Dall’Inferno.
Cari, carissimi Stefano, Lorenzo, Serena e Gabrielle varie,
vi scrivo dal ridotto del Teatro delle Malebolge dove mi tocca sovrintendere agli spettacoli destinati a quei poveretti dei canti ventinove, trenta e trentuno dell’Inferno: falsari, imbroglioni, doppiogiochisti, alchimisti, ingannatori, alias, plagiatori, traditori. Vi informo che Chi comanda quaggiù – o, forse, lassù – ha deciso che io fossi, in qualche modo, il capobanda di tutti questi soggetti. E così sono obbligato ad allestire finti spettacoli teatrali a beneficio – e tormento – di quelli che, in vita, hanno scelto la finzione, l’impostura, la menzogna, la messinscena, la simulazione. “Vuolsi così…” e il resto lo sapete.
Per questo ho amaramente sorriso quando Barbariccia – come succede tutti i giorni - ha effettuato la quotidiana lettura di Margutte. Sì, pare che Qualcuno abbia deciso che le pene quaggiù siano troppo leggere e così, di giorno, gli viene inflitta la lettura di Margutte, la sera le mie rappresentazioni teatrali e la notte la lettura degli editoriali domenicali di Eugenio Scalfari. Dicevo che ho amaramente sorriso perché, da ottant’anni, voi mortali vi affannate a spiegare – persino a me – che cosa ho voluto dire, perché, cosa rappresentavo, come sentivo. Beh, adesso basta. Questo vostro apeggiare per succhiare il nettare dei fiori altrui mi ha stufato. Ho vissuto una vita non lunga ma complicata, ho studiato, letto, pensato, rappresentato, sofferto, scritto, pianto. Sono stato ricco, povero, di nuovo ricco, celebre, disperato, misconosciuto, celebrato. Ho vinto il Nobel quando era ancora una cosa seria. Ho inventato un genere letterario, ho dipinto l’uomo e la sua anima e poi l’ho cancellato con la gomma dell’inganno e della follia. Semplicemente perché mi è venuto di fare così. Ho ricevuto i talenti e li ho fatti fruttare. Senza un perché. O magari perché ero, semplicemente, molto bravo, geniale. E allora, se potete, godetevi quello che ho scritto, assistete ai miei spettacoli e vogliatemi un po’ di bene.
Ve lo dico con parole mie, le solite, e senza un perché: questa sera si recita a soggetto ma è bellavita e, in fondo, sono come tu mi vuoi e così è (se vi pare) e anche se indossate il berretto a sonagli debbo dire che non è una cosa seria e allora, almeno tu, pensaci Giacomino o Lorenzino col tuo bell’abito nuovo, lo so che siete uno, nessuno, centomila ma dovreste almeno avere il piacere dell’onestà, lo stesso dei sei personaggi in cerca d’autore.
Naturalmente non mi darete retta e continuerete a fare come volete approfittando del fatto che non mi posso difendere e allora leggete almeno quello che, pensando a voi, hanno scritto alcuni amici.
Si fa della critica quando non si può fare dell’arte, nello stesso modo in cui si diventa spia se non si può fare il soldato. G. Flaubert
La critica è un’imposta che l’invidia percepisce sul merito. Duca di Lèvis
Sì come i legni hanno i tarli che gli rodono, così i poeti hanno i censori che gli flagellano. G.B. Marino
Critici letterari: vampiri necrofili che fanno autopsie F. Russo
Ma potete confortarvi con un altro amico di cui non ricordo il nome:
Potete rimproverare un falegname che vi ha fatto male un tavolo, anche se non sapete fare tavoli. Fare tavoli non è il vostro mestiere.
Vi ringrazio comunque per esservi occupati di me. E mi preparo a rileggere le stesse cose che avete scritto quest’anno tra diciannove anni, al centenario della mia morte. Le stesse cose che scriveranno i vostri figli tra cinquant’anni, al bicentenario della mia nascita.
Luigi Pirandello
(nella foto, di Margutte, la tomba di Pirandello ad Agrigento)