GABRIELLA VERGARI
Cioè, non ho capito.
Se mi procurassi da vivere cibandomi di mosche, zecche, pidocchi ed altri simili parassiti, non avreste granché da ridire. Ma vi disturba che lo faccia ripulendone il dorso di un altro animale, lo trovate servile, poco consono alla mia dignità, discutibile, rifiutabile, confutabile e via di questo passo.
Beh, sapete che c’è? C’è che la trovo un’ipocrisia, una delle tante, becere, incarceranti ipocrisie del nostro apparato socio-animale.
E allora che dovreste dire degli scarafaggi stercorari o degli avvoltoi o delle iene o di tutti gli altri organismi che sono stati deputati a ripulire il pianeta delle sue innumerevoli porcherie?
Stavo per dire nefandezze, ma decisamente non è così (purtroppo).
Una cosa sono gli scarti ed i rifiuti, una cosa le nefandezze, ché per quelle ci vorrebbe tutt’altra pulizia e volontà.
Ma non divaghiamo e stiamo al punto, ovvero innanzitutto ai gusti su cui, com’è noto, non disputandum est. E poi, in secundis, agli stercorari, che anche loro esercitano una propria brava, fondamentale e notabile missione, fanno il lavoro sporco (nel senso più bellamente autentico del termine), diventando vitali per l’ecosistema, tanto quanto le api o le farfalle o qualche altro animale superiore.
Perciò in definitiva mi pare si tratti solo d’un problema di… vertici e verticalismi!
Vale a dire del fatto schietto e diretto che un giorno ti svegli e te ne accorgi.
Della tua piccolezza, capite?
Per cui la nuda, cruda, evidente evidenza è che stai in basso, e resta poco da discutere.
Sei nato e stai con gli umili, oppure sei piccolo di stazza, oppure ti trovi giù giù in fondo alla catena alimentare. Non è un dramma, è una realtà.
Allora, quando è toccato a me, e ho riflettuto sulla catena e tutto quanto il resto, ho deciso di prendere atto della mia condizione e di adeguarmici, senza tentare troppe scalate o provare a rivestirmi delle penne del pavone (buono anche quello, piccolo quanto basta).
Ho quindi pensato – perché l’essere piccoli non corrisponde affatto alla cretineria, né alla grettezza (ché quella è tutt’altra piccineria) – che, tra le (invero non molte) possibilità a mia disposizione, mi si offriva di fare di necessità virtù, scegliendo di servire, nel duplice senso di essere utile e prestare attività a beneficio d’un altro.
E così è stato. Né me ne pento.
Svolgo una funzione che ha la sua importanza, e soprattutto non mi fa sentire inutile. E poi, sapere di arrecare qualche giovamento agli altri, dà un certo senso di pienezza alla mia vita.
Ho rinunciato – si fa per dire, dato che probabilmente non li avrei mai avuti – ai riflettori del mondo che conta (un, due, tre…), e forse nemmeno questo è vero, perché dal dorso di un rinoceronte o d’un altro alto esponente del regno animale, il mondo lo si vede bene, anzi benissimo, e senza timori, perché in qualche modo si viene pure protetti. Dubito ad esempio che falchi e sparvieri mi piombino addosso, senza curarsi di dover poi fare i conti con il superiore di cui sono al servizio.
Quanto alle responsabilità, non ne sono poi gravato più di tanto. E il bello è che se ti ritrovi nella giusta condizione, puoi perfino arrivare ad esercitare un tuo qualche indiretto potere, sissignore.
Soprattutto se sei l’uccello-zecca – come volgarmente ci chiamano – d’uno di quelli che stanno molto in alto e perciò stesso sembrano irradiare luce da sé anche in una notte senza luna!
Ma pure nel caso ti capitasse qualcosa di più modesto, non è escluso che anche così tu non possa godere d’un bel po’ di potere contrattuale, soprattutto se sei efficiente e ti sai rendere necessario al punto che quasi diventa impensabile poter andare avanti senza te ed i tuoi servizi. E quanti ne ho visti di “padroni” mal ridotti, per l’assenza di valide, oneste bufaghe!
