Diario di una giovinezza, quinta puntata

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FELICE BACCHIARELLO

Albania 

Superato il primo momento mi recai in cabina (mi era toccata anche una cabina) a prepararmi la cuccetta per la notte ed assettarvi il bagaglio.
Poi il comandante della nave, chiamatici a raccolta (si era in pochi, una settantina solo di uomini, il resto materiale e muli) in coperta, volle assicurarsi che tutti fossimo forniti di salvagente e ci spiegò come usarlo e come comportarci nel caso fossimo stati silurati (“tocco ferro”, gridava un genovese, “Nelle stive ci sono 700 muli i quali non sanno nuotare e per di più non avete dato loro il salvagente”).

Una boccata d’aria in coperta aveva risvegliato l’appetito e come scesi in cambusa dal Capo Cuoco (persona importante) a chiedere se aveva preparata la cena (si era in quattro sottufficiali), trovai già ogni ben di Dio, come si usa sulle navi, preparato in tavola; quindi chiamata a raccolta la squadretta si diede fondo a tutto quanto il Cuoco ci seppe fornire (era un ligure di Cornigliano il quale non poté fare a meno di dire d’aver visto che gli Alpini non soffrivano il mal di mare a giudicare dall’appetito e anche dalla sete).
Dopo parecchie libagioni a Bacco e il rullio della nave che cullava dolcemente, non tardai a ritrovarmi tra le braccia di Morfeo.

Mi parve strano quando il mattino seguente, salito in coperta, trovai la maggior parte dei miei compagni di viaggio assonnati per aver passato la notte in veglia, così mi fu detto, essendoci stato per parecchie ore “allarme di mare”. Forse mi sarei svegliato solo quando il siluro avesse colpito la nave. Così per me il viaggio fu tranquillo. Per poter essere sbarcati al porto di Durazzo si dovette stare due giorni al largo tanta era la fila delle navi attraccate alla banchina per il carico e lo scarico.

Appena scesi a terra si proseguì, sempre a piedi come d’uso, verso le linee che raggiungemmo dopo parecchi giorni di cammino, sotto una pioggia fitta che durava la maggior parte del giorno e bagnava.

Lasciato il corso del Devoli (fiume che scende dalle montagne della Grecia, con un letto di pianura, di circa 500 metri in media di larghezza (capace di essere passato a guado a mezzogiorno mentre dopo poche ore è in piena asportando addirittura i ponti) raggiunsi la compagnia dislocata sul fianco sinistro del Tomori.
In un mese di linea che sfacelo!
Da trecento uomini la compagnia era ridotta a settanta uomini efficienti, ricoverati in trincee improvvisate sotto il fuoco nemico e sotto il rigore del freddo, alle quali nulla avevano da invidiare quelle viste sui monti della Carnia! A tale vista, più con rassegnazione che con speranza, fu giocoforza adattarsi e tirare innanzi come tutti quelli che già c’erano, sperando di essere sempre tra gli efficienti piuttosto di seguire la triste sorte della maggioranza.

Giornate cupe d’ansia seguirono, perché il nemico non dava tregua e ognuno sa quale fosse il sistema dei greci per andare all’attacco; in massa a plotoni affiancati; bel sistema per farsi ammazzare tutti assieme se l’attacco viene respinto a fior di raffiche di mitraglia e da bombe a mano.

Non si dormiva, non si mangiava a sufficienza, si congelava dal freddo per l’impossibilità di accendere un po’ di fuoco a breve distanza dal nemico e si viveva con lo spasimo continuo di vedersi ad ogni momento piombare addosso un’ondata di nemici.

Pochi erano i giorni in cui non piovesse o nevicasse, per cui mai ho visto tanto fango in vita mia. Scorreva per i pendii come lava di vulcano, fino a raggiungere in certi punti bassi uno strato di più metri tanto che chi non fosse andato guardingo arrischiava di vedersi inghiottire da un lago di fango. Questo avveniva specialmente dove transitavano tanti quadrupedi, i quali in maggioranza ebbero appunto a morire sepolti vivi nel fango, mentre facevano i trasporti per le truppe in linea, dimodoché a stento il conducente riusciva a mettere in salvo il carico. Cercare di scansare il fango era un sogno, ed allora ci si avventurava dentro come si dovesse guadare un lago, sperando che non ve ne fosse più di mezzo metro perché altrimenti succedeva di non più poter andare né avanti né indietro.

Una notte, in un trasloco, perdetti tre uomini, i quali ricercati il mattino seguente, furono trovati intirizziti dal freddo, immersi fino alla cintola nel fango in cui erano andati ad impantanarsi, causa la tremenda oscurità che regnava sempre, per cui tirandoli fuori, fu loro giocoforza lasciare nel fango scarpe e pantaloni ed uscirne in camicia. Era ottima precauzione viaggiare, in certi posti, con le scarpe semislegate, onde nell’eventualità di impantanamento, poterne uscire più agevolmente non avendo la resistenza delle scarpe da superare.

Sporchi, pieni di pidocchi, impossibilitati a lavarci, costretti a stare sempre con gli stessi panni inzuppati di acqua, infangati per settimane e settimane, soffrivamo ogni sorta di avvilimento. Quanti congelamenti, ai piedi specialmente, prodotti dalla grande umidità seguita dal freddo nelle notti di guardia! Proprio da dire: “Signore perché mi hai abbandonato?”. È la speranza che domani sia migliore che mantiene in vita un uomo in certi frangenti perché se per questo non fosse, e non fosse il pensiero dei propri cari, di tante cose care, se non fosse per il desiderio di vivere che pulsa più forte della tentazione di abbandonarsi all’esaurimento in attesa della morte, quanti volontariamente, pur di farla finita, si sarebbero cercata la morte come una salvatrice da tanti patimenti.

