SERGIO GIULIANI.
Nel prezioso diario pubblicato post eventa da Scheiwiller che acchiappava al volo i più che smilzi fascicoletti di cose del Poeta, c’è subito l’accenno al trasferimento della famiglia , con un carretto da buoi per le masserizie, da Spotorno a Borsana. E’ il giugno 1944: gli occupanti tedeschi organizzano la difesa per il temuto sbarco alleato (che, gran beffa, sta avvenendo…in Normandia!) e scacciano gli abitanti dal litorale. Gli Sbarbaro: la zia Maria Bacigalupo, bel cognome ligure, la sorella Clelia, impiegata alla Shell di Genova e pendolare di guerra, e Camillo si arrampicano nell’entroterra, per quelle vie allora sterrate e da muli, oggi bitumate, ma ancora difficili da percorrersi in auto, alla ricerca di Borsana, tanto minuta borgata che non ha ancora, a tutt’oggi, un avviso di segnaletica stradale.
La casa fatiscente, lasciata in abbandono, incanta il Poeta con un fiore di santolina all’ingresso erboso. Segue una cattivante descrizione della bellezza di una natura che più semplice non si può, ma che scioglie i grumi d’ansia prodotti dalla guerra e ridona, non per sempre purtroppo!, una precaria e struggente gaiezza. Saranno i fichi asprigni e neri dell’altipiano delle Manie, l’ultima pèsca, la più bella, serbata per Clelia, il vino e le caldarroste di una serata nella casa dei vicini, l’illusione che un notturno, frenato rintocco di campana annunci la fine della guerra, mentre, forse, è un messaggio d’allarme lanciato dal prete ai partigiani (e la zia Maria lo placa invitandolo a bere “un gottìn”, “un goccetto”).
Ma soprattutto la gioia di tradurre “Il Ciclope”, felice dramma satiresco di Euripide presso la finestra che dà sulle “Arme” (monti) rosacee del Finalese, chiusa – colpa della guerra – con vecchi giornali per le leggi dell’oscuramento.
La guerra vi compare a tratti: i pini che bruciano nella notte e che paiono scrivere il “Mane Tecel Fares”, biblica condanna di chi opera il male e, soprattutto il bombardamento di Tosse, il primo paese alle spalle di Spotorno che ha causato sette vittime; un’intera famiglia. Perché accanirsi su un paese fuori dalla viabilità militare e “disarmato”?
Ingenuo, Sbarbaro accredita il pretesto del colpire le strutture elementari dell’elettricità; assai più probabile che un pilota, tornando, per rotta sud, dai bombardamenti su strade ed industrie in Valpadana, non riuscito a sganciare una bomba che gravava pericolosamente sul carburante per il ritorno, abbia riprovato appena visto il mare, e l’esito sia stato infelice anche per la piccola Marta, bel nome biblico, che il Poeta aveva conosciuto e che ricorda intenta a cucire il suo corredo.
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Ma “Borsana” dov’è? Il nome mi apparve per la prima volta a un grill dell’autostrada: guardai in alto, verso monte e vidi una gran colata di cemento antifrana. Un mio alunno, di Vezzi Portio, mi disse che, a lato del cimitero del Comune che unisce amministrativamente due borgate, c’era una scritta sul muro che indicava “Borsana”.
Andai in visita di corsa, ma riuscii soltanto ad arrivare al baratro, incementato, che sprofondava sull’autostrada. Impossibile!
La gariga ligure, fittissima, è intransitabile. Mi accontentavo di fotografare una delle case rovinate e a chiedermi quale potesse essere stata abitata, per quasi un anno, dagli Sbarbaro.
Poi… ritrovo Vittorio Bolla, l’amico di anni d’infanzia. Diventato un serio professionista, non aveva perduto l’affetto per Calice Ligure, paese d’origine dei suoi e si occupava di “quelle” storie. Al mio parlargli di Sbarbaro, fu un lampo. Ricordò chi gli aveva parlato del ”professore” rifugiato nella “Cà dell’anciùa” (“Casa dell’acciuga”). Travolse come un’onda di piena il giovane sindaco di Portio, l’architetto Alessandro Revello che non gli resistette, a lui e a me, sebbene lontano, per attività e studi, dalla poesia.
In breve tempo i giovani volontari si fecero largo nella gariga e fu aperto il sentiero per casa Sbarbaro. Gli anziani ricordavano: la casa non era quella che avevo visto io, dalla barricata, ma un’altra, certificata dalla vox populi.
Venne il giorno del “viaggio” C’era uno splendido e dolcissimo sole di primavera e ci avviammo in parecchi (Vittorio in testa; io con le poesie come breviario) e il cammino di aggiramento fu lungo e felice. C’era odore di selvatico e l’erba era schiacciata presso la casa semifranata che il sindaco aveva fatto recintare con avvisi agli incauti; evidentemente avevamo disturbato con le nostre voci un grosso cinghiale.
Ero commosso e contento: amavo la poesia che leggevo come l’aria d’oro e profumata che avevo attorno. Rinascevano fiori e foglie; rinasceva l’opera, alla fonte, di un poeta che, finalmente, dopo una vita in discrezione ed in oblio, stava acquisendo fama e lettori.
La finestra sulle Arme del Finalese; lo squillo leggero del campanile di Portio. Tornammo in paese, sapendo che la vegetazione avrebbe presto ringoiato il sentiero in cui si passò in fila indiana. Non avevo visto Vittorio; eccolo, ben presto, di passo lungo e con un sorriso un poco da furbo. Penso fosse soltanto per la riuscita dell’impresa e per l’omaggio che abbiamo reso a uno scrittore dalla voce pudica e discreta, ma che si sente più forte, ora che ricorre il cinquantesimo anniversario della sua scomparsa e che abbiamo sempre più bisogno della dolce saggezza del “vecchio ape di Spotorno” come lo definì un critico amico.
Ci ritroviamo sullo spiazzo del Comune: focaccia appena sfornata e un “bianco” offerto dal produttore che farebbe strizzar l’occhio di contentezza al Poeta.
La sera, mi arriva una mail di Vittorio, con una foto piena di sole e di Arme: la finestra del “Ciclope”! Si è sottratto alla vigilanza del Sindaco e, quatto quatto, è salito per la scala fatiscente, si è affacciato alla stanza, ed ecco la foto! Vittorio; grazie!
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Sergio Giuliani, nato a Savona nel 1937 da famiglia senese ed ivi residente, ha insegnato per un quarantennio lettere e storia negli istituti tecnici. Amico ed estimatore di Francesco Biamonti e di Giuseppe Conte, che ha contribuito a far conoscere nelle scuole e con iniziative pubbliche, si occupa adesso di corsi sulla letteratura otto-novecentesca con l’Unitre di Savona. Socio dell’A.I.C.C. di Cuneo, ha sempre partecipato come relatore ai Convegni organizzati da tale Associazione. Presenta spesso libri e mostre d’arte con contributi critici, scrive per il giornale “Il Letimbro” di Savona, è un instancabile animatore culturale.