Insomma, a ben vedere, anche questa condizione non sarà un lusso, ma non è poi molto diversa da tante altre.
Come sempre si tratta di qualità, perché ognuno serve un proprio padrone – come sostengono da tempo filosofi e moralisti – ma tutto sta nello scegliere quello più giusto e meno esigente.
Almeno il mio è sotto gli occhi di tutti e non deve essere né intuito né scoperto.
Mi muovo alla luce del sole e non sono tenuto a nascondere nulla. Il che, se non vi dispiace, mi consente molta più libertà che ad altri. E poi, devo ammettere di non essere capitato nemmeno tanto male, dato che il superiore di cui sono al servizio avrà anche lui i suoi momenti, ma in fondo gli passa presto.
Vero è che ho anche visto bufaghe ridotte ad uno straccio, delle autentiche stracche e bistrattate pezze, ma non è sempre durato per molto, dato che anche lì è una questione di carattere.
Del superiore, senza dubbio. Ma anche del tuo.
Se accetti di essere umiliato e sfruttato fino all’inverosimile, senza ribellarti più di tanto, allora forse anche un po’ te lo meriti.
Noi bufaghe fungiamo infatti da servi, mica da schiavi, ed entro certi limiti possiamo pure scegliere. Ad esempio quelle tra noi che hanno il becco giallo prediligono bufali e rinoceronti. Quelle col becco rosso, impala e giraffe.
Ma non è tanto questo quello che conta, quanto soprattutto gli equilibri.
So infatti di bufaghe autenticamente disperate per i malanni dei loro ospiti e di altre restate fedeli fino a non sapersi staccare dal corpo senza vita dei loro superiori.
Però non nego di averne viste anche altre coabitare allegramente tutte insieme su un unico animale e darsi al bel tempo, così come alle volte alcune che, con la scusa di ripulire un dorso, lo colpivano con duri colpi di becco, fino a strappar via la carne con dolorose lacerazioni.
E anche qui mi pare si tratti ancora di carattere.
Se sei pigro, neghittoso, malignetto e vendicativo o propenso al rancore o in attesa d’un ambito riscatto o vattelappesca che altro, non riuscirai a stare sereno, né da bufaga né da rinoceronte ma nemmeno da bufalo o da impala.
Credo modestamente d’averla capita infatti una cosetta. E cioè che non è tanto da che parte guardi il mondo ma come lo guardi a fare la differenza.
E poi ci tengo ad una precisazione.
Assolutamente.
Non vorrei ci confondeste ad esempio con le remore.
No, no, no.
C’è una bella differenza che il mio orgoglio di genere m’ impone di sottolineare.
Quelle – che già possiedono un nome che è tutto un programma e sembra imparentarle con ogni sorta di blocco frenante – quelle, dicevo, se non sono veri e propri parassiti, certo sono grandi, grandissime opportuniste e sfruttatrici.
Tanto per dirne una, sono pesci e non uccellini come noi e non avvisano nemmeno il loro ospite d’un pericolo imminente, come invece fanno i nostri stridii.
Poi, una volta scelto l’animale a cui fissarsi con la loro prodigiosa ventosa, lo sfruttano come vettore senza fare assolutamente nulla, né per aiutarlo né per agevolarlo. Quando infine decidono, lo mollano affatto e tanti saluti. Non sono nemmeno più di tanto sofistiche, ché alle volte non distinguono nemmeno tra uno squalo, un delfino, una tartaruga o uno scafo di barca.
Ma, dico io, che ci stanno a fare certi esemplari nel mondo!
E comunque, scusate, ma ora si è fatto davvero tardi e devo proprio tornare alle mie faccende… hai visto mai mi si “ammonticchiassero” le zecche!
Da Species. Bestiario del terzo millennio, Boemi editore, Catania 2012.
(illustrazione di Franco Blandino)