Che spettacolo (nella permanenza a Bari andavamo spesso ad assistere allo sbarco) si presentava agli occhi di chi aveva occasione di vedere lo sbarco dei feriti e congelati, a Bari, quando arrivava la nave bianca carica di migliaia di poveri ragazzi i quali ad uno ad uno venivano scaricati dalla nave e ricaricati su ambulanze e indi avviati ai centri di cura. Molti smunti con barbe incolte da renderli irriconoscibili, avvolti in grossolani bendaggi.

Impressionava all’arrivo, ma più ancora era impressionante la vista di quello che era di là dal mare. A migliaia attendevano feriti e congelati, ricoverati malamente dall’intemperie in baracconi, sopra un po’ di paglia sporca, a Durazzo, sotto il continuo pericolo del bombardamento aereo, senza nessuna cura fuorché quella di “speranza” di poter arrivare presto in Italia.
Quanto doveva patire un congelato o un ferito prima che dalla linea potesse arrivare ad un luogo di cura! Magari mezza giornata a cavallo di un mulo, in mezzo ai cespugli e sperando che il mulo non andasse a ruzzoloni. Tutti questi sacrifici, visti da vicino, presentano un’altra faccia ben diversa dalle casuali descrizioni, come io non potrei mai pretendere che una persona che non vi abbia personalmente partecipato, si immedesimasse nella mia concezione.
Si penserà: tanto fango, tanta fame, tante schioppettate, acqua, pidocchi, ecc… un po’ di commiserazione ecc… e ciao, povero ragazzo!

Tanto per tagliare per le corte, perché un diario vero e proprio come sarebbe desiderabile avere, sarebbe stato opportuno averlo potuto scrivere allora giornalmente; allora sì che si sarebbero potute imprimere sulla carta le descrizioni reali dello stato d’animo, ma oggi che le sofferenze sono passate sembrano inverosimili, tale cosa non è più possibile, mi limito a fare qualche salto in lungo e in largo per l’Albania e dintorni, tanto per dire che se altro sacrificio non vi fosse stato, vi sarebbe stato almeno quello, nelle peggiori condizioni, di averla percorsa tutta, da un centro all’altro, da una montagna all’altra, a piedi, e molti tratti anche per ben due volte, tanto frequenti erano gli spostamenti, poiché il nostro esercito rappresentava “Una disorganizzazione magnificamente organizzata”.

La prima città incontrata, dopo Durazzo, fu Elbasan alla quale si arrivò dopo 70 chilometri di cammino da Durazzo percorrendo la zona paludosa e semincolta della bassa collina. questa città composta, come del resto le altre città, in parte da casette di un piano e in parte da fabbricati elevantisi fino oltre i tre piani, è sita ai piedi delle montagne formanti la catena divisoria della Grecia, a poca distanza, un giorno di marcia, dalla vetta del Tomori, di triste memoria, presso il quale si ebbe a svernare, nelle condizioni già in precedenza descritte.
A fine marzo da questa località avvenne uno spostamento che ci portò, attraverso monti e valli ancora nevosi, a vedere la città di Berat per risalire, sotto il tuono del cannone, ad altro fronte, su altre montagne rocciose già teatro di aspri precedenti combattimenti.
Radunatosi il reggimento, prima di scendere alle rispettive posizioni, in una breve sosta, fu celebrata la Pasqua (si era a pochi giorni dalla settimana santa e anche noi si ascendeva con il pesante carico al monte… tralascio per non correre il rischio di dire qualche eresia) in massa, nei modi consentiti dalla Liturgia, cioè recitando l’Atto di dolore tutti insieme, in luogo della normale confessione (sub conditione) ed accostandoci alla comunione, rischiando di vedere non solo, ma di sentirci arrivare addosso una scarica di proiettili di artiglieria dei pezzi pesanti nemici, dalle retrostanti valli occupate da loro.

L’Agnello di Dio, però, vegliava sul suo gregge. Fatto ciò, per qualche ordine sopraggiunto improvviso, anziché occupare le posizioni prestabilite, si fece marcia indietro, per attraversare l’Albania e portarci al lato opposto, cioè sul confine slavo, avendo in quei giorni la stessa Jugoslavia dichiarato guerra. Così, ripercorrendo in parte la strada già percorsa nell’andata, ripassando per Berat e Elbasan, ci si portò di fronte agli Slavi, respinti i quali, in accaniti combattimenti di artiglieria e di fucileria, si perseguì l’occupazione della cittadina di Dibra, bella località, in cui a metà aprile già si vedeva rinascere la primavera nelle campagne verdeggianti che la circondavano.

(Continua)

Prima puntata
Seconda puntata
Terza puntata
Quarta Puntata

Si ringrazia la famiglia Bacchiarello per la concessione del testo e delle foto. La foto di copertina porta scritto sul retro: “Novi Ligure Ferrari Luigi, Olivero, Bacchiarello e Salomone” e si riferisce probabilmente ad un episodio antecedente a quelli raccontati in questa puntata.