FULVIA GIACOSA.
Si chiude con la mostra “Comprensioni – Incomprensioni” nell’antico palazzo cuneese l’avventura “GrandArte” lunga quasi un anno (era iniziata nel dicembre del 2016): una esposizione forse fin troppo ricca in quantità se rapportata agli spazi disponibili, ma sicuramente connotata dalla indubbia qualità delle opere presentate dagli artisti: Walter Accigliaro, Daniele Aletti, Rodolfo Allasia, Enzo Bersezio, Alessia Clema, Claudio Diatto, Guido Giordano, Daniela M. Guggisberg, Pier Giuseppe Imberti, Mario Mondino, Claudio Salvagno, Fiorenzo Sasia, Michelangelo Tallone, Gaetano Usciatta. Curata da Roberto Baravalle insieme a Massimiliano Cavallo e Giacomo Doglio, ha il partocinio del Comune di Cuneo e rientra nel progetto sociale “Amici delle Case del Cuore” a cui va una parte del ricavato dalla vendita delle opere esposte.
Come ha spiegato Baravalle all’inaugurazione, molti autori hanno scelto di presentare opere che, indipendentemente dal tema proposto, potessero testimoniare al meglio la peculiarità della propria ricerca (“L’artista può accettare ma anche sfuggire il confronto perché si sente e, in un certo senso, è entità autonoma e autoreferenziale”, scrive in catalogo).
Nei due piani del palazzo si confrontano a volte nella medesima stanza opere di due artisti. Così è ad esempio per quelle di Daniele Aletti e Daniela Guggisberg, con sculture biomorfiche in legno e marmo, quest’ultimo esaltato da un tal lavoro di politura da chiedere d’essere accarezzato. Altra sala a due è quella con i lavori pittorici di Walter Accigliaro e quelli scultorei di Michelangelo Tallone, accomunati dal linguaggio non figurativo; nel primo la visceralità del segno e della materia non è più “vertigine” ma dinamismo acquietato in eleganti equilibri di grigi e azzurri che stanno “oltre l’orizzonte”; i buccheri del secondo, tecnica dell’Etruria antica al servizio di forme contemporanee, sono “putrelle” nero-ferrose, piegate in un dinamico “dualismo” di tracciati tesi nello spazio, tra fughe e ritorni, incontri e scontri. I lavori in grandi dimensioni di Enzo Bersezio hanno una chiara matrice minimal e povera e “ruotano” (il termine è d’obbligo per “Poesia dei numeri primi”, una rivisitazione dei cilindri di preghiera tibetani) intorno a forme archetipe o storiche – come la colonna – recanti tracce di vita personale, scritte, numeri, segni da decifrare con pazienza certosina. Altra soluzione d’effetto monumentale è quella di Gaetano Usciatta, che presenta animali tra reale e fantastico in marmo, pietra e bronzo carichi di una vitalità primordiale in netto contrasto con una contemporaneità sempre meno naturale; nella stessa sala, a parete, gli oli su tela di Rodolfo Allasia sensibili a temi sociali dell’attualità comunicati in un linguaggio marcatamente contemporaneo, oltre ad un interessantissimo “Signora con turbante tra parentesi di porro”, lei così contemporanea nonostante la tradizionale inquadratura e due nature morte degne di un olandese seicentesco.
Guido Giordano presenta una serie di ampi pannelli che richiamano gli azulejos iberici rivisitati in chiave odierna nel brillio dei colori e nella sequenza delle textures, pienamente coerenti con la sua costante ricerca segnica e scritturale. Altre soluzioni di textures presenta Claudio Diatto, ottenute con carte piegate e tagliate e dall’esito labirintico su più piani, frutto di “mani fertili” come chiama la serie dei paper cut (simile alla tecnica cinese millenaria di intaglio della carta): un mondo di serenità che, pur con le dovute differenze, ricorda l’ultimo Matisse.
Ad un linguaggio figurativo appartengono le opere di Fiorenzo Sasia che ci riportano ad un clima “orientalista”, frutto di una presa diretta sulle realtà incontrate nei suoi viaggi. Stanno in uno spazio-tempo sospeso le maschere di Alessia Clema, calchi di volti in resina con l’aggiunta di oggetti in cui la persona ritratta si è sentita identificata, opere tridimensionali accompagnate da piccolissimi paesaggi capaci di evocare spazi incommensurabili, resi traslucidi dalle resine epossidiche, letture interiorizzate della natura affini alla poesia; d’altronde l’artista ha illustrato, nel 2010, i versi di Claudio Salvagno, poeta occitano ed artista che in mostra è presente con sciamaniche forme lignee senza tempo accanto ad altre in cui compare, inaspettato, il colore. Condivide la sala con Salvagno lo scultore Mario Mondino – con alcune opere anche nel cortile del palazzo – che presenta lavori molto diversi tra loro, tra cui un pannello che aggiorna nello sfavillio del fondale ricerche ottico-cinetiche degli anni sessanta.
La sala dedicata a Pier Giuseppe Imberti, “artista che da sempre accetta la lotta”, scrive Baravalle, si accende con le tipiche “fasce” in tela ritorte di un rosso che era già in Burri, per le quali bastano i termini ossimorici di grido silenzioso o conflittualità fossilizzata, mentre in due teche l’artista omaggia Marcel Duchamp alias Rose Selavy e, attraverso lui, un caro amico scomparso con un pezzo in ferro e due “R” che sono nello pseudonimo di Duchamp ma anche in quello troppo presto dimenticato di Riccardo Cavallo.
Insomma una mostra di notevole interesse nella quale ognuno può trovare le corde del proprio sentire e vedere.
Info. Sede: Palazzo Samone, via Amedeo Rossi, Cuneo
Durata: dal 6 al 29 ottobre. Orario: giovedì e venerdì, ore 17-19.30, sabato e domenica, 15.30-19.30
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