Musica sull’acqua. Omaggio a Claudio Monteverdi

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GABRIELLA MONGARDI.

La Crociera Musicale Monteverdi è una splendida iniziativa che da tre anni il Festival Monteverdi di Cremona organizza in collaborazione con le altre due città dove Monteverdi visse, Mantova e Venezia, e la società “Navigare in Lombardia”. Quest’anno assume un significato tanto più rilevante in quanto ricorrono i 450 anni dalla nascita dell’artista che ha rivoluzionato la musica, abbandonando la rigidità del cantus firmus gregoriano e del contrappunto cinquecentesco in favore di un’espressività emotiva nuova. Monteverdi (1567-1643) ha realizzato un’inedita alleanza tra poesia e musica, ispirandosi a testi poetici come i sonetti di Petrarca o i madrigali di Tasso o episodi della Gerusalemme Liberata per tradurli in melodia e armonia, e con il suo Orfeo ha inventato il dramma per musica, da cui discende l’opera lirica in tutte le sue declinazioni, fino ad arrivare alla canzone moderna.

La Crociera Musicale di quest’anno prevedeva tre concerti: uno a bordo della nave, durante il primo giorno di navigazione; uno la sera dello stesso giorno a Mantova, in Palazzo Ducale; l’ultimo l’indomani, all’arrivo a Venezia: nella chiesa di San Rocco dove Monteverdi ha suonato, a due passi dalla chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari dove è sepolto. A lui è stato interamente dedicato il secondo concerto, mentre il primo prevedeva Vivaldi (1678-1741) e il terzo Pierre de la Rue (1450-1518). Si è trattato di un viaggio a ritroso nella storia della musica, che partendo da una musica solo strumentale, ma cantabile e ‘affettuosa’ come quella di Vivaldi, ha permesso di toccare con mano la palpitante teatralità di Monteverdi, in contrasto con la severa ritualità precedente.

Nel rievocarlo, preferisco però rispettare la cronologia storica e comincerò pertanto dal fondo, da Venezia, dal concerto della Cappella Pratensis “Visioni di gioia. La cappella di Hieronymus Bosch”. Il programma proposto da questo ensemble di sole voci maschili (Stratton Bull, Andrew Hallock, superius; Pieter de Moor, contra; Peter de Laurentiis, tenor; Pieter Stas, bassus) intercala le parti della Missa cum jocunditate di Pierre de la Rue (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei) a brani mariani attinti al repertorio gregoriano della Confraternita di Nostra Signora del paese natale di Hieronymus Bosch, ca. 1450-1516 – da cui il titolo del concerto. Anche la Missa elabora materiale gregoriano preesistente e legato al culto della Vergine (un’antifona dei Vespri della Natività di Maria). Come si faceva nel quindicesimo e sedicesimo secolo, gli interpreti cantano riuniti attorno a un unico leggio, leggendo la notazione originale da grandi libri corali. È il trionfo della voce umana allo stato puro: ciascun cantore è autonomo dagli altri, segue una propria linea melodica che si intreccia con le altre senza obbedire alle leggi del temperamento armonico: scalano vette e scendono negli abissi della scala tonale per poi risalirne con un sublime virtuosismo, capace ancora di sedurre gli ascoltatori con i suoi ricami di bellezza.

