FULVIA GIACOSA
Ho visto i lavori a due mani di Giulia Otta e Michelangelo Giaccone quando ancora frequentavano l’ultimo anno del liceo artistico cuneese dove insegnavo e all’epoca mi era venuto spontaneo parlare di contemporanei cadavres exquis, il “gioco” tanto caro ai surrealisti, profeti della libertà totale e rivelatrice.
Oggi entrambi frequentano l’Accademia Albertina a Torino e hanno avviato percorsi individuali, ma l’avventura del disegnare insieme nata negli anni del liceo prosegue. L’attuale mostra, ospitata in alcuni locali della stazione ferroviaria di Mondovì riciclati in luogo di eventi dall’associazione “MondoQui” che propone l’incontro tra le culture, dà conto dell’ultimo anno e mezzo di lavoro e i due giovani artisti si presentano in un video che li vede intenti a ritagliare pile di giornali per farne tanti pesciolini che ora nuotano sul pavimento di una sala ricoprendolo per intero.
Se resta vero ciò che sta alla base del loro lavoro fin dagli esordi, vale a dire un atteggiamento ludico ed una gratuità inventiva, non si può evitare qualche ulteriore annotazione, soprattutto perché nuovi spunti si sono aggiunti all’ arte combinatoria dei loro disegni acquerellati.
Essa ha i tratti di una contemporaneità che è figlia non amnesica di tante esperienze novecentesche. Intanto le figure sono tratte dal mondo oggettuale quotidiano e sappiamo quanto gli anni sessanta ci hanno abituati a superare la distinzione tra narrazione digna e non digna, poiché non è qui che sta il discrimine estetico. La libertà iconografica ha generato poi tutta una sequenza di altre libertà: espressive, tecniche, discorsive, concettuali, di cui si giova la pluralità linguistica dell’oggi ove persino la “tradizione” trova un suo posto. Quando associamo lavori contemporanei ad esperienze del passato in fondo è anche di queste libertà che facciamo uso. Così, possiamo risalire – pur con tutte le differenze storico-contestuali – alle profusioni inventive di un Bosch, alle curiosità decorative delle grottesche manieristiche e per loro tramite a quelle della romanità o ancora alle associazioni libere di futuristi e surrealisti, senza per questo vedervi un’adesione di poetica; ci riferiamo invece ad un modus operandi d’impiego del “disponibile” nella lunga storia dell’arte che consente un puro piacere visivo e che solletica allegorie o metafore.
Certamente i nostri, come la meglio gioventù d’oggi, hanno incorporato la disillusione dell’eterno, dell’impegnato, del sublime e via discorrendo: ed è per questo che ci siamo permessi di far riferimento all’arte pop che di quell’epoca ha siglato l’alba delle disillusioni seguenti e nel contempo sdoganato un’estetica prensile.
Se nei lavori dei primi anni figure-oggetti erano collegate da catene, imbuti, setacci, calamite, putrelle, bielle, manovelle, ingranaggi d’ogni tipo, a formare un fantasioso macchinario che muove, attrae, scarta, solleva, versa, ruota, macina cosicché, se non fosse perché tutto avviene sulla flatness del foglio, verrebbe da pensare alle macchine di Tinguely, nelle ultime fatiche c’è una maggiore vocazione narrativa. Ma attenzione a non cercarvi un’unica storia, qui i racconti sono un montaggio di parole – rigorosamente manoscritte come vuole l’appropriazione di un prelievo -, una lunga sequenza di frasi dalle origini più diverse (opere letterarie o banali scritte che si possono trovare su una scatola di biscotti) che corre in alto su striscioline di carta a formare un fregio lungo quasi 50 metri che lega i vari ambienti; con la stessa modalità i disegni accostano le immagini e addirittura creano un teatrino “portatile”. Come non concedere clemenza a tanti “furti” quando il ritagliare, il riutilizzare e il riassemblare rivelano un pensiero in continua ebollizione che prende direzioni impreviste, essenza di questi lavori ?
Nel corridoio d’ingresso stanno, in un formato mignon, tanti piccoli “personaggi”, quasi un un promemoria per le composizioni maggiori volutamente prive di titolo o cornice per suggerire l’idea di un work in progress che il visitatore può completare a sua discrezione. In un’altra sala una serie di fogli richiama quelle vecchie pagine di prima elementare fatte per imparare le lettere dell’alfabeto (maiuscole, minuscole, stampatello, corsivo); un disegno centrale ed una parola sottostante squassano l’abituale corrispondenza tra verbo e icona. Ecco un altro prelievo dalla storia artistica preso a prestito e reinventato in forme volutamente ingenue perché ai bambini il paradosso riesce spontaneo e naturale, tant’è che quando cerchiamo di dar un nome ai loro disegni sbagliamo quasi sempre e li indisponiamo pure. Oggetto del “furto”, questo sì affatto ingenuo, è il testo di Magritte “Les mots et les images” del 1929 in cui l’artista belga dimostra l’estraneità tra un linguaggio e l’altro per sfatane la convenzionale corrispondenza, testo che influenzerà tanta arte del secondo Novecento, dalla Narrative art al concettualismo e i neo-concettualismi più recenti. Così i nostri artisti giocano con l’ambiguità apparente di una “nuvola-acconciatura”, un “papillon-ladro”, un “ananas-esca”, creando rebus semantici oltre a richiamare in piccoli dettagli altri lavori dei quali costituiscono una chiave di lettura. E, a guardar bene, l’arbitrarietà degli accostamenti non è mai totale.
Se chiedete ai due giovani quali verità vogliono trasmettere, vi diranno probabilmente “nessuna”: tutto nasce dal puro gusto di fare e comunicare, lasciando che la vostra mente si liberi delle abitudini dell’illusionismo per cogliere insoliti intrecci verbali e visivi (opere aperte, dunque, come da Eco in poi si è soliti dire). Inoltre lo snodarsi del lavoro nel tempo, per accumulo, è quasi un diario di stimoli disparati che generano un mondo nuovo e stimolante.
Di una cosa resto convinta: come scrivevo allora, il duo “mogg” (acronimo di nomi e cognomi dei due autori) scioglie nella levità del sorriso le angosce di un tempo angusto e nervoso.
INFO: la mostra “mogg alla stazione” è visitabile gratuitamente dal 12 gennaio al 18 marzo nei seguenti giorni ed orari: venerdì 18.00-22,00; sabato 10,00-13.00 e 15.00-21.00; domenica 10.00-13.00 e 15.00-19.00.
Per ulteriori informazioni: mogg.artist@gmail.com