FELICE BACCHIARELLO
Bari e oltre
Magnifico viaggio sulla costa del mare, con agio di ammirare le bellezze della nostra invidiata Italia, toccando le più belle località, mete ricercatissime di villeggianti per soggiorni di svago ed allegrie, ogni cosa si sarebbe ammirata. Se il morale fosse stato diverso, se il viaggio ognuno lo avesse voluto a suo piacere, ma invece il nostro spirito degnava appena queste bellezze di un sospiro di rimpianto perché in esso era un turbine di svariati sentimenti; gli occhi vedevano tutto, ma non vedevano nulla perché sbarrati nel vuoto, mentre il pensiero era lontano, in un paesino, in una città, che abbracciava una mamma, una famiglia, tutti insomma gli affetti più cari.
Per chi sia stato sempre abituato a vivere con tutti i suoi cari, ma con una mamma specialmente, e mai se ne sia staccato, è cosa incomprensibile esserne senza, in momenti difficili specialmente. Solo in simili momenti nei quali l’animo è triste si comprendono cose che diversamente non si comprenderebbero affatto.
Spina dolorosa in simili partenze era poi ancora il pensiero che, una volta dimenticato l’Io stesso, rassegnato, in ogni cervello subentrava al primo che più tristi assai di ognuno di noi forse mamme, spose, figli si struggevano dal dolore per il distacco e, per la maggior parte dei casi, insalutati.
Sfogati tutti questi primi istinti del cuore, istinti naturali e più che legittimi, ognuno riprende la presenza di spirito necessaria per affrontare il destino ignoto, per quello che ci attenderà domani, ed ogni soldato pensa, s’immagina a modo suo come sarà la terra, triste terra, che lo avrà prossimamente ad ospitare, e ritorna così quella normale vita di cameratismo che in massa, volenti o nolenti, diventa spensierata tanto da far credere a chi si sofferma al passaggio di simili convogli che regni la migliore allegria, quasi da taluni invidiata.
Viaggiare è bello, fare delle crociere magnifico, ma credo che ognuno in tali occasioni avrebbe lasciato volentieri il suo posto al primo che si fosse presentato.
Sono tutte parole dei giornali, della radio e dei chiacchieroni quelle famose decantate virtù dell’uomo che non agogni altro che il combattimento, certe motivazioni, direi quasi ridicole, di atti di valore che mettono degli evviva in bocca ad un uomo colpito a morte e tante altre cose del genere che, chi ha vissuto in simili occasioni suonano come offesa a quei sacrosanti sacrifici che un Ministero crede di aver degnamente compensato con quattro paroloni altisonanti in una motivazione talvolta assurda.
Ho visto piuttosto giovani morire invocando la loro madre, mariti struggersi dal dolore non tanto per se stessi ma per il pensiero della sventura che colpiva una famiglia lontana che viveva solo per la speranza di un felice ritorno del proprio caro.
Sì, trovandosi nella mischia, di fronte al nemico, stanchi della lotta, diventati più bestie che uomini, eccitati da un furore che in fondo non si sa per chi e per che cosa, si compiono prodigi di valore e resistenza, spinti però dallo spirito di conservazione, desiderosi di abbreviare la lotta per fare più presto ritorno alla vita normale.
Se mi fossi ricordato che quel famoso treno ci avrebbe portati a Bari ed ivi lasciati per tornare anch’esso a compiere il suo dovere di portare altre vittime al sacrificio, non avrei più finito le mie riflessioni le quali casualmente lette puzzerebbero di pedanteria, e ciò non mi stupirebbe affatto perché non tutti gli uomini sono tenuti ad essere esasperati per lo stesso motivo, specialmente quelli che per loro fortuna non ne abbaino motivo.
Adunque, al primo arrivo in Bari fummo accolti allo scalo da uno stuolo di “scugnizzi”, che contali sarebbe stato un’impresa impossibile; tutti con la loro cassettina adagiata nell’erba, venivano ad offrire le merci più svariate. Senza aver visto Napoli, Brindisi, Bari, ognuno era a conoscenza di questa caratteristica del Sud.
