato ad Anzio «a squadre … nel quadro delle compagnie dislocate in prima linea» (documento del 7° Grenadier Rgt.); casomai scappassero, commentano due ufficiali tedeschi: anche se in realtà perderanno metà degli uomini.
Tuttavia anche le SS italiane finiranno nella lotta antipartigiana, cominciando proprio da Cuneo: il VI battaglione, formato da alpini ex internati, arriverà il 22 novembre 1943. Sul loro giornale “Folgore” un ufficiale ricorda: «Saresti stato a casa tua … ti avrebbero amato, festeggiato … Invece tutti ti guardavano con gelida indifferenza … pensasti alla Grecia, alla Croazia … anche là ti guardavano così … non te l’aspettavi».
Nuto Revelli, già partigiano, li contatterà, ritroverà un alpino dell’Edolo, che gli confermerà una scelta fatta per disperazione. Ma pochi mesi dopo quell’alpino sarà proposto per una decorazione per le sue azioni in un rastrellamento. Invece pochi giorni dopo a Gaiola Vian cattura due ufficiali SS, uno dei quali, il ligure Dario Capellini passerà ai partigiani, parteciperà al colpo di mano all’aeroporto di Mondovì del 27 dicembre 1943 e diventerà vice comandante di una brigata Garibaldi nelle Apuane.
Anche in Italia le contraddizioni e le difficoltà delle scelte dei singoli appaiono in tutta la loro forza.
Epilogo: l’Europa giusta
Questo inizio di millennio è caratterizzato dagli stati falliti, dal moltiplicarsi dei non-luoghi che sfuggono ad ogni autorità statale, dal graduale indebolirsi del concetto di cittadinanza. Non è lo strapotere della tecnica, come diceva Heidegger, a minacciare nuove Auschwitz: sono la frammentazione, il populismo, il razzismo. E soprattutto la competizione per l’ecologia: in un mondo stravolto da esplosione demografica e cambiamenti climatici, il pensiero dell’ecologista razziale Hitler rischia di suonare sinistramente attuale.
El Alamein, Stalingrado, la sconfitta degli U-Boote, i bombardamenti alleati da 1000 bombardieri alla fine del 1942 indicano che la guerra è persa per la Germania. In una guerra tradizionale l’epilogo sarebbe stato nel 1943: invece si arriverà al 1945, con una drammatica accelerazione nel numero dei morti e nell’estensione delle distruzioni.
Cosa ha permesso alla Germania di resistere alla massiccia superiorità degli Alleati? La risposta è l’Europa: un’Europa schiavizzata, sfruttata, saccheggiata, terrorizzata. Un’Europa sbagliata: ciononostante forte, così forte da fronteggiare l’immenso peso delle future superpotenze.
Ci si deve allora interrogare su quale forza ci sarebbe in un’Europa democratica, giusta, capace di coniugare sviluppo ed equità, accoglienza e difesa dei propri valori, tradizioni nazionali e spirito europeo: l’Europa di Erasmus, della ricerca scientifica, della cultura, del buon gusto e del saper vivere.
Questa è l’Europa giusta, quella che non sappiamo vedere, non quella soffocata dalle minuzie burocratiche e dalle politiche miopi, quella che non sa decidere, quella dei gretti interessi e delle furberie; soprattutto l’Europa è l’unica alternativa a un ritorno di nazionalismi meschini, di populismi ignoranti, che già hanno fatto di questo continente un continente oscuro, di guerra e morte; un ritorno non tragico, ma farsesco, in un mondo di grandi potenze, che ignoreranno il fastidio di 27 nani, petulanti e divisi. Tra cui un’Italia di pensionati, con il più alto debito pro capite, e che vive di sola esportazione, destinata ad essere vaso di coccio in un mondo protezionista.
L’Europa serve agli italiani; serve agli europei; e serve al mondo.
2 – FINE
(la prima parte si può leggere QUI)
Letture
Stefano Fabei, Il fascio, la svastica e la mezzaluna, Milano 2002.
Christopher Hale, I carnefici stranieri di Hitler. L’Europa complice delle SS, Milano 2012.
Ian Kershaw, Hitler: A Biography, Norton (ed. Kindle).
Ian Kershaw, All’inferno e ritorno. Europa 1914-1949, Roma 2016.
Lutz Klinkhammer, L’ occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Torino 2016.
Robin Lumsden, La vera storia delle SS, Roma 2014.
Riccioti Lazzero, Le SS italiane, Milano 1981.
Timothy Snyder, Terra nera: L’olocausto fra storia e presente, Milano 2015.