LUIGI PERROTTA.
«Complice un complicatissimo e sterminato esame di Teoria della letteratura italiana … mi sono addentrato … nello studio matto e disperatissimo dell’Orlando Furioso, analizzandone ottava per ottava, verso per verso, parola per parola, tutti i 38.736 endecasillabi partoriti dalla folle e geniale penna di Ariosto.» Così Perrotta presentava il suo poemetto in ottave Saprof.
Il testo che segue è un altro frutto di quello “studio matto e disperatissimo”, di quella lettura critico-analitica sospinta da una furiosa passione e da un acceso sperimentalismo, e insieme guarda alle Heroides di Ovidio, le “Lettere d’amore” che il poeta latino immagina scritte da famose eroine ai loro mariti o innamorati.
In questo caso l’eroina è Angelica, l’innamorato è “Orlando, o Rolando o come diavolo” si chiama: il risultato è una ‘parodia’, una riscrittura del ‘filo’ eponimo della trama del Furioso, quello relativo alle avventure di Orlando, dal punto di vista della donna. Ma la novità non è solo il punto di vista femminile, è soprattutto la lingua utilizzata, volutamente cruda, greve, dissacrante, ma sostanzialmente in linea con lo spirito dell’ironia ariostesca qui portata alle estreme conseguenze, in un trionfo del carnevalesco, del ‘rovesciamento’, del gioco letterario, marguttesco. Lo spasso è garantito. (Gabriella Mongardi)
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Caro Orlando, Rolando o come diavolo ti chiami,
sei un cretino, un caprone, un alcolizzato e pure un pazzo! E non tanto per tutto il casino che hai combinato per il Sacro Romano Impero – che gran bordello! Te ne sei andato in giro a sradicare alberi, brutto come un cinghiale e con solo un cencio a coprirti il biscottino – ma per non aver capito un cazzo di me! Sei proprio un tonto, e della peggior specie!
Ma dico! Eri sposato, vero che eri sposato? E mica con una qualsiasi! Con Alda la Bella! Va bene che il nome non è il massimo, ma, cavolo!, era proprio una gran figa! E allora perché te ne vai appresso alle ragazzine, importunandole con la tua fiata puzzolente? Avessi concluso qualcosa, poi… macché! Sto ancora qui, viva e vergine, aspettando il Paladino di Francia che venga a… Orlando, porca miseria! Io volevo essere sbattuta! Come un animale, senza pietà e senza ritegno!
Eppure sembravi pazzo di me! Per avermi hai litigato con Rinaldo, hai abbandonato l’esercito cristiano, hai lasciato quel povero vecchio di Carlo Magno col fegato in mano a rodersi dalla rabbia nell’assedio di Parigi; hai rotto il culo a due armate di Mori; hai ammazzato un’orca terribile nel mare del Nord; e lasciamo perdere cos’altro hai combinato… e poi? Non mi hai sfiorato neanche con un dito!! Ma vaffanculo! Tonto! Non capisci niente… A noi donne piace il maschio vero, il toro infuriato, quello che ci prende con la forza!
Ma cosa credi? Che mi piaccia quello smidollato di Medoro?! Lui era solo un pretesto per farti ingelosire! E in effetti così è stato ma… Come sempre hai strafatto, scimmione ebete e ignorante! Non potevi limitarti ad inseguirmi ancora, no! Non potevi riprendermi, anche con una certa violenza, dalle braccia del pallemosce, no! Sei impazzito! E certo! Senza alcuna via di mezzo!
Ora me ne sto in Cina, come una cretina, a guardare fuori dalla finestra Medoro che insegue scoiattoli e raccoglie fiorellini! Ma dovevo capirlo subito, scema che sono stata! Quella era un finocchione come pochi. Unghie curate, manine delicate… e poi parlava sempre di ‘sto cazzo di Cloridano! E Cloridano di qua, e Cloridano di là, e perché è mi è morto Cloridano… Pensavo fosse solo dolore fraterno, ma io non ci stavo proprio a pensare… tanto io aspettavo te, il montone, l’ariete! Macché! Un bue sei! Stupido e senza palle!
In quella locanda pidocchiosa ci stava solo Medoro, porca miseria. Poi ci hanno trovati a letto insieme… e me lo sono dovuto sposare! Chi lo sentiva quel vecchio matusa bacchettone di mio padre! Un bellissimo matrimonio, non c’è che dire… ma la notte? La PRIMA notte?! Un disastro! Si è girato dall’altra parte, si è fatto un sudoku poi e si è messo a ronfare! Vestito! Manco si è messo il pigiama, quel culo secco!
Se avessi saputo che aveva le chiappe chiacchierate, col cazzo che avrei inciso freccette e cuoricini su alberi e muri coi nostri nomi, l’avrei mandato in malora! Ma a quanto pare, dopo la morte del concubino, quello doveva accasarsi in qualche modo e… e ora mi spiego perché non mi ha voluto impalmare in nessuna maniera! Guardalo lì, l’ebete, che si diverte con le sue bolle di sapone…
Che sorte maledetta, la mia! Amata da: Ferraù, Rinaldo, Sacripante, da te… Qui tutti mi vogliono e nessuno mi piglia! A chi mi devo dare ora, a chi? Ma ti rendi conto delle stronzate che hai fatto? E ora non puoi neanche rimediare, perché sei morto come un coglione! A Roncisvalle, maledetto il demonio, potevi suonarlo prima quel merdosissimo olifante! Ma tu no! Orgoglioso e squilibrato, l’hai suonato solo quando stavi crepando. Ma cosa dovevi fare da solo contro migliaia di guerrieri? Cosa?
Sai cosa puoi fare ora, all’altro mondo, con quel corno che tanto avevi caro? Eh? Beh, fallo! Tanto ti piace sicuramente. Caprone.
Ti amo.
Tua, Angelica
(illustrazione di Maria Valeria Sanna)