Caro Professore,
le scrivo un’ultima lettera, anche se non so il suo nuovo indirizzo: presumo che “universo” possa andar bene e che Pegaso, generatore di sorgenti e di stelle, la porti fino a lei che è stato sorgente per tanti di noi.
La missiva è latrice di pochi “grazie”, infinitesima parte di tutti quelli che le devo.
GRAZIE per le sue parole, quelle dette e quelle scritte: queste ultime le conservo fasciate in un nastrino e le rileggo ogni tanto, le prime si sono impresse così vive nella memoria che paiono pronunciate ieri l’altro. Parole di stima (immeritata), d’incoraggiamento (efficace), d’affetto (ricambiato)¸parole che tante volte, in prossimità di un bivio, hanno risuonato indicandomi la via.
GRAZIE per la sua preziosa e fraterna amicizia che è stata ben più di un puntello per il mio ruolo di insegnante ed ha supportato l’intera mia esistenza, nei piccoli e grandi dubbi di tutti i giorni.
GRAZIE per aver reso possibile vivere la scuola (il suo amatissimo liceo) come un’occasione di crescita e di scambio: la sua presenza, sempre discreta eppure così autorevole, ha reso indelebile il ricordo di quegli anni, oggi velato di malinconia e rimpianto nella constatazione di un presente impoverito.
GRAZIE per essere stato tra noi, dove peraltro è ancora.
PICCOLI RINGRAZIAMENTI: per la “sbrisolona” da portare alle mie figlie in quella giornata a Mantova con gli studenti; per il tempo dedicato alla mia piccola Anna quando me la portavo a Mondovì; per la sua visita con Pino e Gabriella; per le sue cartoline torinesi piene di poetici ricordi …
Rubo una frase a Juan Mirò per mandarle i miei saluti: “…ciò che conta non è tanto un’opera, ma la traiettoria dello spirito che attraversa la totalità della vita, non ciò che si è riusciti a fare durante il suo corso, ma ciò che essa lascerà ad altri in un giorno più o meno lontano”.
Fulvia Giacosa
Nota per i lettori.
Chi scrive è giunta al Liceo Classico di Mondovì ad insegnare Storia dell’arte una prima volta nel 1984, ma gli anni in cui vi è rimasta continuativamente stanno tra il 1988 e il 1992. Negli ultimi anni di docenza il preside Musso era già in pensione e mi è mancata la sua stampella.
Quando mi sono presentata la prima volta nel suo ufficio ero piuttosto in agitazione perché la scuola – e lui, che ne era l’anima – era nota per l’elevato livello del corpo insegnanti. Eppure, fin da quel giorno, quando ho messo sul piatto la mia inesperienza, ho colto, nello sguardo benevolo e rassicurante di quella bella figura, la piena disponibilità a guidare il mio lavoro. E così è stato negli anni seguenti.
Musso ha sostenuto i miei progetti (come quello di introdurre la Storia dell’arte fin dal Ginnasio, allora cosa ancora rara nei classici italiani); ha approvato le “uscite didattiche” (a Ferrara sulle tracce di Bassani, a Mantova su quelle di Virgilio, Alberti e Mantegna, nella quale mi ha onorato della sua presenza, …); mi ha rivelato le sue preferenze artistiche ed ho avuto il piacere di invitarlo in classe qualche volta quando l’argomento era tra queste, sperando di fargli cosa gradita; mi ha consigliata quando ero in dubbio se restare a Mondovì o approfittare del possibile trasferimento a Cuneo, dove abitavo.
Ma è impossibile dire quante piccole gentilezze ho ricevuto e, come gli ho scritto più volte negli anni, a lui devo ciò che sono diventata, come insegnante e come persona. Veramente. Spero che voi che leggete la mia ultima lettera riusciate a cogliere in parte il senso di questa dichiarazione. Il resto è racchiuso nei miei ricordi e lì resterà, vivissimo. Oggi che anch’io sto tra “gli scampati, i sopravvissuti, i gozzanianamente reduci” come negli ultimi tempi si definiva, mi rendo conto della fortuna che ho avuto ad incontrarlo e a godere della sua vicinanza e della sua amicizia.