Gli Edifici pericolanti di Massimiliano Damaggio

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SILVIA PIO (a cura)

Esce in digitale la nuova raccolta di Massimiliano Damaggio, un libro che è una storia e come tale andrebbe letta, nel suo insieme. L’autore lo mette quindi a disposizione per i lettori di Margutte, scaricabile al seguente link:

Massimiliano Damaggio Edifici pericolanti

Un’operazione nuova per Margutte, che l’autore ha semplicemente giustificato con “siccome i libri non li compra nessuno, se si regalano chissà mai che qualcuno li legga. ” Sentiamo cos’altro dice Damaggio in questa presentazione che ci ha mandato.

«Edifici pericolanti è un romanzo in forma di poesia. È un libro sull’equilibrio. È un EQUILIBRO. Se è vero, come sono convinto, che ogni manifestazione artistica sia il sorgere di nuovi mondi al mondo, questo libro prende spunto dal mondo in cui viviamo per trasformarsi in altro. La poesia, come la semiotica, è una parte della nostra vita. La poesia basta a se stessa … Non fosse che, in definitiva, nell’universo niente basta a stesso, ma tutto è attraversato da tutto.

Questo libro è un mondo fra i molti mondi possibili. Non indica una via, non suggerisce soluzioni (l’arte non è filosofia, non è politica): appena esiste. Non è la realtà che viviamo, da cui tuttavia parte, che rappresenta. Rappresenta se stesso, declinando pietas e impossibilità come due facce della stessa medaglia. Un altro, altrove, un’altrui scrittura, e quindi creazione (Dio), potrebbe forse vedere le cose in modo differente. Questo è quanto io vedo oggi.

Il libro è diviso in sei parti: 1) Sell-in, sell-out è il mondo del lavoro di oggi come io l’ho conosciuto, e che non ci permette di vivere la vera vita, che è altro. 2) Sette tentativi di salvezza sono, appunto, sforzi di resistere (di solito fallimentari, emarginati) allo stato attuale delle cose. 3) Ultime dall’iperghetto è chi passa attraverso tutto ciò senza farne parte (perché rigettato, che assurdità) ma sputando lo stesso dolore di tutti e testimoniando l’ultima verità cristiano/buddista/epicurea. 4) Sarà la bellezza la nostra vendetta coniuga, quindi, un sentimento di resistenza comune a tutto questo. 5) Cinque simulazioni… è come la realtà simulata, che viviamo, reagisce e ci riporta all’ordine, infine 6) …e una risposta, che nel mio caso ha la voce della città di Atene, dove vivo, che potrebbe porre fine a ogni contraddizione, o dualità, come lo zen, eliminando il (nostro) tempo e proiettandoci oltre. Nel non tempo. Nella morte assoluta e, per questo, come un opposto, senza cui l’antitesi e la vita non esistono, nella liberazione da ogni contraddizione. La luce che non può spegnersi.»

Dalla Nota di lettura di Nino Iacovella:

Tutti gli uomini sensibili, nella visione poetica di Massimiliano Damaggio, davanti alle piccole o alle furiose scosse della vita, non sono nient’altro che costruzioni precarie destinate prima o poi a crollare… Tracciare allora un solco per arginare il dolore è un gesto disperato per rimanere in piedi, resistere, “puntellarsi”. Scrivere diventa, cosi, il tentativo di tracciare, sulla carta, la linea di demarcazione tra il sentimento della compassione e la brutalità percepita in un mondo collassato. Siamo al grado zero dell’umanità: il sistema economico ci ha ridotto a bestie da soma che agiscono e si riproducono in serie. Questo e lo sfondo dove l’io lirico del poeta vaga osservando la “natura morta” che gli si presenta davanti: gli umani.
Non posso tradurre tutto
questo pianto, tutto
in parole, non posso
tracciare il grafico esatto
della produzione di massa del dolore
è la chiusa toccante di un testo.

La condizione di poeta tuttavia non è salvifica, nelle considerazioni di Massimiliano Damaggio. Anzi amplifica la voragine tra intenzione e fattibilità di ogni gesto che possa scardinare l’ineluttabile realtà. Qui la poesia
… come una mosca tossica
… depone nel corpo le uova della solitudine
e, quando il poeta apre le mani, non si può fare a meno di constatare che queste sono
sono piene di dita inutili
che sanno solo scrivere parole.

… La poesia di Damaggio, qui, ci restituisce lo “sguardo” che abbiamo perduto. Il “sentire” la presenza ritmica di un male prodotto in serie, monotono, assuefacente. Questo e il compito della parola poetica che scava, in questo caso, tra macerie che affiorano da temi sociologici e antropologici, rifiutando, ontologicamente, qualsiasi forma di postura autoreferenziale.
Forse non sarà possibile disegnare il grafico della “produzione di massa del dolore”, ma il canto di questo autore e in grado di planare ben al di sopra dello scenario desolato di una umanità perduta. E farci provare cosa vuol dire guardare in faccia, e riconoscere, la propria solitudine.

ritratto

Massimiliano Damaggio (1969).
Pubblicazioni: 1996, Neon (Lalli, Poggibonsi); 2011 Poesia come pietra (Ensemble, Roma); 2017 Ceux qui prennet un café face à la mer, poesie tradotte da Olivier Favier (Alidade Editions, Francia).
Traduce poeti contemporanei dal greco moderno e dal brasiliano. E fra gli ideatori del blog “perigeion”.
Vive ad Atene.