Intervista a Paolo Conte, stasera in concerto ad Alba
CLAUDIO SOTTOCORNOLA.
L’avvocato Paolo Conte di Asti ha successo all’Olympia di Parigi. E lo vogliono in Germania, Olanda, Belgio, forse in America. Tutte le malizie e tutte le ingenuità della provincia nella sua musica ai ritmi (riverniciati) di vecchio jazz e verdi milongas. Tutti i suoi riserbi, i silenzi e i pudori nel conversare. Conversare asciutto, e colto, eppure generoso di indizi esistenziali regalati al cronista a costruire la sua geometria di Paolo Conte. Quella delle piazze urbane d’estate, dei sogni sudamericani, dei tinelli marron come languide alcove, delle orchestrine da night di periferia, dei gelati al limon…
Da dove ha origine la sua ispirazione?
«Tutto può servire a ispirare. Io ho scritto canzoni di paesaggio, canzoni di esistenza, d’amore, ho scritto canzoni di sogno. Se ci sono dei temi ricorrenti, tendo sempre a riferirli quasi a una mancanza d’ispirazione, a qualche cosa che di canzone in canzone non è completamente esaurito, per cui ritorna».
L’immagine è quella di un piemontese riservato e schivo. Che cosa prova a salire sul palcoscenico?
«Lo vivo in genere abbastanza bene, come uno dei momenti più tradizionali e più autentici, perché si è veramente davanti alla gente, senza diaframmi, tutto vale esattamente in quell’istante in cui viene fatto. C’è l’illusione di essere in piena corsa…».
Borghese e “scapigliato”: come concilia questi due mondi?
«La borghesia ha sempre avuto tante facce, mica solo quella ufficiale; quella ufficiale è un’etichetta che le è stata imposta, e i personaggi più strambi vengono proprio dalla provincia borghese».
La donna è uno dei richiami più insistenti della sua musica. Che rapporto ha Paolo Conte con le donne?
«Di me stesso non ne parlerei mai: posso dire che attraverso i miei personaggi c’è una tendenza a qualcosa di un po’ drammatico, perché è la mia generazione che parla, uomini che hanno sofferto di poca comunicatività con gli altri mondi, specialmente col mondo delle donne».
Domanda retorica: che cosa conta di più nella vita?
«In genere me la cavo con le tre battute della Rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité. E poi aggiungo anche santé, che è importantissima».
Se dovesse compilare una sua carta d’identità culturale: gusti, affinità elettive… che cosa sceglierebbe?
«È difficile, perché le piste delle affinità elettive sono complicate, lunghe. Però le dico qualche nome dei miei grandi miti. Non so, Louis Armstrong; Cesar Frank nella musica classica, Kipling nella letteratura, Tiepolo e Matisse nella pittura. E poi il mare. La donna bruna e molto mediterranea».
Nelle sue canzoni, provincia ed esotismo: che cosa significano?
«Sono due mondi complementari, in quanto si sogna bene dove c’è poca roba intorno. In realtà l’esotismo è quel pudore di descrivere le cose normali, accadute qua, e andare invece a cercare una scenografia di luoghi lontani, un altro teatro. I francesi lo chiamano “l’altrove”. Ed è una forma di pudore».
Pubblicata per la prima volta su L’Eco di Bergamo, 18 settembre 1991.Oggi in: Claudio Sottocornola, Varietà. Taccuino giornalistico: interviste, ritratti, recensioni, approfondimenti, ricerche su costume, società e spettacolo nell’Italia fra gli anni ’80 e ’90, Marna editore, 2016. Margutte ne parla QUI)