Per allontanarli, tanto erano impertinenti, ci volle un servizio d’ordine, anche per evitare che troppe cassette, a danno dei poveri proprietari, avessero a saltare in aria per il gentile contatto con qualche scarpone alpino.
Nel giro di poche ore dall’arrivo, ogni reparto venne caricato sulle navi ancorate al porto di Bari, che maestose attendevano il loro carico umano per portarlo in Albania, a Durazzo. Tali operazioni si compivano sotto l’assillante preoccupazione di vedere piombare sul porto da un minuto all’altro le squadriglie aeree nemiche.
In questo caso, con quell’ammassamento che senza dubbi non ebbe precedenti nel porto di Bari, migliaia di uomini (con relativi quadrupedi automezzi e animali) sarebbe stata una vera carneficina. L’allarme ci fu ma il peggio non venne. Così, mentre il caso volle che per mancanza di posto sulle navi per una parte del materiale della mia compagnia, io rimanessi a terra con parecchi uomini del mio reparto, le navi piene zeppe di uomini e materiale salparono dal porto e il lugubre convoglio, verso il tramonto, si diresse alla volta di Durazzo, in mezzo alla continua insidia dei sommergibili nemici i quali purtroppo delle otto navi componenti il convoglio ne colarono una negli abissi marini con buona parte del suo carico formato, se non erro, da un battaglione del 2^ rgt. Alpino.
Così la nostra divisione cominciava a dare il suo contributo per lo “spezzamento delle reni della Grecia” (Mussolini). Lo stesso movimento si ripeteva ogni giorno nel porto di Bari e così di Brindisi.
Nell’attesa, durata parecchi giorni, a Bari ebbi modo di vedere la città a mio agio, non solo ma di annoiarmene quantunque fosse migliore della inospitale e piovosa Albania.
In questo periodo fummo accantonati nella famosa “Fiera del Levante”, ed ebbi occasione non solo di visitarla ma di eleggerla a mio domicilio per circa un mese. Costruita su una lingua di terra sporgentesi per un ben lungo tratto sul mare sulla quale si veniva ad vere Bari quasi di fronte, doveva essere stata veramente bella e degna di essere visitata, ai suoi tempi di efficienza. Ma in che stato ora! Tutto diroccato, asportato l’asportabile, adibita ogni area a dormitorio e scuderia, nel padiglione di vetro erano alloggiati 70 muli, mentre altri padiglioni dagli sgarbati ospiti giornalieri venivano demoliti per fare funzionare le cucine. Era un viavai continuo di truppe ed anche di civili.
Bellissima la passeggiata lungomare che porta fuori di Bari Nuova. Bari è distinta in Nuova e Vecchia, questa composta dalla parte periferica e centrale al Nord, mentre la Bari Nuova costeggia il lungomare verso Sud. Della Nuova non c’è che dire, nonostante per troppe abitudini poco decorose delle persone stesse non si renda affatto piacevole; ma della Vecchia non se ne può parlare. Formata in maggioranza di case ad un piano, per fortuna, che altrimenti ciò che passando si riceve nelle gambe soltanto si riceverebbe in testa ed allora si sarebbe costretti a non mai passarci.
Dopo parecchio tempo di assillante preoccupazione di attesa: “oggi”, “domani” si parte, venne anche la volta mia di partire per gli ignoti lidi. Così una sera mentre già nella città si vedevano le mezze luci accese (periodo di oscuramento), dal piroscafo Zena guardavo il faro posto nella estrema punta della “Fiera del Levante” e la nostalgia della patria dalla quale il tratto di mare mi divideva scendeva nel mio cuore ed un nodo mi chiudeva la gola, mentre vedevo il faro farsi sempre più piccolo e lontano.
(Continua)
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Seconda puntata
Terza puntata
Si ringrazia la famiglia Bacchiarello per la concessione del testo.