EVA MAIO
Qui quasi tutto è inventato, quasi tutto possibile, quasi tutto verosimile.
Di scorticante e tenero insieme il sommovimento interiore in me. Questo realissimo.
Sulla parete
in fondo
quanta demenza
quanta confusione.
E qui in primo piano
una sfilata di carrozzine
e occhi smarriti.
Attorno è tutto un odore
di rosari
di parole pescate in mosaici di ricordi
di piccoli deliri.
Cullano tovaglioli tra le mani
cullano sospiri
poi con sguardo acceso
e voce viva
chiamano – Mamma -
d’improvviso.
Nessuna madre
né fiordalisi
né vasto spazio
neppure un brandello di decisione
possibile.
Pastiglie prosciutto
il cambio letto
domande risposte
la cacca la pipì
un riposino le visite
tutto sotto controllo
sotto il controllo
di sorrisi tirati
di sorrisi altrove
- a volte di sorrisi veri
di sorrisi lì –
Non c’è odore di piscio.
Tutto è lindo
armonico intonato.
Meno male.
Duemilaottocentonovantaquattroeuro *
di pulizia
albergo infermeria Tv
un po’ di umanità calda programmata
- le canzoni le mostre dei lavoretti i bambini a Natale –
i dottori e l’andirivieni quasi solenne
di volontari
nell’ombelico
di quei dolori stanchi.
Guizzi di sorrisi
senza denti
in occhi azzurri
sopra un mento pronunciato
e gote ossute
e il cappellino di lana
che sa di giovinezza
e di montagna.
E quel mangiare svelto
divorare
che sa anch’esso di tempi antichi
vitali decisi
rustici e gioviali
di Catterina.
L’ombra d’una eleganza passata
non del tutto passata
un poco trasferita
in un sorriso diafano
in quel color ramato
di capelli pettinati bene
sul bel viso un poco trasognato
con poche rughe
ed una gentilezza
che viene da lontano
sfuggente ora
ma con tracce sicure
che lì in quel viso di Giulia ha abitato.
- Apri la bocca
Su, mangia che te l’apro io altrimenti…
Bravaaa.
Brava, così va bene. –
- E che mai… sono di nuovo bambina che mi dicono brava.
Ed io muta ferma.
Non posso che acconsentire.
Non ho ragioni da farmi.
Ho perso le parole.
Ogni parola.
Stringo la bocca.
Stringo la bocca.
Stringo bocca e mani.
Poi la apro
con malinconico consenso.
Devo mangiare.
La apro e ho fame.
Mi piace che mangio.
La mangio tutta
la pappa rosa.
E rido.
Sono una bimba bella
ben pettinata
e un poco coccolata.
Tutto va bene.
Sono una bimba bella
ma chi sono stata non so.
A volte lo so, ma per poco.
Lo so con rabbia.
Del resto sono una vecchia bambina ben pettinata tutto va bene. -
Il Papa alla TV
poi quelle balorde trasmissioni
dove tutti si vogliono un gran bene
bisticciano e vanno dagli avvocati
e fanno entrare i giudici
interrotti da brandelli di notizie
- l’anteprima di un telegiornale -
ed Irma canta Bella Rosina
Bella Rosina poi La montanara
Subito un “Ho mal di testa, basta.
Ma perché canti, tu?
Stai un po’ zitta”
- Zitta zitta zitta -
Armanda lo ripete
e accenna un battersi la testa
con la mano.
Un simulacro di battito
un simulacro di mano
tanto è smagrita
tutta venuzze azzurre
e ossicini.
Il carrello con minestrina, bresaola e cavoli
è arrivato
è stata Delfina a portarlo qui.
Soddisfatta orgogliosa
- una tra le poche che cammina -
si prende tutti i grazie a voce alta
e il cibo diffonde profumo
di casa
per poco tempo.
La TV ora è un sottofondo
sbiadito.
Vince su tutto
quel vago profumo di casa.
Quasi legnosa
curva
Evelina con piccolissimi occhi
color lavanda
non fa che dire – Ulivi miei
chi li pija -
e ride
- Chi li pija chi son la mi lucerna. -
E ride.