Il concerto di Mantova abbina invece voci e strumenti: a esibirsi, l’insieme inglese Vox musica, diretto da Michael Berman. Fondato a Londra nel 1999, è composto da 14 cantori accompagnati da un’orchestra di due violini, violoncello, tiorba e organo. Il programma del concerto ha una raffinata struttura a incastri: aperto e chiuso dal Monteverdi sacro (il salmo Beatus Vir e il Gloria a 7, che incorniciano due mottetti di adorazione a Cristo, Christe adoramus te e Adoramus te, Christe) racchiude al centro il madrigale profano Chiome d’oro, di cui il Beatus Vir non è che una parodia, cioè il riutilizzo dello stesso materiale musicale, diversamente concertato, per un altro testo – a dimostrazione della compenetrazione tra repertorio sacro e profano in Monteverdi. Quello che gli premeva veramente era l’osmosi tra parole e musica: lui partiva da un testo – sacro o profano, in latino o in italiano – e lo ‘traduceva’ in musica, esprimendo attraverso i suoni, il ritmo e il loro rapporto le emozioni che quel testo gli suscitava. Monteverdi individuava in un testo le parole-chiave, le parole-tema e le metteva in risalto con la melodia e l’armonia delle voci, distribuendole fra di loro e ripetendole all’infinito, in un intreccio sempre variato, in cui strumenti e voci si rispondono e si sostengono mirabilmente. Il risultato è la costruzione di un edificio di labirintica armonia, senza peso né materia, un palazzo di Atlante da cui i cavalieri non sanno né vogliono più uscire – finché lo svanire dell’ultimo accordo nel silenzio non li riporta alla realtà – e si ritrovano dentro un altro sogno di bellezza: la Sala di Manto nel palazzo dei Gonzaga…

Un Quintetto d’archi è un’orchestra in miniatura, per così dire ‘portatile’, che permette di vivere l’esperienza di un concerto barocco anche quando lo spazio non è quello di una sala da concerto: in questo caso, il ponte di un battello in navigazione sul Po, la motonave Stradivari, l’ammiraglia della nostra flotta fluviale. È qui che l’ensemble Il Tetraone (Analiz Ojeda e Maria Grokhotova, violini; Alice Bisanti, viola; Paolo Ballanti, violoncello; Giovanni Valgimigli, contrabbasso) tiene il concerto “Alla rustica”, tutto dedicato a Vivaldi: il silenzio dell’acqua allora, come per magia, si riempie delle armonie vivaldiane, le accoglie, le amplifica con la sua acustica perfetta – e si va all’indietro, sul fiume del tempo…
Grazie all’utilizzo di strumenti originali, allo studio filologico della partitura, alla cura del suono, il Tetraone realizza una lettura nuova dei sei concerti proposti, da cui risalta la ricca varietà dell’invenzione del compositore, a torto accusato di aver scritto sempre lo stesso concerto…

L’apertura è giustamente affidata a un’ouverture, la Sinfonia dell’opera L’incoronazione di Dario (RV 719), che inizia con slancio e fluente energia, prosegue con un tempo di danza traboccante di grazia e dolcezza e si chiude con un allegro frizzante e delicato, molto suggestivo.
Decisamente inconsueto il Concerto madrigalesco RV 129, che riprende la struttura della sonata barocca. Un materiale melodico proveniente dalla musica sacra e una complessa scrittura contrappuntistica diventano qui strumento di una severa meditazione sullo scorrere del tempo. Molto netto il contrasto con il successivo concerto “Alla rustica”, RV 151, che con il suo grezzo accompagnamento ‘imita’ melodie popolari suonate in campagna a una festa di paese. Dopo la solare e ‘rotonda’ tonalità maggiore di questo brano, con il successivo RV 128 si ritorna a una malinconica tonalità minore: ma questa volta al ritmo nervoso, sincopato della musica, all’armonia tesa e dissonante si intreccia il canto degli uccelli del Po…
Un’altra sorpresa è costituita dal “quarto concerto di Parigi” (RV 136), che racchiude al centro un andante con le viole in pizzicato, di dolcezza cullante e struggente cantabilità, un gioiello di intensità espressiva incastonato tra due tempi veloci che lo ‘alleggeriscono’ – un’invenzione armonica e melodica di sublime profondità.
Con l’ultimo concerto, RV 156, viene meno ogni punto di riferimento: tutto oscilla e ondeggia intorno, si creano le condizioni per il compiersi di una metamorfosi dannunziana, per accedere a un’altra dimensione. Sono note di insinuante malinconia, fremiti, sospiri, risentimenti, sussulti – una vera ‘enciclopedia delle emozioni’ che il genio di Vivaldi e la sensibilità degli interpreti squadernano davanti agli ascoltatori.

Anche il Po ascolta quella musica incantata, che riempie il suo silenzio e lo accompagna nel viaggio verso la foce. E scorre, scorre, scorre. Come la musica. Come il tempo.

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