LUCA BRESCIANI
Ho visto il mare per la prima volta
disordinare la sua immensa stanza
e ho visto me stesso per l’ultima volta
già vuoto come una conchiglia.
Chi ha osservato la guerra
non può temere una barca
anche quando manca lo spazio
per avvitare una supplica in cielo.
Che Dio ci aiuti.
Che Dio aiuti gli uomini
ad aiutare gli uomini.
Sono annegato a mezzanotte
fissando il grembo di mia moglie
e ora sono una bambola disfatta
con cui neppure il buio si diletta.
*
La mia spina dorsale
è una colonna di parole
che inizia con maiuscola tristezza
e finisce con un punto di speranza.
È un faro senza guardiano
in preda a contrazioni d’abisso
che comunque resiste acceso
truccando di luce ogni grido.
È un cero di istinti
addestrato dal fuoco dei dubbi
che lentamente si china e si sdraia
per seminare il cuore nella terra.
*
Sento gli schiocchi profondi
di chi tende i propri abbracci
divaricando insieme al corpo
la parte pregiata dell’istinto.
Anch’io voglio rompere
le blindature della carne
facendo tintinnare i tatuaggi
come chiavistelli sconfitti.
E riuscire con naturalezza
a toccare le punte della misericordia
espirando tutte le muraglie
che costruiscono in noi di notte.
*
Il peso specifico del pianto
è maggiore di quello del tempo.
Il viso crolla dritto
come un filo a piombo
conficcando gli occhi
sul fondo degli istanti.
È così che si muore adesso:
meridiane esiliate nel fango
a indicare un’ora che non esiste
se il cielo si volta dall’altra parte.
Luca Bresciani L’elaborazione del tutto, Interno Poesia Editore 2017
Foto di copertina: © Alessandro Petri
Il libro è stato realizzato grazie ad un progetto di crowdfunding effettuato in collaborazione con Produzioni dal Basso.
Prefazione di Davide Rondoni
C’è una forza nella diseguaglianza di questi testi. Bresciani cerca l’impossibile, ricapitolare, elaborare, con un gioco di orecchiamento con un livello psicanalitico del discorso. Una rielaborazione del tutto. La poesia è in questo gesto?
Il testo non cerca effetti speciali, la forza sta in una sorta di compattezza interiore, quasi di tensione morale. Non a caso l’introduzione del libro adombra a un tema che oggi inquieta le coscienze di tutti e in più punti il richiamo a parole come “onestà” o certi autori citati vogliono dare a questo libro una fisionomia di viaggio morale. Il che potrebbe esporre il Bresciani a non pochi rischi – specie in questa epoca che tende a premiare la “moralità” nell’arte, spesso confusa con i moralismi adatti al potere di un pensiero dominante, quel genere di cose che faceva giustamente infuriare il sarcastico genio di Baudelaire. Ma la poesia offre a questo rischio un riparo, o almeno un vaccino. Soprattutto nella terza e quarta sezione la voce si indurisce, cerca l’essenziale “le domande del mondo” che “elemosinano verità e coraggio” e in una sorta di poetica rovesciata contro la poesia inessenziale si cerca una via che sfugga al troppo facile, al consolatorio anche della letteratura:
Forse non serve alla vita
chi è ladro di speranza
anche se usa un verso
come piede di porco.
Forse la disperazione
non deve essere un dovere
ma un diritto riservato
a chi è innamorato del futuro.
A chi è davvero ricco
da avere sempre pezzi di tempo
da sbriciolare nelle proprie vene
attendendo le ali di una mutazione.
Percorre il testo una volontà ferrea, dichiarata, una verticale concentrazione su di un compito che sia un allargamento della vita (agli altri, ai “sette miliardi di tagli” del mondo). Siamo dinanzi a un tentativo di poesia che sembra sottrarsi programmaticamente all’offerta di materia biografica, resa per sole geometrie interne di pensiero e tensione morale. Come se quel compito di cui l’autore parla rispetto alla vita e al mondo trovasse nella scrittura stessa il primo campo, la prima verifica e il primo duro banco di prova. Cosa è infatti una scrittura che cerca l’allargarsi alla vita? L’autore qui cerca di compiere tale allargamento per sottrazione, ovvero non chiedendo alla sua scrittura di farsi ospitale del mondo bensì di farsi quasi pura grafia intellettuale e morale, registrazione sismografica di movimenti interiori – non di rado tellurici.
Abbiamo così un libro compatto e volitivo, una parola asciutta e provocante. Una scrittura che chiama il lettore a poche, necessarie, questioni. Il che per un libro non è poco.