È tutta un tremolio
in breve carne
le mani fatte di ruvida pazienza
come i muretti a secco
o le reti rammendate a Noli.
Natalia apre e chiude
una custodia vecchia
spelata morbida e sincera
sinceramente sua
Ha trascorso un bel po’di vita
nelle sue tasche
o sul tavolo di formica nella sua cucina
dove aveva il vasetto i fiori
e il centrino fatto dalla sua mamma.
- Mamma –
Quella sì è una parola rimasta intera
netta viva lucente
e spunta fuori
fuori programma
calda esplosiva
desiderante
a tratti disperata.
- Dove sono sbarcata? –
Non più orizzonti da scrutare
non localizzazioni sicure
solo il salvataggio estremo
di corpi rattrappiti
contratti legnosi
o che si lasciano andare giù
quasi esangui.
Ed in quei corpi un cuore una biografia tutta una vita.
- Come sono sbarcata
in questo corpo ostile fragile
inconsueto. –
Mi sembra dondoli un poco su ogni fronte
questa domanda.
E fugga via veloce
per troppo patire.
Li guardo quei corpi quei visi
e mi sale la voglia
di andare a farmi raccontare
fosse anche in un sussurro
quali memorie hanno
quale memoria la loro pelle i pori
le ciglia i seni le dita
e le vene e i reni e i polmoni.
Che cosa sanno ancora
della vita che hanno traversato
della vita che l’ha attraversati
degli amplessi delle carezze
delle indifferenze degli sfioramenti
delle idee dei progetti dei baci avuti e dati
delle trascuratezze dell’allattare
dell’allietare figli marito amiche
dei microscopici gesti quotidiani
delle cure del chinarsi sui figli con la febbre
dei feti compiuti
e da lì partiti per il mondo?
Dove s’è rintanato tutto quel vivere
e morire e vivere ancora?
Mai più a bordo d’una nave
d’un aereo d’una barca a vela
d’un motorino.
Forse ancora il tragitto
in 118 all’ospedale.
Mai più i piedi nel Gesso
le braccia nel mare a Laigueglia.
Solo questa vita insaccata
in carrozzina.
Mai più balli occitani
la mazurka il cha cha cha
o scegliere il pomodoro più maturo
nell’orto o la collanina
dal vucumprà
mai più scarponi sci tacchi a spillo.
Mai più sfogliare un libro
leggere la quarta di copertina e dirsi
-Sì, lo compro –
Mai più scegliere la pagina da rileggere
prima di dormire
scegliere la parola come ninna nanna.
- Mamma .
Aiuto mamma.
Dove sono sbarcata, mamma –
Qui
ci sono funzionari
solo facenti funzioni.
Le fanno bene.
Sono buone e buoni
facenti funzioni.
Aiuto
mi si è intirizzita l’anima.
Ho paura che geli.
Forse ho voglia che geli.
Mamm
Mam
Ma
M
MMMMMMMM
oscillo beccheggio
in un mare confuso.
Fammi dormire
Fatti onda lieve
Fatti culla
Fatti di nuovo utero-casa di me
per me.
E mio fratello Battista.
Metti anche lui in culla
accanto.
Te lo prometto
non ci bisticcio più.
E Cecilia la cuginetta
che da Livorno veniva qui sui monti.
Mettimela accanto.
Ci sta?
Ci sta anche lei?
Da quante estati non la vedo.
Ci stiamo
Ci stiamo tutti
tanto tu mamma
sei un bastimento
…e zio Tumin e il papà
e nonna Gina e le magne
che mi facevano bei regali…
Salgano tutti.
Si parte.
Tutto va bene.
Tanto tu sei un bastimento
e anche il capitano
e fai salire tutti,
lo sapevo.
E la mamma è quasi Dio
E il bastimento quasi un paradiso.
Tutto va bene.
*cifra indicativa – nella realtà variabile da struttura a struttura e da caso a caso
(Nell’immagine, un acquerello di Marilena Morano)